La voce alle vittime e ai superstiti della tragedia più grave nella storia degli Appennini. Tra errori, omissioni e ingiustizie.

Ventinove rose bianche. Dal 18 gennaio 2017, ogni anno le vittime del disastro di Rigopiano sono ricordate così, dopo che una valanga esplosa sopra l’hotel di Farindola le ha sepolte per sempre. Per molti giustizia non è ancora però stata fatta.

Ed è proprio a questa sete di verità, che cerca di rispondere il podcast E poi il silenzio del giornalista Pablo Trincia, con una nuova indagine giornalistica.

Attraverso le parole di sopravvissuti e familiari delle vittime, quindi, il podcast ripercorre la dolorosa tragedia ambientale, a partire da quel freddo mercoledì di metà gennaio.

Quel pomeriggio 40 persone cercavano di rilassarsi nell’albergo di montagna, nonostante la bufera di neve: un resort di lusso sulle montagne abruzzesi, che iniziava a cozzare con il pericolo dei pesanti fiocchi di neve.

Alle 17.08 un disastro cambiò il destino di Farindola per sempre: una valanga colpì e sommerse l’albergo sotto una rigida coperta bianca. E poi il silenzio.

Sullo scenario ad alta quota più insanguinato degli Appennini — e il secondo in Europa — calò un asfissiante silenzio per ore. Finché dalla neve non riemersero le voci di 11 superstiti.

LE DOMANDE SENZA RISPOSTA SULLA TRAGEDIA

Il disastro di Rigopiano non è solo una tragedia ambientale, ma anche un fatto di cronaca, che è entrato nel cuore dell’intero Paese, lasciando aperte molte domande.

È stata solo una calamità naturale imprevedibile? Oppure quelle persone non dovevano essere lì? E soprattutto, l’hotel poteva essere costruito in quella posizione?

Molti errori sono stati commessi nella storia dell’hotel di Farindola, questo è certo. Ed è per questo che i sopravvissuti e i parenti delle vittime continuano a lottare: per far luce sulla verità, per dare giustizia ai morti e perché non accada “mai più”.

IL PODCAST DI PABLO TRINCIA: PARLANO LE VITTIME DI RIGOPIANO

E poi il silenzio è il titolo del podcast del giornalista Pablo Trincia dedicato al disastro di Rigopiano.

Suddiviso in otto episodi —  in anteprima per i lettori di Sky TG24 Insider — il podcast ricostruisce il disastro ambientale e la vicenda giudiziaria, grazie a testimonianze e documenti inediti.

Scritto con Debora Campanella e con le musiche e il sound design di Michele Boreggi, E poi il silenzio è molto più di un racconto di una tragedia collettiva. È anche un’inchiesta giornalistica, supportata da materiali d’archivio e atti processuali.

Con questa narrazione, Trincia dimostra ancora una volta di essere un maestro dello storytelling giornalistico, in grado di informare e allo stesso tempo emozionare.

Il vero cuore pulsante del podcast sono tuttavia i racconti dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime di Rigopiano: sono loro i veri protagonisti della storia.

Grazie alle parole delle vittime e ai suoni della montagna, infine, il giornalista è riuscito a congelare l’essenza della tragedia, trasportando gli ascoltatori tra le ore di terrore. E rendendo palpabile il senso di ingiustizia della vicenda.

E poi il silenzio| Il Disastro di Rigopiano

La storia della valanga di Rigopiano prima del podcast di Pablo Trincia

È un freddo mercoledì pomeriggio all’hotel Rigopiano, nel comune di Farindola, sul Monte Siella. L’albergo è un lido di pace sulle alture degli Appennini abruzzesi, a un’ora di distanza dal Gran Sasso.

Sulle alte vette, come dovrebbe essere a metà gennaio, sta nevicando. Forse troppo, tanto da bloccare le strade e l’uscita dall’hotel.

Rigopiano non è un caso isolato. L’intera regione sta vivendo un momento difficile, in questo disgraziato mercoledì di gennaio: sono migliaia le persone in Abruzzo senza luce e centinaia le richieste di aiuto.

A complicare il delicato quadro metereologico, il 18 gennaio si susseguono anche quattro scosse di terremoto. Un’altra ferita per una terra che non ha ancora dimenticato il devastante terremoto dell’Aquila del 2009.

Con il passare delle ore e l’accumularsi della neve, gli ospiti di Rigopiano iniziano a percepire il pericolo. Forse non un rischio imminente, ma di certo una situazione di crescente disagio: l’hotel è isolato e nessun spazzaneve può intervenire.

Poi, arriva il silenzio.

IL DRAMMA IN MONTAGNA

Alle 17.08 una valanga travolge l’hotel Rigopiano.

Diciannove minuti prima, 120.000 tonnellate di neve si sono staccate dalla montagna. Subito dopo un’enorme massa bianca, alta due metri, inizia la sua discesa lungo il pendio inclinato di 45 gradi, a una velocità di 100 chilometri all’ora.

