Le zone d’ombra dell’ufficio scena del crimine dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, dal 1990 al 2024.

In Via Carlo Poma 2 sono rimasti intrappolati molti segreti. Tra le ragnatele del silenzio dell’Ufficio degli Ostelli A.I.A.G. si potrebbe nascondere la verità sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, la segretaria di vent’anni uccisa il 7 agosto 1990.

A distanza di tre lunghi decenni, nel 2022 giornalisti investigativi e inquirenti sono ripartiti proprio da Via Poma con l’ennesima riapertura del cold case romano.

Alla base delle nuove ricerche, un’inchiesta del 1996, che per prima ha cercato di ripulire l’ufficio della vittima dai suoi sinistri misteri.

L’Ufficio di Via Carlo Poma 2: le indagini del 1996

Solo sei anni dopo la morte della giovane Simonetta, per la prima volta gli inquirenti concentrano i loro sforzi investigativi intorno all’A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù).

Nel 1996, infatti, gli inquirenti, dopo due piste cadute nel vuoto — Pietro Vanacarore e Federico Valle — tornano in Via Carlo Poma 2, salgono al terzo piano ed entrano nell’appartamento 7, luogo del misterioso delitto.

Durante le indagini, l’ambiente dell’A.I.A.G. appare come una rete complessa di testimonianze contraddittorie, documenti scomparsi e grandi silenzi. 

In cima a questa oscura piramide dell’ufficio, il suo presidente: Francesco Caracciolo Di Sarno, un avvocato ben inserito nel mondo della Roma che conta.

IL LAVORO DI SIMONETTA: DALLA RELI, ALL’A.I.A.G.

Non si è mai capito fino in fondo perché l’Ufficio degli Ostelli avesse bisogno di un dipendente esterno.

Ecco il motivo per cui, anche nel 1996, gli inquirenti vogliono capire perché Simonetta stava lavorando all’A.I.A.G., un cliente della Reli, ufficio commerciale e contabile dove la giovane era segretaria. 

Secondo la versione ufficiale, nel 1990 Caracciolo chiede aiuto alla Reli, per chiudere la contabilità estiva degli Ostelli, poiché in ritardo con l’immissione informatica dei dati. La Reli, come sappiamo, manda Simonetta a partire da giugno.

Durante gli anni, però, alcuni dipendenti hanno in parte smontato questa versione. Secondo loro, infatti, la contabilità arretrata si poteva gestire internamente e, all’arrivo di Simonetta, la situazione era quasi risolta.

Perché allora nell’estate del 1990 Simonetta stava lavorando in via Poma? Non lo sappiamo di preciso. Anche perché, né il Presidente Caracciolo né il direttore dell’ufficio Corrado Carboni sono mai riusciti a spiegare le mansioni di Simonetta per l’A.I.A.G.

Un’affermazione di estraneità ancora più strana se pensiamo che la ragazza era perfino affiancata da un tutor, il ragionier Menicocci. Una formazione di cui ancora oggi sfuggono le finalità e l’utilità, sollevando solo altre domande.

Infine, ulteriori testimonianze dei dipendenti dell’A.I.A.G. hanno negli anni smentito almeno in parte il disinteresse di Caracciolo di Sarno sul lavoro di Simonetta.

A quanto pare, infatti, quell’estate, la decisione di far lavorare Simonetta il pomeriggio — quando l’ufficio era chiuso al pubblico — è stata fatta proprio dall’avvocato: Caracciolo di Sarno qualcosa su Simonetta la doveva quindi pur sapere.

simonetta cesaroni al mare

CHI CONOSCEVA SIMONETTA CESARONI?

Simonetta Cesaroni inizia a lavorare all’A.I.A.G. il 19 giugno 1990. Fino al 25 luglio, la ragazza è affiancata da un tutor, il ragioniere Luciano Menicocci. 

La ragazza lavora in Via Poma solo il martedì e il giovedì pomeriggio, quando l’ufficio degli Ostelli è chiuso al pubblico ma in parziale attività: infatti, tutti i dipendenti devono coprire a turno un pomeriggio a settimana.

Eppure, in quell’ufficio, nessuno — a parte Menicocci — sembra aver mai conosciuto Simonetta, una collega che per ben due mesi lavora lì.

Secondo gli esperti del caso, il silenzio dei dipendenti di Via Poma è anche una delle grandi bugie sul delitto: bugie o indifferenza verso l’altro.

LE PROVE SPARITE

Durante le indagini del 1996, gli inquirenti concentrano la loro attenzione anche su alcune possibili prove presenti nell’ufficio degli Ostelli della Gioventù. 

