Maria Luigia Redoli prese l’ergastolo per avere ucciso il ricco marito con l’aiuto del giovane amante.

C’è un vecchio caso di cronaca nera e giudiziaria – il Giallo della Versilia – che ancora oggi non convince nei suoi esiti. È quello dell’uccisione di Luciano Iacopi, 69 anni nel 1989, ricco agente immobiliare, che prestava soldi a tassi d’usura.

Il delitto è stato attribuito alla moglie Maria Luigia Redoli, morta nel 2019 a 80 anni, quale mandante dell’omicidio, avvenuto in Versilia nella calda notte tra il 16 e il 17 luglio del 1989.

A quel tempo la donna, avvenente e dalla vita spensierata, madre di due figli avuti da una precedente relazione con un carabiniere, aveva 50 anni.

Dopo un contrastato iter giudiziario, Maria Luisa Redoli – assolta in primo grado – nel 1991 fu condannata, in appello, all’ergastolo.

L’esecutore materiale dell’assassinio sarebbe stato, secondo i giudici, Carlo Cappelletti, allora 23enne, amante della donna. Anche lui fu condannato, in appello, all’ergastolo.

UN’EREDITÀ DA 7 MILIARDI DI LIRE

Il motivo alla base del delitto, secondo l’accusa? Voler ereditare ben 7 miliardi di lire e fare la bella vita.

Maria Luigia Redoli è passata alla storia come la “Circe della Versilia”. A seguito della condanna definitiva, è uscita dal carcere di Opera (Milano) dopo aver scontato 24 anni per l’uccisione del marito.

Fuori dal carcere la donna aveva trovato casa nel Pavese, ma poi – ammalata al cuore e ai reni – si era ritirata in un piccolo appartamento a pianterreno in un palazzina di via Pietro Leopoldo, a due passi dal tribunale di Arezzo. Qui è morta nel 2019.

Maria Luigia Redoli - Circe della Versilia - Omicidio - amante Carlo Cappelletti
Maria Luigia Redoli, la Circe della Versilia, alla trasmissione Rai “Telefono Giallo” prima della condanna all’ergastolo

L’omicidio a Forte dei Marmi

La vicenda per cui Maria Luigia Redoli diventò celebre, suo malgrado, fu l’assassinio del facoltoso marito, il 69enne agente immobiliare Luciano Iacopi, avvenuto nel luglio del 1989 fa a Forte dei Marmi (Lucca).

Un delitto – come hanno stabilito i giudici – consumato a sangue freddo dalla Redoli, allora cinquantenne, e dal suo giovane amante dell’epoca, il carabiniere a cavallo Carlo Cappelletti, che aveva 23 anni.

A occuparsi dell’efferato episodio – Iacopi fu trucidato con 17 coltellate – fu un aretino d’adozione, l’ex comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Arezzo, Giuseppe Lettini. All’epoca dei fatti, Lettini era il giovane comandante della compagnia dei carabinieri di Viareggio.

Con lui, protagonista delle indagini fu anche i maresciallo Giovanni (Giovannino) Pudda, comandante della stazione carabinieri di Forte dei Marmi dal 1977 fino al 1994. Pudda scrisse anche un libro sul caso: La Circe della Versilia (cronaca dell’omicidio Iacopi).

Nel cuore della notte – erano le 3 del 17 luglio 1989 –  il maresciallo Pudda, quale comandante della stazione dell’Arma di Forte dei Marmi, chiamò il comandante della compagnia dei Carabinieri, Lettini.

Quest’ultimo, assieme al comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Viareggio e al sostituto procuratore di Lucca dell’epoca di turno, Domenico Manzione, si recò così sul teatro della tragedia.

IL GARAGE DEL DELITTO

Quando gli inquirenti si presentarono nel garage del delitto trovarono uno spettacolo raccapricciante, il corpo di Luciano Iacopi era riverso a terra in un lago di sangue, ucciso da 18 coltellate (le coltellate furono 17, secondo un’altra versione, ma poco cambia).

Le indagini portate avanti dalla squadra di Lettini e dai carabinieri si risolsero in poco più di due settimane. Individuarono in Maria Luigia Redoli la mandante dell’omicidio. E in Carlo Cappelletti l’esecutore.

La pista dell’usura e dell’odio che molti avevano contro Iacopi non fu ritenuta meritevole di essere approfondita.

Rimase intrappolata nell’inchiesta anche la figlia della Redoli, l’allora 19enne Tamara, poi scagionata.

Ad incastrare i due amanti Redoli e Cappelletti furono da un lato le intercettazioni telefoniche, dall’altro le indagini tradizionali. Alcune frasi pronunciate al telefono, convinsero gli inquirenti che il killer era Cappelletti, mentre la mandante era Maria Luigia Redoli.

Quest’ultima aveva insospettito gli investigatori già al momento del ritrovamento del corpo del marito Luciano, nel garage della villetta in cui vivano.

La donna disse che l’uomo aveva una certa cifra di danaro nel portafoglio.

