Gli elementi che hanno reso la sceneggiatura del thriller psicologico, diretto da Joe Wright, instabile e poco convincente.
Nel film thriller La donna alla finestra, i presupposti ci sono tutti: la scintilla narrativa, la premessa, il tema, l’idea chiave. Tutto organizzato in maniera coinvolgente e non scontata.
Eppure, manca qualcosa, quel pizzico di brio in più capace di rendere meno sciapido un piatto.
Se analizziamo questo prodotto mediale che ruota attorno a una storia criminale, e che possiamo collocare nell’orizzonte dei film thriller psicologici, ci rendiamo conto di che cosa non funzioni.
Un film, come sappiamo, si basa su una storia; e la storia si esprime nelle immagini passando dalla sceneggiatura.
La sceneggiatura è lo scheletro di un’opera. Se mancano dei pezzi e la struttura è debole, la narrazione risulterà instabile.
L’equilibrio precario rischia di ridurre un’opera dalle giuste intuizioni in un ammasso disordinato di elementi scollegati tra di loro.
La donna alla finestra è una pellicola che presenta molte lacune narrative, buchi di trama che nemmeno l’eccellente lavoro di fotografia riesce a riempire.
Un’ora e mezza di film mi hanno permesso di scrivere una decina di pagine di appunti. Ho riassunto i punti salienti della pellicola, che secondo me meritano un’analisi approfondita.
Il risultato che ne è uscito fuori fa luce sugli elementi che non hanno funzionato nella trasposizione cinematografica dell’omonimo libro pubblicato nel 2018. Un lavoro che voleva essere un omaggio al thriller e che, invece, ne è diventato parodia.
Quali sono, quindi, gli elementi presenti ma sottovalutati e quali quelli del tutto assenti che hanno reso La donna alla finestra un capolavoro mancato?
La donna alla finestra: film con potenziale narrativo che naufraga in un mare di auto ostentazione
Le intuizioni per la trasposizione cinematografica del romanzo di Dan Mallory (in arte A.J. Finn) ci sono e hanno anche un alto valore narrativo.
Quello che lascia l’amaro in bocca è che la struttura non sia stata valutata nel suo insieme ma solo nelle sue parti singole (recitazione, fotografia, regia).
Pertanto, il prodotto finale risulta essere un collage fatto di elementi ben confezionati ma che alla fine dei conti risultano essere scollegati tra di loro.
Il motivo principale per cui la narrazione non risulta omogenea, si ricollega alla palese evidenza che la storia non è stata scritta e costruita come pellicola per il cinema ma piuttosto come pièce teatrale.
A partire già dagli attori e dalle loro entrate in scena. Ognuno interpreta la sua parte egregiamente senza però interagire con l’ambiente circostante e con gli altri attori.
L’unica presenza costante in scena rimane la protagonista, il resto del cast sale uno alla volta sul palco, recita le sue battute e scende.
Anche i cambi di scena danno l’idea che la rappresentazione avvenga su un palco e non su un set cinematografico.
Quest’ipotesi viene sostenuta soprattutto dal numero ristretto di ambientazioni: una casa a tre piani poco illuminata ma piena di altissime finestre. Per essere precisi gli ambienti sono: cucina, sala da pranzo, camera da letto, scalone, entrata, tetto.
Il regista, inoltre, scivola su un’eccessiva ostentazione delle sue conoscenze. Mette in mostra tutta la sua bravura, confezionando un prodotto infarcito di riferimenti al noir americano.
Si lascia prendere la mano quando si tratta di inserire citazioni spiattellate senza arte né gloria, come a voler mettere in mostra le competenze acquisite in anni di studi.
I riferimenti al cinema di Alfred Hitchcock si perdono nell’immenso oceano di citazioni cinematografiche.
La finestra sul cortile, film del 1954, ti dice niente?
Già nel titolo si sente il primo richiamo all’universo del maestro del genere filmico thriller. Ma non solo.
Il titolo originale del film con protagonista Amy Adams riprende alla lettera il titolo di un’altra opera del 1944 di Fritz Lang, che tradotta in italiano diventa: La donna del ritratto.
In lingua originale la pellicola si intitola proprio The woman in the window.
