Tra noi e ciò che accade ci sono le rappresentazioni fornite dai mezzi di comunicazione di massa.
Al mattino apriamo il giornale sulla scrivania dell’ufficio oppure accendiamo la radio sulla nostra auto. Quasi mai ci chiediamo se quanto ci raccontano i media corrisponde ai fatti.
Affascinati dalle narrazioni di giornali, social media, radio e tv ci immergiamo nel racconto. Siamo come in uno stato di ipnosi.
Eppure vi è uno scarto tra la verità sostanziale dei fatti e la loro rappresentazione sui mezzi di comunicazione.
Ci basta confrontare come due persone diverse diano diverse versioni di uno stesso accadimento.
Come essere, allora, consapevoli della manipolazione che i media fanno della realtà? Una manipolazione che passa dalla sua selezione, dalla sua rappresentazione e dalla sua forma mediale.
Chi fa il mestiere di comunicatore, giornalista o scrittore per i media ha certo un’alta dose di professionalità, la cui formazione passa per gran parte dal “fare” (il laboratorio, la bottega artigiana del comunicare).
È però importante avere consapevolezza delle conseguenze che le azioni comunicative dei professionisti dei media hanno sulle nostre informazioni.
COME LEGGERE I MEDIA. LA TEORIA DI WALTER LIPPMANN
Nel mare magnum delle teorie dei media, ci sono quattro teorie che affrontano e illustrano i processi attraverso cui i mezzi di comunicazione di massa influenzano le conoscenze dei fruitori delle notizie; e le conseguenze che tutto ciò ha sul comportamento delle persone.
La prima teoria è quella di Walter Lippmann sulla “funzione della stampa nella costruzione del significato”. È su questa che mi voglio concentrare in questo articolo.
Stampa e costruzione del significato
Walter Lippman, giornalista, ha dimostrato, negli anni venti del Novecento, come le caratteristiche del mondo reale abbiano spesso uno scarso rapporto con le opinioni che le persone hanno di quello stesso mondo.
Lippmann ha poi dimostrato come le interpretazioni date dalla stampa agli eventi possano radicalmente alterare l’interpretazione della realtà delle persone. E i loro conseguenti modelli di azione.
Prendiamo, come esempio, il caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano, a cui dedico un’ampia sezione di questo blog.
È l’interpretazione che la stampa dà della vicenda – trattandola da subito come un sequestro di persona – a condurre l’idea che le persone si sono fatte di quanto è accaduto.
In conseguenza di questa idea del caso, le persone – inquirenti in primis – si sono mosse.
Tant’è che nessuno, prima del libro Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media, ha mai messo in discussione il “dogma” del rapimento della ragazzina, a Genova, il 6 maggio del 1971.
Lippman ha concluso che le persone agiscono non sulla base di ciò che ha realmente avuto luogo o che è effettivamente accaduto, ma sulla base di quella che pensano sia la situazione reale secondo le descrizioni fornite loro dalla stampa.
Siamo pertanto di fronte a significati e interpretazioni che spesso corrispondono soltanto in parte a quanto è successo.
Tant’è che nel libro Il Biondino della Spider Rossa dimostro l’infondatezza della tesi del rapimento. E porto alla luce una serie di contraddizioni in ciò che è stato raccontato e rappresentato dai media, prima, e poi nelle aule di giustizia.
I RACCONTI SOMMARI DEI MEDIA
Queste descrizioni fornite dalla stampa – ci dice Lippmann, e noi possiamo allargare la sua riflessione a tutti i media – possono condurre ad azioni inappropriate e a comportamenti che hanno scarsa relazione con la vera natura del mondo esterno.
I mezzi di informazione, peraltro, non si predispongono deliberatamente a creare illusioni o a ingannare qualcuno, osserva Lippmann.
Al contrario i codici etici del giornalismo insistono sull’oggettività, sull’equilibrio, sulla completezza e la fattualità dell’informazione.
Il problema è che si tratta di obiettivi irraggiungibili, viste le condizioni in cui i giornalisti sono costretti a lavorare dalla struttura dell’industria editoriale:
- limitatezza di risorse,
- processi di lavorazione che debbono fare i conti con tempi e spazi ridotti
Di conseguenza, i resoconti sono inevitabilmente sommari e si concentrano solo sui fatti centrali, ignorando gli altri.
Possiamo quindi affermare, grazie a quanto scrive Lippmann nel suo libro L’Opinione Pubblica, che tra noi e la verità sostanziale dei fatti vi sono i racconti dei media.
E i racconti dei media non sempre aderiscono a ciò che è effettivamente accaduto, alla verità nel suo ampio spettro e alla concretezza di eventi e situazioni.
Siamo perciò costretti a una lettura menzognera dei fatti e degli eventi?
L’importanza della lettura critica dei media
Non necessariamente. Il giornalismo è ricerca, selezione e racconto dei fatti nel formato del notiziario (di radio, tv, web, giornali).
Già in questi tre processi vi è uno stacco tra racconto e verità sostanziale di ciò che è accaduto.
Quello che siamo chiamati ad esercitare è il pensiero critico. Lo possiamo utilizzare in questo modo:
- evitando di scambiare il racconto dei media con la verità assoluta;
- avendo consapevolezza che il racconto viene fatto da una precisa angolazione;
- sondando, dall’ascolto del racconto, se chi scrive lo fa con buona fede e impegnandosi ad essere il meno parziale possibile.
Se siamo lettrici e lettori critici, allora possiamo già dirci esenti dal pregiudizio di credere che le notizie corrispondano ai fatti.
Maurizio Corte
corte.media
(Photo Bank Phrom – Unsplash)
Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org