Su Netflix una serie con l’ambizione di rivelare gli scandali dell’alta classe borghese britannica.
Anatomia di uno scandalo è una serie televisiva, in sei episodi, che si guarda volentieri. La serie è tratta dall’omonimo romanzo di Sarah Vaughan.
Non devi, tuttavia, farti conquistare dalla promessa che la serie Netflix riveli per davvero gli scandali dei “poteri forti” del Regno Unito.
L’anatomia degli scandali del Potere, a mio parere, la si esegue in altro modo. Qui abbiamo solo la violenza sessuale di un ministro che non ha molta considerazione delle donne.
Non è abbastanza grave come scandalo? Certo che è grave. Il problema è altro:
- per tutta la serie tv siamo concentrati sulla giovane donna che dice di essere stata costretta a un rapporto sessuale dall’ex amante, l’attraente ministro dell’Interno;
- per tutta la serie tv ci chiediamo se lei mente o se esagera e se lui è in buonafede oppure è un violento e un misogino
Nulla ci porta a tematizzare l’aspetto più importante, che sottende la vicenda, ma non viene mai esplicitato.
Non si tematizza una certa “cultura maschile e alto-borghese” entro cui matura una visione di dominazione sulle donne. E un certo modo di rapportarsi con loro da parte dei ricchi figli dell’élite britannica.
Anatomia di uno scandalo. La trama
Il ministro britannico dell’Interno, James Whitehouse (interpretato da Rupert Friend), del partito conservatore Tory Party, fa una confessione alla moglie Sophie (interpretata da Sienna Miller).
Le racconta di aver avuto una relazione con la propria assistente Olivia Lytton (interpretata da Naomi Scot). Gioca così d’anticipo, prima che la notizia arrivi ai media e metta sottosopra il governo.
È in discussione, infatti, alla Camera dei Comuni, una delicata legge sull’immigrazione.
Scoppia lo scandalo. Il ministro viene declassato, mettendo in imbarazzo anche il premier britannico, suo amico intimo sin dai tempi della scuola. Ma non è finita.
Olivia Lytton, che si è dichiarata innamorata del ministro Whitehouse, lo accusa di stupro.
A questo punto, la vicenda finisce in tribunale. Il ministro Whitehouse è costretto alla sbarra. La sua parola è confrontata con quella dell’ex assistente.
La causa ruota attorno a precise domande: i due amanti hanno avuto un rapporto consenziente, in ascensore nel palazzo della Camera dei Comuni? Oppure lui ha forzato la mano e ha fatto sesso con Olivia, anche dopo che lei gli ha chiesto di fermarsi?
Lo scandalo non è più una questione di infedeltà coniugale. Siamo all’accusa di stupro.
Se ne occupa, come pubblica accusa, un’avvocatessa assai preparata e con una vita sentimentale segnata dalla relazione con il suo mentore, un uomo sposato.
L’avvocatessa della pubblica accusa si chiama Kate Woodcroft (interpretata da Michelle Dockery). Come sempre accade nelle storie più intriganti, l’avvocatessa nasconde qualcosa del suo passato. Un segreto inconfessabile.
Le recensioni della serie tv di Netflix
I giudizi sulla serie televisiva Anatomia di uno scandalo sono contraddittori.
“Da un lato Anatomia di uno scandalo sviscera anatomicamente lo stupro nella parte legal del racconto, attraverso le domande scomode fatte ai testimoni e ai diretti interessati, dall’altro mostra le conseguenze che uno scandalo può avere sull’equilibrio apparentemente idilliaco di un nucleo familiare”, scrive Federico Vascotto su Movieplayer.
“La serie fa inoltre riflettere”, sottolinea l’articolo di Movieplayer, “su come si tenda a demonizzare più facilmente la presunta vittima piuttosto che il presunto colpevole nella società e nell’opinione pubblica”.