Con un notevole ritardo, il 7 agosto, la Procura di Roma chiede il sequestro del computer di Simonetta Cesaroni: un modello Data General DG 10.

Sempre nel 1996, gli inquirenti chiedono inoltre di visionare anche i fogli di presenza, non aspettandosi delle nuove nuvole su Via Poma.

Gli inquirenti, infatti, scoprono che i dati relativi al periodo tra il 10 luglio e il 13 novembre 1990 — finestra temporale che comprende anche la data dell’omicidio — non erano disponibili. I documenti infatti erano stati smarriti tempo prima. O così si pensava.

Come presto vedremo, infatti, nel 2024 la famiglia ha ritrovato il foglio presenze del 7 agosto 1990.

LA CATTIVA GESTIONE DEGLI UFFICI DI VIA POMA

Secondo un dossier del 1992 del Commissariamento degli Ostelli, la gestione di Caracciolo all’interno dell’A.I.A.G. è sempre apparsa poco trasparente. In particolare, nel documento è presente un misterioso riferimento alla ristrutturazione dell’Ostello del Foro Italico. 

Questa informazione ha alimentato una teoria intricata, quasi quanto un legal thriller di John Grisham. Secondo questa ipotesi, nell’estate 1990, Simonetta potrebbe aver scoperto un giro di affari loschi. 

Questa idea investigativa per molte persone è plausibile, in quanto, il giorno del delitto, Simonetta ha con sé una cartellina beige — come ricorda la sorella Paola — con all’interno il nome dell’Ostello del Foro Italico.

Tuttavia, esperti del caso come Igor Patruno e Max Parisi, hanno sempre ritenuto improbabile questa ipotesi. Secondo loro, il lavoro di Simonetta era semplice e non comprendeva mansioni che l’avrebbero avvicinata ad informazioni compromettenti. 

Inoltre, Simonetta, essendo una semplice segretaria contabile, è improbabile che fosse in grado di leggere un bilancio e di scoprire eventuali irregolarità.

L’ospite inatteso: Caracciolo di Sarno entra nel processo Busco

Nel 2010, nell’ambito dell’inchiesta su Raniero Busco — fidanzato di Simonetta all’epoca dell’omicidio  — si scopre qualcosa di nuovo sul giorno del delitto: alcune curiose telefonate al Presidente degli Ostelli. 

Il 7 agosto 1990, infatti, l’avvocato Caracciolo riceve due chiamate nella sua casa di Tarano, alle 20:30/21.00 e alle 23:00. Le chiamate, in realtà, sono dirette a Mario Macinati, suo fattore, poiché la casa di Caracciolo nel 1990 è sprovvista di una linea telefonica. 

A rispondere, però, è la moglie di Macinati: la signora riferisce che un uomo non identificato, il 7 agosto chiama due volte, per mettersi in urgente contatto con Caracciolo. L’uomo, inoltre, dice di chiamare da un ostello.

Nel 2010, il pubblico ministero alla luce di questa nuova informazione ipotizza due possibili catene causali. Il giorno del delitto:

  1. Busco si reca in Via Poma, inizia un approccio con Simonetta, che viene interrotto. Lui perde il controllo, morde il capezzolo, la tramortisce a terra e la ferisce con 29 coltellate.
  2. Il portiere Vanacore trova il cadavere e invece di chiamare la polizia, contatta Caracciolo, Carboni (il direttore dell’A.I.A.G.) e, forse, Volponi e Bizzocchi (superiori della vittima alla Reli).

LA SECONDA CATENA CAUSALE

Con l’assoluzione di Raniero Busco, la prima catena di azione si spezza. Tuttavia, la seconda rimane ben salda. Infatti le due narrazioni non sono dipendenti l’una dall’altra. 

Per di più, la seconda catena causale è sempre stata una sensazione costante per chi si è occupato del caso. Per molti esperti dell’omicidio, infatti, qualcuno ha sempre saputo del delitto di Via Poma, prima della scoperta ufficiale del cadavere alle 23.30. 

Un’ipotesi che trova conferme anche in molte piccole scene del 7 agosto 1990, come si può leggere nella sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma (2012).

A favore di questa ipotesi troviamo: 

  • l’esitazione della signora De Luca — moglie del portiere Vanacore — nel consegnare le chiavi dell’ufficio ai poliziotti.
  • «Il possesso da parte della De Luca delle chiavi con il nastrino giallo», ovvero il mazzo di chiavi dell’Ostello e non della portineria.
  • «Il rinvenimento dell’agendina rossa Lavazza di Vanacore fra gli effetti personali di Simonetta».
  • Lo strano comportamento di Salvatore Volponi, che potete approfondire in un altro articolo del blog.
  • Infine, le telefonate a Mario Macinati a tarda sera, da parte di un misterioso individuo in cerca di Caracciolo.