Alla fine, la catastrofica discesa si arrende solo sbattendo contro l’hotel, spazzandolo via: l’albergo Rigopiano non esiste più.

Come ricorda Vanity Fair, è Giampiero Parete il primo a dare l’allarme: l’uomo ha visto la catastrofe naturale dalla sua macchina. Spaventato, il cuoco chiama subito anche il datore di lavoro, che a sua volta lancia chiamate di soccorso.

Oltre a Parete, anche Fabio Salzetta, manutentore dell’albergo, cerca di dare l’allarme, mentre si trova nel locale caldaia.

Si susseguono, quindi, diverse chiamate, che tuttavia non mettono in allerta la Prefettura, che in questi attimi pensa ad un falso allarme.

I SOCCORSI DOPO IL DISASTRO

I primi soccorsi arrivano solo alle quattro del mattino successivo.

Ci vogliono infatti ore prima che i soccorritori, grazie agli sci, giungano sul luogo della tragedia, poiché nessun altro mezzo è in grado di farlo.

La ricerca dei sopravvissuti è complessa. E ogni minuto che passa sembra cancellare le speranze. Tuttavia la disastrosa valanga risparmia undici vite:

  • il 20 gennaio, vengono salvate 5 persone nella sala biliardo;
  • il giorno successivo, quattro persone vengono estratte vive dall’area del camino del bar;
  • dopo 58 ore dalla valanga, vengono trovati infine gli ultimi due superstiti.

Il calcolo è drammatico: sono 29 le vittime del disastro di Rigopiano.

Il disatro di Rigopiano: l'hotel prima e dopo

La battaglia di giustizia per caso di Rigopiano

In una tragedia ambientale, chi paga? È la Natura ad essere colpevole? Oppure, in certe situazioni, parte della colpa ricade negli uomini di potere?

Queste sono le domande centrali del processo Rigopiano, che entrano di diritto nella storia giudiziaria ambientale italiana.

Nel podcast E poi il silenzio, Trincia usa una metafora incisiva, che sintetizza bene la questione: un singolo fiocco di neve non fa rumore, né provoca un disastro. Quindi ventinove morti sono per forza il risultato di innumerevoli “valanghe”: burocratiche, amministrative e politiche.

In altre parole, queste valanghe rappresentano una catena di negligenze umane: dalla cattiva gestione delle infrastrutture, alla mancata prevenzione, fino alla lentezza nei soccorsi e alla gestione della crisi.

A tal proposito, durante la requisitoria, il Procuratore Giuseppe Bellelli sperava di scardinare le diverse colpe del disastro Rigopiano attraverso una sentenza che potesse affermare il modello di Amministratore Pubblico: una figura che ha «il dovere di prevedere il peggio ed evitare la tragedia».

Tuttavia, come vedremo, il risultato giudiziario non si è per nulla avvicinato alle speranze delle famiglie di Rigopiano. La lotta per la verità e la giustizia — dopo la sentenza di primo grado e il processo di appello — per loro quindi continua.

LA SENTENZA DEL PROCESSO

Nella sentenza di primo grado sono ventinove gli imputati. Una triste coincidenza: parliamo dello stesso numero delle vittime.

I capi di imputazione ipotizzati sono molti: disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni plurime colpose, falso e perfino depistaggio ed abuso edilizio.

Vengono chiesti 150 anni di carcere per gli imputati, mentre i difensori puntano sull’assoluta imprevedibilità dell’evento.

Il 23 febbraio 2022, tuttavia, il Cup del Tribunale di Pescara Gianluca Sarandrea assolve la maggior parte degli imputati, per la “non sussistenza del fatto”. Secondo il Gup, infatti, la tragedia è stata causata solo da un evento naturale imprevedibile.

A venire condannati, con pene lievi, quindi, sono solo:

  • Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola, condannato a due anni e otto mesi, per l’«omissione dell’ordinanza di inagibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano», come riporta Rai News.
  • Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, responsabili come dirigenti della Provincia per la loro condotta relativa al monitoraggio della viabilità delle strade e alla pulizia notturna dalla neve.
  • l’ex gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso e il redattore della relazione tecnica Giuseppe Gatto, a sei mesi di reclusione per falso.

Vengono infine assolti l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e l’ex presidente della Provincia, Antonio Di Marco.

IL PROCESSO D’APPELLO

Il processo di secondo grado in Corte d’Appello ha avuto luogo nel 2024. La sentenza è stata emessa il 14 febbraio e si è conclusa con 8 condanne e 22 assoluzioni.