Di parere opposto Marianna Ciarlante su Today: “Questo nuovo prodotto Netflix di sei episodi cerca di raccontare l’anatomia di uno scandalo ma si perde nelle solite dinamiche prestabilite di un crime-drama che risulta troppo costruito a tavolino, troppo rispettoso delle regole narrative senza mai osare o cercare di dare quel tocco di personalità a un personaggio o alla stessa storia”.
Prosegue l’articolo: “Totalmente banale nella sceneggiatura e anche nella psicologia dei personaggi che risultano da manuale e senza una vera e propria anima. Questa serie, che si riesce a finire in un giorno (e per fortuna), non lascia niente, né emozioni, né rabbia, né spunti di riflessione”.
Su The HotCorn Damiano Panattoni considera la serie tv Anatomia di uno scandalo “al netto di alcune ingenuità sovraccaricate (i flashback, probabilmente, sono la parte peggiore della serie) intrattiene maledettamente bene, con gli autori che sfruttano a più riprese l’efficacia del romanzo originale mischiando le regole basiche dei procedural drama, ovvero quelle che catturano l’attenzione e (ci) spingono a continuare la visione come fossimo parte della Giuria Popolare“.
Su Wired Lorenza Negri Quello non ha dubbi: quello che riesce a fare Anatomia di uno scandalo è di “trasformare un dramma televisivo dall’esordio promettente, intento a descrivere la psicologia traballante dei personaggi coinvolti – il punto di vista è quello di Sophie, la moglie tradita costretta a mettere in discussione la vera natura di un marito – in una assurda telenovela”.
L’articolo di Wired fa poi notare che della vittima del presunto stupro, Olivia, l’assistente del ministro, “sappiamo poco o nulla, non ha una vera personalità o una vita al di fuori dell’aula, o almeno la narrazione non offre nulla su di lei se non la sua presenza come pretesto per il processo e lo scatenarsi dei sentimenti di Sophie” (la moglie del ministro).
Secondo Wired è “un’occasione preziosa per scandagliare le dinamiche del consenso nel privato, in aula e agli occhi del pubblico sprecata per raccontare i patemi di una moglie tradita”.
L’analisi della serie tv Anatomia di uno scandalo
Il rischio delle serie tv di scadere nella telenovela è sempre alto. Lo è soprattutto negli episodi centrali di una serie.
Come nei film, la struttura rischia di mostrarsi debole in quello stadio – la parte di mezzo – che dovrebbe essere caratterizzata dai conflitti. Dagli approfondimenti. Dalla battaglia del protagonista per arrivare vincitore alla fine del suo viaggio.
Nel caso di Anatomia di uno scandalo, abbiamo una serie televisiva ben fotografata e patinata. La recitazione è convincente. La storia è d’indubbio interesse.
Come non può non interessare una vicenda di stupro, dove la vittima è un’assistente che si mette contro un uomo di potere come un ministro dell’Interno? Ovvero il capo di una sezione del governo che controlla la sicurezza e conosce tutti i segreti di una nazione?
GLI ASPETTI POSITIVI DELLA SERIE TV
Vediamo gli aspetti positivi – sul piano della narrazione e del tema dello scandalo – di questa serie televisiva:
- la violenza di genere viene mostrata nel suo essere praticata anche dai ricchi e dai potenti, non solo da maschi (e qualche donna) comuni mortali;
- il maschilismo viene associato al ruolo di figure come il ministro dell’Interno di un Paese che si dice democratico ed evoluto come il Regno Unito;
- la solidarietà maschile viene mostrata mentre si estende anche su terreni proibiti, con l’aggravante di contribuire a formare le élite ambiziose e dedite al comando;
- vi è la rappresentazione dell’ipocrisia della famiglia perfetta, dell’amore per la moglie devota, dei bravi studi e delle buone scuole frequentate dal ministro;
- ci si ricorda che le donne cambiano (come noi uomini, per fortuna) e a un certo punto smettono di tacere e di subire
La vicenda narrata in Anatomia di uno scandalo è però un’operazione riuscita a metà. La serie televisiva di Netflix si lascia guardare. Pone interrogativi interessanti.