La riapertura della Procura di Roma: le nuove indagini

Nel 2022, la Procura di Roma riapre il caso Cesaroni, attraverso un fascicolo contro ignoti e una Commissione di Inchiesta Parlamentare. 

La riapertura avviene grazie a un esposto della famiglia di Simonetta, dopo l’acquisizione di nuovi elementi convincenti. 

Tra gli aspetti cruciali per la riapertura del caso troviamo gli alibi, spesso poco chiari e mal verificati, soprattutto perché controllati in base all’orario impreciso e incompleto di morte dell’autopsia.

Nel 2020, inoltre, emerge una testimonianza inedita su uno degli alibi considerati da sempre inespugnabili. 

Questa scoperta viene portata alla luce da Antonio Del Greco, ex capo della squadra omicidi, in un’intervista a Rai 3, dopo essere stato contattato da un’ex dipendente dell’A.I.A.G. con delle nuove informazioni interessanti.

Non sappiamo però ancora nulla di preciso, poiché le indagini sono ancora in corso.

Tuttavia, secondo il quotidiano La Repubblica, si tratterebbe dell’alibi dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno. E, in effetti, delle incongruenze sull’alibi dell’avvocato sono già emerse negli anni. 

Caracciolo di Sarno

FRANCESCO CARACCIOLO DI SARNO: L’ALIBI 

Caracciolo di Sarno — all’epoca del delitto un avvocato con due appartamenti vicino a Via Poma — il 7 agosto accompagna la figlia e le sue amiche all’aeroporto, intorno alle 17.30. Subito dopo, il Presidente degli Ostelli si reca in campagna, nella sua tenuta di Tarano. 

L’alibi familiare di Caracciolo, lo tiene al riparo da possibili accuse formali sul delitto per decenni. Qui arriva però il colpo di scena.

Come si vede nel documentario RAI dedicato al caso, il giornalista di Repubblica Giacomo Galanti e i suoi colleghi hanno riportato alla luce un documento dagli archivi. La prova resuscita dagli abissi è una testimonianza preziosa, che può riscrivere le azioni di Caracciolo nel giorno del delitto. Un documento, in realtà, redatto solo due anni dopo l’omicidio.

IL DOCUMENTO CONTRO L’ALIBI

Il documento sull’alibi alternativo di Caracciolo è datato 11 gennaio 1992.

Più che un documento parliamo di «due paginette ingiallite», come dice Galanti, mai prese in considerazione, con informazioni firmate da un agente della Digos sulle azioni di Caracciolo il giorno del delitto. In questi due fogli compare la testimonianza della portiera di uno degli edifici dell’avvocato, la signora Bianca.

Nel 1992 la signora riferisce alcune azioni dell’avvocato del 7 agosto 1990, a partire da uno strano e inusuale comportamento dell’uomo. Quel giorno, infatti, Caracciolo, prima di partire per l’aeroporto, saluta la portiera, diversamente dal solito.

Fin qui parliamo però solo di sensazioni personali. Nelle righe successive, invece, si concentrano delle informazioni più importanti.

Secondo la signora Bianca, quel giorno Caracciolo dopo l’aeroporto fa ritorno al palazzo, con fare «affannato, e con un pacco mal avvolto». 

Questa testimonianza contraddice la versione ufficiale dell’avvocato: infatti, Caracciolo ha sempre sostenuto di essere andato direttamente a Tarano, a circa 70 km da Roma, dopo aver accompagnato la figlia.

La signora Bianca conclude la testimonianza ricordando che Caracciolo quel giorno, lascia un’ultima volta il palazzo, questa volta con una borsa. 

Nonostante la portiera avesse offerto la sua disponibilità agli inquirenti, loro non l’hanno mai convocata. Ci possiamo quindi chiedere perché, alla luce di queste nuove informazioni, Caracciolo e la sua portiera non siano stati ascoltati nel 1992.

Possiamo ipotizzare che, in quel momento, gli inquirenti fossero accecati dall’amore per un’altra pista investigativa, ovvero quella su Federico Valle.

LA PORTIERA: LA DICHIARAZIONE DEL 2005

Nel 2005, con le indagini ormai stagnanti, la portiera dell’avvocato Caracciolo viene riascoltata. 

Nonostante siano passati 13 anni dal 1992, la signora riesce a ricordare qualche dettaglio, messo poi a verbale:

  • la portiera dichiara di aver visto Caracciolo nei pressi di Via Poma il 7 agosto, vicino alla sua abitazione. 
  • Intorno alle 18.00, la donna nota l’avvocato tornare a casa, accompagnato da un uomo sconosciuto e portando con sé una valigetta in pelle. 