Alcune esplicite citazioni del cinema di Hitchcock avvengono attraverso il montaggio di alcune scene dei suoi classici più famosi inserite nel film stesso, quando la protagonista si addormenta guardando le pellicole del maestro durante la notte.
Ci sono anche sequenze però estrapolate da una realtà onirica impregnate di significato implicito che intensificano il brivido.
In questo caso, l’omaggio oltre che ad Hitchcock viene fatto anche a Dalì. Le sequenze oniriche, infatti, prendono spunto dalle creazioni surrealiste realizzate dall’artista per la pellicola del 1945: Io ti salverò.
Il filo conduttore tra questi film è la psicologia criminale/investigativa. Questi casi trattano il genere thriller con estrema enfasi e competenza, nel caso de La donna alla finestra con addirittura eccessiva energia.
Alla luce dei fatti il film risulta essere un contenitore di emulazioni ad altri capolavori, che perde un po’ d’identità propria.
Un’ultima coincidenza la si riscontra con la più recente opera La ragazza del treno. La pellicola cinematografica è l’adattamento dell’omonimo romanzo del 2015 della scrittrice americana Paula Hawkins.
Le rispettive protagoniste hanno una cosa in comune: sono donne fragili alle prese con problemi di alcool.
Entrambe, reduci da eventi traumatici, spiano e poi si intromettono nelle vite di due famiglie sconosciute, dalle quali si faranno assorbire a tal punto da considerare i loro problemi come propri drammi interiori.
Le due donne cercano di arginare il vuoto presente nelle loro anime osservando in modo compulsivo, invadente e patologico, la vita di altre persone.
L’intenzione di entrambe è quella di farsi gli affari degli altri per distogliere l’attenzione dal loro dolore, difficile da superare, la cui origine deriva da un trauma subìto e sepolto nei meandri più bui della loro psiche.
Insomma, tanta apparenza e poca sostanza.
Quali sono, invece, gli elementi dall’alto potenziale narrativo che smussati negli angoli di autocompiacimento avrebbero potuto migliorare le sorti di questo film?
Prima di scrivere la sceneggiatura si parte dall’idea chiave
Una buona sceneggiatura si evince dalla presenza di tre elementi importanti. Non basta solo inserirli e svilupparli, ma bisogna anche saperlo fare nel modo giusto per ottenere dei buoni risultati.
Tutto inizia dall’idea chiave che lo sceneggiatore inglese Charles Harris definisce “Seed Image”. Si tratta del seme da cui si partirà per sviluppare l’opera.
L’idea chiave è come il ferma-immagine della storia, per diventare sceneggiatura ha bisogno di essere approfondita.
Nel caso de La donna alla finestra lo spunto da cui tutto ha inizio non è il frutto inedito della fantasia dello sceneggiatore. È un soggetto già visto, rimpastato e riproposto.
Nasce dall’idea di costruire una storia intorno a una donna con disturbi psichici affetta da agorafobia, che cerca di rimarginare il dolore lasciato da un trauma personale distraendosi osservando la vita dei vicini.
A questo punto, dopo aver preso e stampato in testa il ferma-immagine di una donna seduta alla finestra, scende in campo il genere a cui adattare stile e ambientazione.
Il genere è il fertilizzante che aiuta il seme a diventare pianta.
Se il film fosse stato di genere romantico, la sceneggiatura si sarebbe concentrata sugli aspetti intimi della donna, presentandoli con estrema cautela e molto tatto.
Mentre la regia avrebbe confezionato un prodotto commovente dove magari la donna attraverso la vita dei vicini, osservata dalla sua postazione, riesce col tempo a scorgere il suo riflesso sbiadito, a lavorarci su e a guarire le sue ferite ritrovando sé stessa e ritornando ad uscire.
Hai notato come la storia cambia in modo drastico e si fa più interessante?
Invece, a questo film è stato assegnato il genere thriller. Interessante sì, ma forse poco originale.
Gli ingredienti necessari ad accendere la scintilla narrativa
La scintilla narrativa è l’innesco della premessa. Se scatta vuol dire che la sceneggiatura ha imboccato la strada giusta.
Qual è la scintilla adoperata ne La donna alla finestra che serve a far entrare nel vivo della storia?
Per trovarla bisogna individuare cinque elementi fondamentali:
- L’obiettivo
- L’ostacolo
- L’azione
- Le strategie
- La posta in gioco
I primi due ingredienti riguardano la struttura narrativa generale della storia.
