L’omicidio di Margherita Magello e il ruolo di Massimo Carlotto, oggi scrittore e giornalista di rilievo internazionale, sono ancora avvolti nel mistero.
 

Carlotto si è sempre professato innocente. La sua può essere considerata un’odissea giudiziaria. Ma anche una storia criminale che non ha inchiodato l’assassino alle sue responsabilità.

L’omicidio di Margherita rimane, in ogni caso, una vicenda che non ha avuto giustizia.

LA VICENDA DI CRONACA NERA A PADOVA

Lo scrittore e giornalista Massimo Carlotto (Padova, 22 luglio 1956) tra gli Anni Settanta, quando era un giovane militante di Lotta Continua, e gli Anni Novanta fu protagonista di un noto caso giudiziario di cronaca nera.

 
Fu accusato di aver ucciso, a Padova, con 59 coltellate Margherita Magello, una giovane di 24 anni.
 
Condannato dopo una lunga serie di processi a 16 anni di reclusione, Carlotto fu graziato dopo sei anni di carcere dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
 
Carlotto è stato definito come uno dei migliori scrittori di noir e hard boiled a livello internazionale.
 
Strage di Erba - Olindo Romano e Rosa Bazzi - Photo Andrey-Zvyagintsev-G5nl9_YEXuc-Unsplash---

Massimo Carlotto e l’omicidio di Margherita Magello

Tutto comincia a Padova il 20 gennaio 1976.
 
Massimo Carlotto, 19 anni, militante di Lotta Continua, si trova a passare in bicicletta davanti alla casa della sorella, che abita nello stesso stabile di Margherita Magello, una ragazza di 24 anni.
 

Sente delle grida che invocano aiuto. Entra nell’appartamento che ha la porta aperta e scopre in un ripostiglio la giovane, nuda e coperta di sangue, agonizzante, colpita con 59 coltellate.

Massimo Carlotto – secondo la sua versione – cerca di soccorrere la vittima. Si sporca del suo sangue, ma poi, anziché avvertire la polizia, preso dalla paura, fugge.

 
È solo dopo aver raccontato l’episodio a due amici e a un avvocato, che Carlotto si presenta di sua spontanea volontà ai carabinieri.
 
Il suo ruolo di testimone dura appena cinque minuti: i militari gli contestano l’accusa di omicidio. E per lui si spalancano le porte del carcere.
 
Nel primo processo viene assolto per insufficienza di prove dalla Corte di Assise di Padova.
 
Viene invece condannato a 18 anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello di Venezia. E la pena viene confermata dalla Corte di Cassazione, nel 1982.
 

Fugge prima in Francia e poi in Messico, ma dopo tre anni di latitanza viene catturato dalla polizia messicana e torna in Italia.

Margherita Magello - omicidio a Padova - fu coinvolto e poi graziato Massimo Carlotto
Margherita Magello, uccisa a Padova nella sua casa, nel 1976

Il comitato “giustizia per Massimo Carlotto”

Nel corso dello stesso anno nasce il Comitato Internazionale Giustizia per Massimo Carlotto, che organizza una campagna di informazione e una raccolta di firme a favore della revisione del processo.

 
Il primo firmatario in Italia è l’ex presidente della Corte Costituzionale, Ettore Gallo.
 

Lo scrittore Jorge Amado nel giugno 1986, con altri intellettuali, lancia dalle pagine di Le Monde un appello per la revisione del processo.

Nel frattempo Carlotto si ammala gravemente in carcere. E inizia una nuova campagna per la propria scarcerazione.

 
Nel 1989 la Cassazione ordina la revisione del processo sulla base di tre nuove prove. E rinvia gli atti alla Corte di Appello di Venezia.
 
La Corte d’Appello di Venezia il 22 dicembre 1990 emette un’ordinanza di sospensione della causa, con rinvio alla Corte Costituzionale.
 
La sentenza della Corte Costituzionale arriva il 5 luglio 1991, ma nel frattempo il presidente del Collegio rimettente è andato in pensione.
 

È perciò necessario un secondo giudizio, nel quale Massimo Carlotto viene condannato a 16 anni.

L’opinione pubblica si attiva a favore di Carlotto. Tant’è che nel 1993 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli concede la grazia, mettendo così fine alla vicenda.

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La vicenda giudiziaria diventa un’odissea

Percorse le tappe fondamentali del caso di cui è stato vittima Massimo Carlotto, tra assoluzione, condanna e intricati passaggi giudiziari, vediamo in dettaglio cosa gli è accaduto.
 
Dopo l’assoluzione in primo grado, a Padova, e la condanna in appello, a Venezia, nel 1982, è la stessa Corte d’Appello veneziana a concedere la possibilità di revisione del processo a Massimo Carlotto, nel 1986.
 
Nel 1989 la Corte di Cassazione, nella sezione presieduta dal controverso giudice Corrado Carnevale, annulla la condanna del 1982.
 