Al che i carabinieri, che svolgevano l’indagine, si chiesero come la Redoli potesse sapere del denaro, dato che quel giorno non aveva visto il marito. E dato che non aveva toccato il corpo dopo il ritrovamento in un lago di sangue.

DICHIARAZIONI COMPROMETTENTI

Per far cadere in contraddizione i sospettati Redoli e Cappelletti, i carabinieri avevano diffuso una falsa informazione: il ritrovamento di una finta arma del delitto.

Carlo Cappelletti, intercettato, dichiarò a un amico: “Ancora sono in alto mare”, tradendosi.

Vi era poi il dettaglio dei due mazzi di chiavi del garage dove Iacopi era stato ucciso.

Un mazzo l’aveva Maria Luigia Redoli. L’altro mazzo era stato lasciato nell’abitazione dal marito ucciso. Il garage era invece chiuso in un modo che solo chi aveva le chiavi poteva aprire e chiudere la porta.

La donna fu assolta in primo grado. Fu invece condannata nel 1991 in Appello, con sentenza confermata in Cassazione.

Una condanna che non convince

La sentenza di condanna di Maria Luigia Redoli, tuttavia, nonostante i sospetti e le coincidenze, non convince.

In meno di 20 minuti la Redoli e il suo amante Cappelletti, in pieno luglio col traffico automobilistico di quel periodo, avrebbero dovuto:

  • attirare il marito di lei nel garage teatro del delitto
  • colpire il marito con 17 coltellate senza imbrattarsi di sangue
  • agire mentre i due figli di lei aspettavano fuori in macchina
  • compiere l’omicidio poco dopo aver salutato i carabinieri
  • agire in un arco temporale ridottissimo

Inoltre, Redoli e Cappelletti avrebbero dovuto uscire dal garage assicurandosi di non pestare alcuna macchia di sangue che inondava il luogo del delitto.

I due amanti avrebbero poi dovuto raggiungere il locale “La Bussola” di Viareggio, a circa 10 km di distanza, ed entrare a ballare. Il tutto tra le 21.45 e le 22.05.

Luciano Iacopi alle 21.45 è ancora vivo. Telefona all’amante che ha incontrato, a Follonica, quel giorno. 

Da parte loro, Maria Luigia Redoli con i figli Tamara (19 anni) e Diego (14 anni) e l’amante Carlo Cappelletti vengono notati alla discoteca “La Bussola” qualche minuto dopo le 22.

Come possono aver ucciso Luciano Iacopi, ci si chiede, in pochi minuti? Per poi ripulirsi e presentarsi in discoteca? E come possono averlo fatto all’oscuro dei figli della Redoli?

TEMPI E MODI DELL’OMICIDIO NON CREDIBILI

I tempi in cui l’omicidio sarebbe dovuto avvenire. Le condizioni di Cappelletti, con la mano ingessata. La mancanza di una sola goccia di sangue. Tutto questo mina la pronuncia di condanna in appello.

Errore giudiziario? Il sospetto è fondato. Vi è poi un particolare che non è stato per niente considerato in Corte d’Assise d’Appello e in Cassazione.

Tutta la dinamica omicidiaria non prende in alcun modo in considerazione il fatto che se gli eventi sono andati come indicato dai giudici, quindi con Redoli e Cappelletti colpevoli, al momento dell’omicidio i due figli della Redoli, la femmina maggiorenne e il maschio 15enne, dovevano essere in macchina sotto casa ad aspettarli.

Veniamo poi ai tempi del delitto. Maria Luigia Redoli, l’amante Cappelletti e i due figli di lei, oltre ad essere stati insieme tutto il giorno, alle 21.30 erano in macchina quando, passando sotto casa, incrociano e salutano un’auto dei carabinieri.

I DUE AMANTI NOTATI DAI CARABINIERI

C’è poi un altro elemento che sconcerta. Usciti dal ristorante San Domingo, dove hanno cenato, Redoli, Cappelletti e i due figli di lei, in auto, passano davanti alla abitazione dove si trova Iacopi, senza fermarsi. E incrociano un’auto dei carabinieri.

Il saluto dei due amanti ai carabinieri è un altro fatto che rende improbabile che la Redoli e Cappelletti prima siano stati visti sotto casa dai militari di pattuglia. E che 15 minuti dopo compiano l’omicidio.

Chiunque eviterebbe di uccidere una persona nel luogo e nel tempo in cui pochi minuti prima è stato visto dalla polizia.

Alle 22 e qualche minuto, i due amanti e i due figli di lei entrano insieme nella discoteca “La Bussola”, a Viareggio.

Maria Luigia Redoli e Cappelletti, hanno testimoniato i due figli, non si sono mai allontanati dal locale. Da escludere, quindi, che proprio durante la permanenza in discoteca, Cappelletti possa essere tornato alla casa di lei per uccidere – in un lasso di tempo di venti minuti – il marito.

La testimonianza dei figli è attendibile. Tant’è che i due giovani non sono stati considerati conniventi con la madre e l’amante nell’ambito dell’imputazione di omicidio alla Redoli e al Cappelletti.

