Come i mass media rappresentano il mondo della giustizia e gli autori di reato.

Crimini e criminali (o sospetti tali) fanno notizia.

Interessano le persone, che consumano in modo avido informazioni, film, serie televisive e romanzi sugli eventi di cronaca nera. E su quelli di cronaca giudiziaria.

Possiamo affermare che ciò che i cittadini sanno della criminalità, dei reati, della giustizia e di tutto l’impianto giudiziario passa per la quasi totalità dai media.

Come insegnano gli studiosi dei mass media, con la teoria della dipendenza cognitiva, più siamo lontani da un certo fatto, evento, problema, tema o persona e più dipendiamo dai media per essere informati.

Anche in tema di giustizia e di crimine – così come nella rappresentazione degli autori di reato, degli avvocati, degli investigatori e dei giudici – i media svolgono un ruolo fondamentale.

I media danno le informazioni. I media forniscono il quadro interpretativo di eventi, temi e personaggi.

I media ci portano – come sottolinea la teoria dell’agenda setting – ad orientare la nostra attenzione e il nostro interesse in una certa direzione; anziché in un’altra.

Quando un grande caso giudiziario – pensiamo alla scomparsa di Milena Sutter e all’arresto e poi al processo a Lorenzo Bozano, nel 1971 a Genova – conquista l’interesse del grande pubblico, lo fa attraverso i media.

Sono i giornali – espressione con cui intendiamo tutto il panorama mediale – che alimentano le ragioni e i sentimenti, le passioni e le riflessioni dei “colpevolisti” e degli “innocentisti”.

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Il ruolo dei media nel rappresentare il crimine e la giustizia

I cittadini conoscono gli svolgimenti di reati, crimini e relativi processi giudiziari tramite la mediazione della carta stampata, della televisione, della radio, nonché di Internet.

I mass media svolgono, in questo senso, un ruolo cruciale per quanto riguarda la trasmissione delle notizie.

Essi possono diventare strumenti di controllo sociale, volti a costruire consenso o dissenso sui temi criminali e giudiziari.

I media riescono così ad effetti diretti sia sulla società che sul singolo individuo.

L’interesse per la criminalità non è un fenomeno solo recente.

La storia del crimine risale a circa 200 anni fa, durante il periodo della Rivoluzione Industriale e delle rivoluzioni democratiche in Francia e negli Stati Uniti.

Durante questo periodo, i media, grazie allo sviluppo della stampa, divennero la maggior fonte di informazione.

La rappresentazione mediatica della criminalità ha origine nel periodo vittoriano, nel XVIII secolo, dove la stampa viene posta sotto il controllo dello Stato.

Con il controllo sui media, la verità e ogni informazione potevano così essere manipolate a favore dei singoli membri delle élite dominanti.

I crimini più noti, risalenti all’età vittoriana, riguardavano gli omicidi commessi dal serial killer “Jack Lo Squartatore” (Jack The Ripper).

Quegli omicidi seriali e l’avvento dei successivi serial killer, con il racconto di delitti sadici e brutali, suscitarono, già da allora, un grande interesse di massa.

E’ un interesse che, ancora oggi, continua a incuriosire la maggior parte della società.

In tutto ciò, a giocare un ruolo preponderante è la “media frenzy” , la frenesia mediatica.  

Questa frenesia mediatica consiste nella voglia smaniosa, quasi irragionevole, dei mass media di riportare i fatti riguardanti la criminalità.

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Crimine e sanzioni fanno parte della storia umana

Una certa modalità di riportare il crimine nelle notizie fa apparire il crimine stesso, agli occhi di molti, come un qualcosa di violento in modo straordinario.

I crimini – intesi come atti e comportamenti devianti commessi da persone rispetto al proprio gruppo sociale di appartenenza – fanno parte della storia umana.

I delitti sono esistiti nella storia dell’umanità da quando sono nate le prime società organizzate, con le proprie norme di comportamento.

Il crimine nasce da una violazione manifesta delle norme del sistema sociale.

Come osserva il professor David Canter, britannico, padre della Psicologia Investigativa, senza la norma non c’è la violazione. 

Senza la norma penale, non c’è il reato, non c’è il delitto. E non c’è neppure il criminale.

Basti pensare a come siano trattati con diversa severità e con sanzioni assai differenti, in Italia e negli Stati Uniti, i reati finanziari e l’evasione fiscale.

Ad ogni tipologia di crimine commesso, corrisponde una determinata sanzione, che può essere di due tipi: sanzione esterna e sanzione interna.

La sanzione esterna è la sanzione giuridica, applicata dal sistema istituzionale in caso di violazione della norma.

Può essere una sanzione penale, carceraria o pecuniaria in base al crimine commesso.

La depenalizzazione di alcune infrazioni alle regole – si pensi al mancato pagamento dei debiti – comporta una diversa visione dell’infrazione alla norma.