Nello specifico, l’obiettivo è il filo conduttore dell’intera narrazione. Dev’essere uno e preciso, da individuare con facilità.
Ed ecco che un primo elemento vacilla nella struttura narrativa del film. Non c’è un solo obiettivo principale, ma sono presenti una serie di micro-obiettivi generali e per giunta molto vaghi.
Il primo obiettivo da voler raggiungere si intuisce sin dall’inizio e riguarda la protagonista: la donna ha un colloquio col suo psicologo in casa, capiamo che la terapia sta dando scarsi risultati e che la donna non si impegna nel processo di guarigione.
Come farà Anna Fox a raggiungere l’obiettivo di ritorno alla stabilità psichica ed emotiva?
Nel corso della narrazione però troviamo altri mini-obiettivi, alcuni dei quali non si capisce se trovano o meno una risoluzione precisa nel finale del film.
Chi ha compiuto l’omicidio e perché?
La necessità di conoscere le dinamiche dell’accaduto si fa pressante, tanto da oscurare l’obiettivo principale. Non ci importa più di come sta la protagonista. Ci interessa sapere se l’omicidio a cui ha assistito è frutto della sua fantasia o meno.
Un altro obiettivo riguarda l’inquilino che vive nel seminterrato della casa. Perché vive lì? Qual è il motivo per cui è stato inserito all’interno della narrazione? Come si sono conosciuti lui e la protagonista?
L’uomo ha dei problemi a gestire la rabbia, il suo obiettivo è quello di non finire in carcere. Nel frattempo, si trova agli arresti domiciliari e decide lo stesso di uscire in modo furtivo con degli amici. Perché raccontare aspetti di vita privata che poco o nulla hanno a che vedere con l’obiettivo principale del film?
Si tratta di un palese depistaggio per ingannare il pubblico, che si chiederà a un certo punto se non sia stato proprio lui l’autore dell’omicidio.
Però nel modo in cui è stato presentato, quasi buttato lì senza né arte né parte, si distoglie l’attenzione dalle cose davvero importanti, e lo spettatore, di seguito alla concentrazione, perderà anche l’interesse.
Gli ostacoli sono altri elementi che fanno perdere l’equilibrio alla struttura narrativa di questo prodotto cinematografico.
Quello principale riguarda sempre la protagonista e si tratta di un ostacolo enorme e ben visibile, che rende davvero complicato andare avanti: la paura di uscire all’aperto.
Questa fobia è invalidante ed ostacola la vita della protagonista sotto tanti aspetti.
Altro ostacolo è il trauma assopito come un vulcano attivo, pronto ad eruttare e lasciare scie dietro di sé di distruzione con la sua lava.
Sappiamo che la donna ha un marito e una figlia. Dove sono? Chi sono? Perché non li vediamo?
Infine, l’ostacolo più evidente è l’omicidio stesso. La protagonista assiste da testimone all’assassinio di una donna, un fatto che aggrava le sue condizioni psichiche già precarie e danneggiate.
Azione, strategie e posta in gioco: tre elementi al servizio del personaggio
L’azione fa parte dell’energia di una storia che salta fuori quando il personaggio compie azioni per superare i suoi ostacoli. La parola azione nel mondo delle sceneggiature significa proprio: tentativo per superare un ostacolo.
Ogni azione che non ha questo proposito dietro non può essere definita tale, ma si chiamerà semplice attività passiva.
Spesso l’errore che si commette è quello di fornire attività e non azione ai personaggi. In questo caso diventano passivi e quello che fanno non è considerato azione volta a superare un ostacolo, ma si tratta di agire a vuoto senza senso.
C’è bisogno quindi di personaggi attivi che agiscano, prendano di petto la situazione e affrontino con determinazione gli ostacoli.
Cosa fa Anna Fox per cambiare le sorti della sua situazione? Si lascia trasportare e risucchiare dagli eventi che le accadono intorno senza affrontare di petto i suoi problemi e cercare una soluzione verso il ripristino della sua salute mentale.
Anna Fox è un personaggio passivo. A supporto di questa tesi c’è la sua incapacità di superare la fobia degli spazi aperti. Non si impegna a cambiare la sua situazione, anzi si lascia risucchiare da essa. Agisce in balia degli eventi senza fare nulla per superare quest’enorme ostacolo.