I giudici hanno quindi confermato le condanne per:

  • il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi di reclusione),
  • i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno),
  • il tecnico Giuseppe Gatto (sei mesi),
  • l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso (sei mesi),
  • l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, per falso e omissioni di atti d’ufficio (un anno e otto mesi),
  • Leonardo Bianco, ex capo di gabinetto della Prefettura (un anno e quattro mesi), e Enrico Colangeli, tecnico comunale di Farindola (due anni e otto mesi).

Gran Sasso, Luigi Alesi (https://www.flickr.com/photos/gigi62/198335611)

Cosa abbiamo imparato dal dramma di Rigopiano?

Il caso Rigopiano è emblematico, per la profonda attenzione che pone sulla responsabilità umana e giuridica di fronte alle tragedie naturali.

Le condanne ottenute in appello ci ricordano che la forza inarrestabile della natura non esonera dall’obbligo di una gestione accurata e preventiva dei rischi.

Per questo motivo, affidarsi alla retorica dell’evento imprevedibile non è più sufficiente: la gestione del rischio e dell’emergenza sono essenziali, affinché tragedie come quella di Rigopiano non si ripetano.

La questione è di certo molto complessa. Tuttavia non possiamo passare avanti. Non lo possiamo fare per le 29 vittime e non lo possiamo fare perché viviamo in un mondo sempre più imprevedibile.

In quest’era geologica — tra cambiamento climatico e naturale percorso di vita della Terra — l’uomo deve imparare a farsi piccolo di fronte alla natura assassina. Ciò non significa però che la colpa sia solo della Natura.

Spesso, infatti, parte della responsabilità è degli uomini, che non applicano le dovute precauzioni. Come nel caso di Rigopiano.

GESTIONE DEL RISCHIO IN NATURA

Molte lezioni importanti emergono da questa vicenda, e una delle più rilevanti riguarda la gestione dell’emergenza naturale. Facciamo quindi un passo indietro, per comprendere una parte delle responsabilità umane di questo caso.

A fine anni ‘50, l’hotel Rigopiano è una semplice baita in pietra di due piani: un rifugio del Club Alpino Italiano. Poi, una serie di passaggi di proprietà — dalla Del Rosso srl alla Gran Sasso Resort — trasformano l’hotel in un cattedrale di 1200 metri di altezza, con 43 camere, un campo da tennis e una spa, come riporta Valigia Blu.

Qual è il problema? La struttura di lusso viene costruita alle pendici di una delle vette più alte e innevate d’Italia. Un rischio non da poco. Ma come è stato possibile?

Prima del 2017 ci sono state «segnalazioni, denunce, esposti», ricorda Valigia Blu. E, prima ancora, nel 2008, i proprietari sono perfino finiti a processo: l’accusa era di aver favorito scambi di denaro e posti di lavoro, con lo scopo di nascondere «la presunta occupazione abusiva del suolo pubblico».

Per non parlare poi delle considerazioni geologiche incongruenti:

  • secondo le mappe geomorfologiche della Regione Abruzzo e il Piano di Assetto Idrogeologico del 2007, l’hotel si trovava sopra colate di detriti, inclusi quelli da valanghe.
  • Secondo invece la presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana, la zona non era classificata come area a rischio in base alle mappe ufficiali.

Incongruenze, imbrogli e indifferenza: è questo che emerge dalla storia dell’hotel Rigopiano. Un esempio lampante di come le logiche di mercato e gli interessi personali possano prevalere sull’attenzione ai rischi ambientali.

INFORMAZIONE E DISASTRI NATURALI

C’è un’altra lezione cruciale: il ruolo dell’informazione.

Come sostiene l’attivista Augusto De Sanctis — in un articolo del magazine Valigia Blu — il mondo del giornalismo ha spesso trattato tragedie come quella di Rigopiano senza la necessaria analisi scientifica, limitandosi a riportare posizioni di potere.

Per De Sanctis, invece, il cambiamento deve riguardare anche il modo in cui il giornalismo affronta i temi legati alla sicurezza e ai disastri ambientali.

Spesso, infatti, la sicurezza ambientale e i cambiamenti climatici sono percepiti come argomenti tecnici e complessi, poco accessibili al pubblico. Qui, dunque, il giornalismo deve intervenire, adottando un approccio che renda questi temi più comprensibili e rilevanti per i cittadini.

Grazie anche ad un giornalismo più consapevole, infatti, possiamo sperare di irrobustire la sensibilità e il senso di responsabilità collettiva di fronte alle calamità naturali. Un piccolo gesto per rispondere al dolore delle famiglie di Rigopiano.

Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 05.10.2024

Approfondimenti consigliati

Per approfondire i diversi aspetti che orbitano intorno alla tragedia di Rigopiano, il blog vi consiglia questi ottimi contenuti:

  • un articolo di Geopop, per un’analisi tecnico-geologica;
  • il documentario Prime Video Rigopiano: voci dal gelo;
  • il podcast RAI Rigopiano – Cronache dalla valanga.

Signore delle cime. La canzone omaggio