La discrepanza è evidente: nella versione del 2005, la signora Bianca sostituisce il pacco mal avvolto descritto nella testimonianza del 1992 con una valigetta.

 
L’ulteriore stranezza di questa pezzo di puzzle del cold case è che l’identità dell’uomo in compagnia di Caracciolo non è mai stata approfondita.

MARIO MACINATI

In questo articolo ho fatto largo uso della narrazione presente nel podcast Le ombre di Via Poma di Giacomo Galanti: un lavoro giornalistico esemplare.

Galanti ha concluso — per ora — il suo lavoro d’indagine andando a trovare la famiglia Macinati a Stamigliano, luogo dove oggi vivono. 

La sensazione del giornalista — che potete ascoltare nella puntata 7 del podcast — è che Mario Macinati abbia imparato una filastrocca: una confusa cantilena che l’uomo sta ripetendo da anni, dai tempi del processo, quando innervosì perfino il giudice.

Ciò nonostante, Mario Macinati, la moglie e il figlio rimangono tre potenziali testimoni chiave. Infatti sono le uniche tre persone con delle possibili informazioni sulle telefonate a Caracciolo il giorno del delitto. 

Questo perché il diretto interessato non può più rispondere: Francesco Caracciolo di Sarno è morto nel 2016 e oggi è sepolto nel cimitero di Tarano.

Conclusione: la probabile archiviazione del caso

Come scrive Fan page, la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione delle nuove indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, riaperte nel marzo 2022. 

Nonostante la presentazione di nuove prove e idee investigative, la Procura ritiene che non ci siano elementi sufficienti per continuare le indagini.

Questa decisione rappresenta una sconfitta, soprattutto alla luce delle numerose incongruenze e bugie che circondano da decenni il palazzotto giallo di Via Poma. 

La data fissata per l’archiviazione da parte del gup dell’inchiesta è il 19 novembre 2024. A far ben sperare è però un importante documento ritrovato dalla famiglia: il foglio presenze del 7 agosto 1990, il giorno del delitto.

IL FOGLIO PRESENZE RITROVATO

L’importante documento ritrovato dalla famiglia Cesaroni mette in luce un’informazione inedita, su una dipendente di Via Poma proprio il giorno del delitto.

Il 7 agosto 1990, la dipendente dell’ A.I.A.G. Giusy Faustini non ha segnato l’orario di uscita sul foglio presenze. Quindi, la donna potrebbe aver visto qualcosa quel fatidico giorno. O, quantomeno, potrebbe aver incontrato Simonetta.

In un’intervista sul canale YouTube Indagini Aperte, Gian Paolo Pelizzaro ha specificato che, nel documento, la colonna della firma è compilata, come tutti i giorni. Mentre rimane il buco nell’orario di uscita: colonna che ritorna ad essere riempita nei giorni successivi.

L’importante documento che dimostra la presenza della Faustini il pomeriggio del delitto è rimasto nascosto nell’ombra per 34 anni e ritrovato dalla famiglia della vittima nel 2024, grazie all’aiuto di Igor Patruno

Bensì il foglio presenze del 7 agosto sia una prova importante, in realtà le informazioni al suo interno erano già emerse negli anni, senza però poter mai essere provate. Proprio Gian Paolo Pelizzaro — mentre scriveva un libro inchiesta — scoprì queste informazioni, supportate dalle dichiarazioni della signora Berrettini. 

Infatti, è stata propria la dipendente Luigina Berrettini ad informare Pelizzaro e a consegnare una copia del foglio presenze al padre della vittima, prima che sparissero dall’ufficio di Via Poma. Probabilmente, quindi, il documento è rimasto per oltre trent’anni tra i faldoni di prove della famiglia Cesaroni.

EPPURE TUTTI MENTONO 

Secondo l’avvocatessa della famiglia Cesaroni, molti nell’ufficio dell’A.I.A.G. non hanno collaborato all’indagine:

  • per paura di finire nel tritacarne mediatico, come successo a Vanacore;
  • per indifferenza;
  • per mancanza di fiducia nei confronti della giustizia;
  • infine, per una deliberata volontà di mentire. 

Le testimonianze discordanti, a tratti assurde, i documenti scomparsi, la riapertura dell’ufficio poco dopo il delitto: tutto questo fa pensare che dentro l’appartamento 7, al terzo piano di Via Carlo Poma, sotto i cieli di Roma, si nasconda la verità dal 1990.

Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 02.08.2024

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