Riesce a farlo nel finale non perché l’abbia voluto lei, ma per istinto di sopravvivenza. La protagonista supera la sua fobia perché prevale l’istinto primordiale di non morire per mano altrui. Non è una sua scelta, si tratta piuttosto di una necessità incontrollata e inconsapevole.
Le strategie sono collegate a quello che sta succedendo nell’animo del personaggio – la sua storia interiore.
Se le azioni sono le cose che i personaggi davvero fanno nella realtà per raggiungere i loro obiettivi, le strategie riguardano quello che hanno intenzione di fare e che fanno fatica a realizzare.
Come si approccia alla vita e di conseguenza ai problemi il personaggio principale di questo film? Quali sono i suoi difetti?
Anna Fox è inetta, affronta la vita nascondendosi nel suo dolore, prova sentimenti repressi e reagisce con rabbia alle situazioni della vita.
Di difetti ne ha tanti. Di debolezze pure. Il problema è che entrambi non la rendono vulnerabile di fronte agli ostacoli. Non supera nulla e per questo il suo personaggio non progredisce nella storia.
Affrontare il viaggio interiore significa far entrare il pubblico in sintonia col personaggio principale.
Da dove parte, quali ostacoli dovrà affrontare durante il cammino che lo renderanno una persona diversa, e dove arriverà il personaggio?
C’è bisogno di storie che parlano di persone con difetti, paure, fallimenti. Questo perché rende i personaggi più umani e il pubblico con facilità ci si potrà identificare.
Quale viaggio intimo e personale sta conducendo Anna Fox in questo film thriller?
Il fatto che non si entri in sintonia con la protagonista è dovuto alla costruzione di un personaggio debole. La sua personalità è confusa, non definita. La donna non agisce e non utilizza strategie per crescere e migliorarsi.
Non mostra come supera gli ostacoli perché in realtà è costretta da altri a farlo. Nulla è frutto delle sue decisioni. Non assistiamo allo struggimento, alla fatica e alla complessità di un viaggio intimo che serva a liberarsi dai traumi del passato. Difficile entrare in sintonia con un personaggio del genere.
Anche quando ricorda dell’incidente d’auto che ha innescato la narrazione massacrando le sue facoltà cognitive, non assistiamo a un viaggio interiore che la conduce lì. Ma all’improvviso accade perché messa sotto pressione da altri a ricordare gli eventi.
Il personaggio non segue un percorso preciso, non raggiunge il suo climax. L’arco narrativo è assente.
Infine, la posta in gioco determina il valore di una storia. Per far sì che funzioni deve essere credibile. Più è alta e più la narrazione ne gioverà.
Cos’è importante per Anna Fox? Quali sono le questioni di vita o di morte che la preoccupano? Cosa le interessa? Quali sono i valori in cui si identifica?
A nessuna di queste domande viene fornita una risposta precisa. Ecco che il personaggio rischia ora di indebolire ancora di più l’intera struttura narrativa.
La “premessa narrativa” getta le basi per costruire la narrazione
Grazie a questi elementi si passa a definire la premessa narrativa. Di solito la si identifica di seguito alla domanda “cosa succede se…?”
Cosa succede se una donna distrutta da un evento traumatico inizi a spiare le vite dei vicini?
Cosa succede se il dolore subìto oltre ad averla annientata a livello psichico, sia aggravato anche dall’agorafobia?
La premessa è una sola e per far sì che il pubblico rimanga fedele al prodotto e non si stanchi subito, c’è bisogno di costruirla in modo tale che il ritmo sia evidente e risulti coinvolgente.
La donna alla finestra ha così tanti strafalcioni narrativi che risulta difficile mantenere un certo ritmo. I presupposti sono interessanti, ma se non vengono lavorati seguendo certi schemi, il risultato sarà la copia sbiadita di un prodotto già visto.
Questo film thriller è un capolavoro mancato, per l’appunto, dall’alto potenziale narrativo.
Nicoletta Apolito
Esperta di Transmedia Storytelling e Comunicazione
Transmedia Storyteller, si occupa di scrittura strategica professionale e digital communication. Analizza il linguaggio visivo e la struttura narrativa dei casi di cronaca nera raccontati nelle serie Tv. Contattala su LinkedIn.