Da rilevare, poi, che non è stata trovata una sola goccia di sangue addosso alla Redoli e all’amante.

Cappelletti, è bene ricordarlo, aveva poi un dettaglio incoerente con l’azione omicida attraverso un coltello: ha il gesso alla mano destra, la sua mano dominante, che è frutto di una frattura al pollice.

IL RITORNO IN DISCOTECA SENZA CAMBIARSI D’ABITO

Nella ricostruzione fatta dagli inquirenti, l’omicidio sarebbe stato seguito, poi, dal ritorno in discoteca alle 22, senza possibilità di cambiarsi dopo aver ucciso con 17 coltellate il marito della “Circe della Versilia”.

Siamo di fronte a tempi, modi e condizioni che non sono coerenti. Né probabili. 

Da rilevare, inoltre, il profilo dell’immobiliarista ucciso. Quando Luciano Jacopi è morto a Forte dei Marmi, è cosa nota, nei bar hanno stappato bottiglie di spumante e brindato.

Era noto in tutta la città in quanto era uno strozzino e prestava soldi a tassi di interesse spaventosi. Segnava tutti i prestiti erogati su una agenda: la famiglia intera lo sapeva.

L’AGENDA SPARITA E LA PISTA DELL’USURA

Questa agenda non è mai stata ritrovata. Non a caso, in un clima di silenzio e omertà, nessuno è andato dalla polizia a dire che si era fatto prestare dei soldi da lui, ovviamente, per non attirare l’attenzione su di sé. Eppure l’attività di usuraio dell’uomo ucciso era ben nota.

La pista dell’usura non è stata indagata. Gli inquirenti hanno preferito rimanere concentrati su Maria Luigia Redoli e sul suo amante Carlo Cappelletti.

Infine, da rilevare che l’immobiliarista Jacopi il giorno del delitto era stato tutto il giorno a Follonica da un’amante che gli aveva preparato un ricco pranzo.

Iacopi è poi tornato a casa per cena. L’esame autoptico ha rivelato che nello stomaco l’uomo aveva delle melanzane sott’aceto, di cui non è stata trovata alcuna confezione dentro casa. Mentre le melanzane non erano presenti nel menù di pranzo dell’amante.

Infine, un elemento che viene evidenziato solo alcuni anni dopo l’omicidio: il lago di sangue in cui si trova Luciano Iacopi, nel garage, a un esame attento avvalora la tesi – secondo gli esperti della difesa – che l’usuraio sia stato ucciso ben dopo le ore 22. Il che esclude Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti dall’assassinio.

Non tutte le ombre, tuttavia, vengono allontanate dalla “Circe della Versilia”: la sua volontà di vedere il marito morto, secondo la testimonianza di un mago a cui era solita rivolgersi e a cui ha dato 15 milioni di lire, pare dimostrata.

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Quanto ha pesato il pregiudizio sulla Redoli?

La conclusione, a livello giudiziario, è stata contrastata per Maria Luigia Redoli.

In primo grado l’assoluzione è arrivata dopo sole tre ore di camera di consiglio; in Corte d’Assiste d’Appello per arrivare alla condanna ci sono voluti due giorni.

Il suo amante, Carlo Cappelletti, è stato condannato all’ergastolo. Da alcuni anni è in regime di semilibertà. 

Come scrive il quotidiano La Nazione, Graziano Maffei, l’avvocato viareggino che difese Redoli e Cappelletti, si dice “sicuro che siano stati condannati senza prove. Con una sentenza che è un esempio di travisamento dei fatti, di illogicità, di contraddittorietà della motivazione”.

L’IMMAGINE DI UNA DONNA SPOSATA (CON AMANTE)

Per l’avvocato Maffei, ad orientare l’opinione pubblica fu soprattutto un aspetto: “Era un’Italia nella quale l’immagine di una donna cinquantenne, bella che aveva una storia con un ragazzo di 23 anni veniva vista con qualche pregiudizio”.

Maria Luigia Redoli, soprannominata la Circe della Versilia per i suoi interessi per la magia e l’occultismo, è quindi passata alla storia giudiziaria, assieme al suo amante Carlo Cappelletti, come l’assassina del marito, l’immobiliarista Luciano Iacopi, noto usuraio.

La domanda resta intatta, oggi come nel 1991, quando fu pronunciata la sentenza dell’ergastolo per i due amanti: Maria Luigia Redoli, e il giovane Cappelletti, erano davvero colpevoli? E ancora: perché non si è battuta la pista dell’usura?

Testo a cura di Davide Mascitelli del gruppo Facebook “Crimini Italiani”

(Foto di copertina. Thanks to Josh Appel – Unsplash)

La “Circe della Versilia” a Telefono Giallo

Per comprendere a fondo il “Giallo della Versilia”, è fondamentale seguire questa puntata di Telefono Giallo, con Corrado Augias, sulla Rai nel 1991, e le due puntate di Ombre sul Giallo, con Franca Leosini, sulla Rai dal 2004 al 2008.

Ombre sul Giallo. Le puntate sul caso criminale in Versilia

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