Affronta un argomento che, purtroppo, non perde mai di attualità. Quello della violenza di genere, ai danni di figure più deboli dei loro aggressori.
MANCA UNO SCAVO PSICOLOGICO DEI PERSONAGGI
Ha tuttavia ragione chi critica la carenza di scavo psicologico dei personaggi. Le persone, come sappiamo, si rivelano attraverso le loro azioni e ciò che comunicano.
I personaggi di Anatomia di uno scandalo non ci rivelano nulla. O assai poco. Non vengono approfonditi. Della vittima, Olivia, non sappiamo quasi nulla: ci viene solo mostrata un’assistente che si fa ammaliare dal ministro bello, potente e piacione.
Come vive? Dove abita? Quali tormenti la toccano? Come sente l’esperienza di un rapporto sessuale a cui sarebbe stata costretta, oltretutto dopo che il ministro Whitehouse l’ha messa da parte come un oggetto inutile?
Quanto all’avvocatessa che sostiene la pubblica accusa, senza voler rivelare nulla, il racconto scade nel ridicolo: lei non ha nulla, fisicamente, che renda credibile il segreto che porta con sé.
La moglie Sophie è un’altalena fra adesione al ruolo di consorte del ministro, che non ti molla; e figura di moglie incazzata per le bugie del marito.
Infine, un ministro dell’Interno merita di essere rappresentato in modo più autorevole. È vero – lo vediamo anche in Italia – che si sono avuti ministri scemotti e poco credibili, ma il “bel Whitehouse” somiglia più a un personaggio ministro che a un “ministro vero”.
Infine, i flashback sono un disastro. Ci dovrebbero dare le chiavi per interpretare il presente del racconto.
Ci potrebbero mostrare in modo convincente la cultura maschilista del ministro e sul suo intimo amico (e complice di errori giovanili) premier.
Invece sono solo scene che appesantiscono il racconto. E annoiano un filino perché poco credibili.
Come denunciare lo scandalo senza dare fastidio
Una volta che hai preso le misure di una narrazione, ti ci puoi adeguare. Vedi una partenza interessante, se non addirittura bruciante.
Cogli che vi possono essere sviluppi sbalorditivi. Ma poi resti appeso a un racconto di superficie, per quanto avvincente.
VIOLENZA DI GENERE ED ETICA PUBBLICA
I meccanismi del Potere. Gli intrallazzi tra affari e interessi di bottega. Il ruolo (onesto o disonesto?) all’interno dello Stato. Tutto questo resta fuori della serie tv.
C’entra qualcosa? C’entra eccome. Sono convinto che un esponente del governo bugiardo e violento contro una donna sia quanto mai malleabile sulla corruzione, sull’ignorare gli interessi dei cittadini, sui diritti civili di tutti noi.
Ho avuto la sgradevole impressione che buttarla tutto sullo stupro, concentrarsi solo sul rapporto sessuale forzato a cui il ministro avrebbe costretto la sua assistenza, abbia un limite: distrarre l’attenzione dalla connessione fra etica privata ed etica pubblica.
Affideresti la guida del minibus che porta i tuoi figli o le tue sorelline o nipoti a scuola a uno che mena la moglie? A uno che non ha rispetto per la figura femminile?
Io no. Non mi fiderei. Il principio di coerenza mi dice che la violenza privata non si concilia con un comportamento pubblico rispettoso delle altre persone.
POCA ANATOMIA DI UNO SCANDALO E MOLTO SPETTACOLO
Nessun problema, tuttavia, se la serie tv di Neflix è poco anatomia e molto spettacolo. Uno spettacolo ben lucidato con cui trascorre qualche ora interrogandoti sull’affaire fra un ministro e la sua assistente.