E porta, di conseguenza, a una diversa concezione del protagonista di quel certo reato che viene depenalizzato: da autore di reato, diventa autore di un’infrazione che non riscontra una pari condanna sociale.

La sanzione interna è la sanzione morale che deriva dal sistema di valori proprio di un gruppo sociale.

La sanzione morale è solo interiore. Richiede di rispondere alla propria coscienza per la violazione delle norme di buon costume.

La sanzione morale si accompagna a malessere, disagio, senso di colpa.

Il crimine, quindi, esiste da sempre. La devianza fa parte della natura umana, come sostiene lo psicologo inglese Hans Eysenck.

C’è chi invece sostiene che la devianza derivi da un fatto sociale inevitabile, come ritiene il sociologo Émile Durkheim.

Serie Televisiva - Night Stalker - recensione - Gaia Corradino - blog Il Biondino della Spider Rossa - Agenzia Corte&Media

Crimine, media e reazioni del pubblico

Se il crimine e la devianza fanno parte da sempre della storia umana, diverso è il rapporto tra i mass media e il crimine: è una relazione abbastanza recente.

Sono i media che guidano il pubblico nella percezione del reato, trasmettendo un messaggio e definendo temi percepiti come rilevanti.

I media danno al pubblico le chiavi di lettura dei fatti e la percezione della realtà.

Come scrivevo all’ìnizio, il sistema dei mezzi di comunicazione di massa – fra cui mettiamo anche un certo modo di usare Internet – fornisce all’audience le chiavi interpretative con cui leggere il crimine.

Giornali, radio, televisione, Internet possono così sottovalutare una certa emergenza, senza allertare o allarmare il pubblico.

Al contrario, i mass media possono creare un clima di insicurezza e panico generale.

Si pensi, ad esempio, all’allarme che in certe situazioni viene lanciato dai media in materia di immigrazione.

Un concetto importante – quando si parla di  rappresentazione mediatica della criminalità – è il concetto “panico morale” (il moral panic).

S’intende con “panico morale” un’esagerata risposta da parte dei mass media a un certo comportamento.

Tanto che quel comportamento – ad esempio l’azione collettiva di un gruppo di giovani –  viene visto agli occhi della comunità come un problema sociale.

Il meccanismo messo in moto dai media fa sì che si crei uno stato di ansia generalizzata nella pubblica opinione.

Gli individui o i gruppi sociali che adottano comportamenti fuori delle regole (o considerati pericolosi e criminali) vengono etichettati dalla società, grazie al clima creato dai media.

L’etichetta di “devianti” porta a criminalizzare quei gruppi o quegli individui. A stigmatizzarli. A ghettizzarli. E a volerli punire.

A svolgere un ruolo chiave in questo processo di etichettatura e nell’azione di stigmatizzazione sono proprio i mass media.

Come sottolionea Stanley Cohen, sociologo e criminologo, “i media hanno operato a lungo come agenti di indignazione morale a tutti gli effetti”.

Prosegue Cohen: “Anche senza esserne autocoscienti, la loro stessa segnalazione di alcuni fatti può essere sufficiente per generare preoccupazione, ansia, sdegno o panico”.

Stanley Cohen ha definito il “panico morale” come una forma di panico collettivo.

Un panico collettivo che è ingiustificato. E che si concentra su un evento, una situazione, un gruppo ritenuti da molte persone una minaccia o un pericolo.

Tale fenomeno viene spesso causato da notizie più o meno distorte a scopo sensazionalistico dai media.

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Secondo Cohen, ci sono cinque fasi nella costruzione del panico morale:

  • qualcuno, qualcosa o un gruppo sono considerati dai più come una minaccia alla norme sociali o agli interessi della comunità;
  • la minaccia viene racchiusa in un simbolo o con una forma semplice e riconoscibile dai media;
  • la rappresentazione mediatica di questo simbolo genera preoccupazione pubblica;
  • c’è una risposta da parte delle autorità e dei responsabili politici;
  • il panico morale sul problema si traduce in cambiamenti sociali all’interno della società.

Va ricordato che non solo le informazioni fanno parte del bagaglio dei media per creare panico morale.

Vi sono anche le produzioni cinematografiche, con i film.

Vi sono le serie televisive, che tanto coinvolgono gli spettattori.

E vi sono anche i romanzi e la saggistica sui casi criminali e sui rischi per la comunità.

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Crimine, devianza e comportamenti dei media

Dallo studio delle rappresentazioni mediatiche sui comportamenti devianti emerge, in modo evidente, come i mass media influiscano sui sentimenti del pubblico.

I media possono alimentare preoccupazioni. Possono creare e fomentare pregiudizi.

Il sistema di giornali, radio, televisione e Internet possono identificare gruppi e persone, trasformandoli.

I gruppi possono diventare masse minacciose e criminali. I singoli individui possono trasformarsi in “mostri”.

A questo proposito, la Storia d’Italia è segnata da situazioni di stigmatizzazione.