Basta adeguarsi: cambi serie tv o prosegui abbassando le aspettative.
Quello che mi irrita nella serie tv Anatomia di uno scandalo è, semmai, il titolo. E poi la buggerata del farci credere che mette a nudo le miserie del Potere, senza andare, alla fine, oltre il solletico.
Un ministro dell’Interno, come dicevo poco sopra, è una carica fondamentale. Rappresenta il Potere al massimo livello: maggiore, per molti aspetti, anche a quello del capo del governo.
Ha in mano le forze di polizia. Ha accesso a tutti i dossier, anche quelli secretati e più delicati per una nazione.
Se quel ministro ha un’affaire sessuale con la sua assistente; se con lei discute di scelte politiche che determinano i destini di uno Stato, non possiamo far finta di nulla.
LA CULTURA CHE STA DIETRO LA VIOLENZA
Se poi quel ministro è uno stupratore, allora è importante capire alcune cose:
- qual è la cultura maschile a cui appartiene il presunto stupratore?
- è la stessa cultura maschile del primo ministro, suo intimo a amico?
- le loro scelte politiche sono legate a quella cultura maschile?
- gestiscono le scelte economiche come gestiscono i rapporti con le donne?
- compiono scelte strategiche (fornire armi, appoggiare dittatori, finanziare gruppi politici all’estero) con la stessa cultura con cui trattano la figura femminile?
Non so tu, che mi leggi, ma io mi preoccupo se un esponente del governo ha una vita privata violenta. Oppure equivoca. Se agisce in modo illegale nelle relazioni personali. E se copre errori di gioventù con l’omertà su fatti inquietanti.
Non chiedo che i ministri e il capo del governo siano santi. Chiedo che forniscano un minimo di garanzia di lealtà e onestà umana.
Quegli interrogativi che ho messo in fila avrebbero portato a un ritratto impietoso del Potere politico britannico.
Invece, non abbiamo alcuna analisi di quel Potere. Eppure stiamo parlando di Anatomia di uno scandalo.
L’anatomia, come parola, ha un preciso significato, anche in inglese: è un’analisi sottile e minuziosa, un esame attento e approfondito.
Nessuno ha imposto agli autori di titolare la serie tv Anatomia di uno scandalo. Potevano titolarla Scandalo a palazzo o qualcosa del genere.
Se lo scandalo riguarda un ministro. Se tutto nasce da una certa educazione, una certa classe sociale, un certo ambiente culturale ed economico, mi aspetto qualche spiegazione.
La dimostrazione della superficialità di Anatomia di uno scandalo, serie tv su Netflix, l’abbiamo – come ho accennato all’inizio dell’articolo – da un semplice dato di fatto.
Passiamo tutti e sei gli episodi a interrogarci se è Olivia, l’assistente, a mentire sulla forzatura del rapporto sessuale in ascensore. Oppure se mente, in modo spudorato, il ministro. E se lui nasconde, dietro quell’aria da bravo ragazzo, un uomo violento e che odia, nel profondo, le donne.
VIOLENZA SESSUALE E POSIZIONE DI POTERE
Il tema dello stupro, della violenza sessuale, è un tema serio. E questo è l’unico merito etico della serie tv Anatomia di uno scandalo: il ricordarci di donne costrette a comportamenti che non vogliono tenere.
Si tratta di costrizioni fisiche o psicologiche realizzate grazie alla posizione di potere della figura maschile che le impone.
Il misurarsi con temi così forti e delicati, tuttavia, richiede l’impegno ad andare oltre la superficie.
Richiede l’impegno a tematizzare l’ambiente in cui un certo caso accade.
Richiede l’impegno ad alzare lo sguardo verso la persona di Potere che mette in atto – se davvero colpevole – la violenza. Tutto questo, nella serie tv Anatomia di uno scandalo, non c’è.
Maurizio Corte
corte.media
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org