Si pensi agli anarchici, ai tempi della bomba di Piazza Fontana nel dicembre 1969, considerati terroristi pericolosissimi e sanguinari.

Oppure, ripensando al Caso Sutter-Bozano, si pensi a come Lorenzo Bozano – prima assolto e poi condannato per la vicenda di Milena Sutter – abbia da subito assunto i connotati del soggetto deviante, pericoloso, mostruoso.

I media possono creare a loro volta problemi sociali portando, in questo modo, ad un’amplificazione della devianza stessa.

La nostra conoscenza riguardo alla devianza si basa sulle informazioni fornite dai media.

E quelle informazioni possono essere approssimative, superficiali, influenzate dalle fonti che le hanno diffuse. O addirittura, possono essere errate.

Ecco che le reazioni sociali, quelle messe in atto dalle persone, sono la risposta a fantasie stereotipate; piuttosto che a conoscenze e notizie veritiere.

Esagerazione, distorsione e amplificazione della devianza sono messi in atto dai mezzi mediatici stessi.

I media danno così il via a una spirale che porta i gruppi considerati devianti ad essere criminalizzati ed emarginati.

E lo stesso accade alle persone vittime di stigma.

I soggetti “devianti”, travolti da questa spirale mediatica, sono portati ad isolarsi e, di conseguenza, ad essere più orientati al crimine.

Giustizia, crimine e media, stigma e gruppi devianti - blog Biondino della Spider Rossa - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - foto 7-min

I media e i casi di “panico morale”

Nella maggior parte dei casi di panico morale, sono identificabili alcuni fattori chiave, intesi come “caratteristiche distintive” del panico morale.

Esso si verifica quando i media trasformano un evento ordinario e presente in qualcosa di straordinario.

Il sistema dei media – seguendo le proprie routine professionali – mettono in moto una spirale di amplificazione della devianza.

In tal modo, anche lo stesso “panico morale” viene visto come con-causa di un declino sociale.

Il panico morale porta la comunità a riunirsi in un senso di indignazione collettiva.

Questo si verifica soprattutto durante i periodi di cambiamento sociale.

Si tratta di periodi che portano ad aumentare il livello di ansia e sgomento generale all’intento della comunità.

D’altro canto, più salgono ansia e incertezza, e più la dipendenza dai media aumenta. E’ un fenomeno ansiogeno che si autoalimenta.

Il panico morale, dunque, è un prodotto diretto delle pratiche professionali del giornalismo.

Le paure e le preoccupazioni di una società arrivano ad assumere una forma pubblica grazie all’azione dei mass media.

Da parte loro, il sistema di radio, giornali, televisione e Internet si concentra sulle paure e sull’ansia sociale, considerandole altamente notiziabili.

In quest’azione dei mass media, abbiamo un alto rischio: lo spostare l’attenzione del pubblico da temi importanti, urgenti, che toccano i veri interessi di ciascuno, ad argomenti irrilevanti.

Si tratta di un’azione di “diversione dell’attenzione”, a beneficio di élite di potere, interessate a nascondere le proprie malefatte.

Va del resto ricordato che è soprattutto il crimine a “fare notizia” all’interno dei giornali.

La cronaca nera ha conquistato sempre più spazio: non solo nei giornali e nell’informazione di radio, televisione e vari mezzi su Internet; ma anche con programmi televisivi, talk-show e “processi mediatici” organizzati.

Il pubblico, influenzato dai mass media, pensa, si esprime e prende posizione sulla base di ciò che i mezzi di comunicazione gli forniscono.

A loro volta, i mezzi di comunicazione si alimentano e si auto-validano affermando di essere al servizio del pubblico.

Il problema non sta, allora, nell’interesse che il pubblico dei lettori e delle lettrici ha verso il crimine e la giustizia.

Il problema è che il pubblico si fa una propria idea e avanza interpretazioni basandosi su media che non forniscono gli strumenti per giudizi fondati e oggettivi.

Va infatti ricordato che i media sono attori in un’arena, quella pubblica, dove agiscono anche avvocati, investigatori, magistrati inquirenti e giudici.

Ciascuna parte cerca di imporre la propria visione, le proprie informazioni e i propri interessi.

Tutti gli attori dell’arena pubblica mirano a controllare i media, siano mezzi di comunicazione di massa professionali che mezzi propri come un blog su Internet.

Non vi è un circolo virtuoso di informazioni, di chiavi di lettura, di fondate visioni. A prevalere è la voce del più forte. O del più abile.

I media, da parte loro, spesso dimenticano il ruolo primo del giornalismo: il tendere a scoprire e a rivelare al pubblico la verità sostanziale dei fatti.

C’è bisogno di un impegno sulla verità sostanziale dei fatti e sul fornire al pubblico informazioni corrette e strumenti efficaci di lettura del crimine.

Solo così i media possono consentire alla pubblica opinione di avere una visione completa e corretta dei fatti criminali e di giustizia.

Maurizio Corte
corte.media

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