La Cassazione ordina la revisione del processo sulla base di tre nuove prove:
 
  • impronta dimenticata di una persona estranea con la diversità degli scarponcini che calzava, che avevano le suole lisce, e non corrispondevano affatto all’impronta rimasta sul piede della vittima;
  • nuova perizia sui vestiti di Carlotto, che confermerebbe il racconto di Carlotto stesso;
  • guanti indossati da Carlotto
Massimo Carlotto denuncia però lo smarrimento di due prove a suo favore.
 
La prima è un fustino con tracce di sangue identificate dal gruppo sanguigno, all’epoca, come non appartenenti a Carlotto, né della vittima, né ai famigliari della ragazza.
 
La seconda prova è un capello di un colore diverso da quello di Carlotto, ritrovato tra le unghie di Margherita Magello e con tutta probabilità appartenente all’aggressore.
 
Inoltre non sono state rilevate completamente le impronte digitali nell’ambiente.
 
L’impronta di scarpa in particolare viene accolta come prova fondamentale per la revisione.
 
Questo accade anche se viene definito il principio giurisprudenziale che come nuova prova si può intendere anche una prova già esaminata, ma interpretata in diverso modo.
 
Vengono individuati errori nelle piantine della casa presentate in giudizio. E viene constata la presenza di vie di fuga alternative per l’assassino, non considerate dai carabinieri.
 
Massimo Carlotto intervistato dalla Rai per il programma Telefono Giallo
Massimo Carlotto intervistato dalla Rai nel programma “Telefono Giallo” sull’omicidio di Margherita Mugello

“SONO STATO IL PEGGIOR NEMICO DI ME STESSO”

“I miei difensori me l’hanno sempre detto, sono stato il peggior nemico di me stesso“, sostiene Carlotto.
 
“In Corte d’Assise, soprattutto i giudici popolari, pretendono un imputato che sia una via di mezzo tra Totò e Alberto Sordi, infinitamente ridicolo ma anche infinitamente drammatico”, osserva Carlotto.
 
“Chi si comporta in altro modo è scomodo e antipatico e io lo sono sempre stato. Mi hanno chiamato commediante? Ma non si sono mai chiesti chi ha fatto sparire i reperti a mio favore“, fa notare Carlotto.
 
La Cassazione rinvia gli atti alla Corte d’Appello di Venezia, per approfondire i punti che avevano formato oggetto della revisione.
 
Il 22 dicembre 1990, nel dispositivo di sentenza, la Corte d’Appello emette un’ordinanza di sospensione della causa con rinvio alla Corte Costituzionale.
 
Occorre decidere se Carlotto debba essere giudicato secondo il vecchio codice di procedura penale o secondo il nuovo, entrato da poco in vigore.
 
Nelle motivazioni, la Corte d’Appello scrive che la soluzione più adatta sarebbe l’assoluzione per insufficienza di prove.
 
La sentenza della Corte d’Appello nel 1990 afferma la “condizione di insuperabile incertezza obiettiva che legittimerebbe una lettura della prospettazione accusatoria in termini di insufficienti prove per condannare” (sentenza della corte d’appello del 1990″.
 
Anche se il codice abrogato richiedeva la piena assoluzione nelle revisioni, il giudice ritiene di non poter confermare la condanna.
 
Il giudice ritiene poi che solo l’assoluzione, seppur per insufficienza di prove, sia la giusta soluzione.
 
Quindi non emette in via diretta l’assoluzione per insufficienza di prove, né quella piena.
 
Secondo l’interpretazione ritenuta più attendibile dalla giurisprudenza, secondo la Corte Costituzionale, si tratta di decidere se Carlotto debba essere assolto con formula piena o dubitativa, dato che quest’ultima formula è stata eliminata dal nuovo codice di procedura penale (per la sentenza di condanna non esisteva infatti differenza).
 
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La pronuncia della Consulta

La pronuncia della Corte Costituzionale arriva il 5 luglio 1991.
 
La Suprema Corte risolve il quesito nel senso che debba trovare applicazione il nuovo codice di procedura penale.
 
Viene così legittimata la convinzione dei difensori che il loro assistito sarebbe dovuto essere senz’altro assolto con la formula più ampia (“per non aver commesso il fatto”).
 
Ecco poi cosa scrive la Corte Costituzionale che ribadisce la sentenza della Corte d’Assise d’appello.
 
“Nel caso di specie, a giudizio di questo collegio, è risultato evidente che l’autore dell’impronta sulla volta plantare del piede destro della vittima non è né l’imputato, né alcuna delle altre persone che hanno avuto ragionevolmente accesso al cadavere, prima dell’accertamento fotografico”.
 
“Tale circostanza, apprezzata alla luce di tutti gli altri elementi emersi nel processo e di segno favorevole al condannato”, proseguono i supremi giudici, determina, quale giudizio finale, “una condizione di insuperabile incertezza obiettiva che legittimerebbe una lettura della prospettazione accusatoria in termini di insufficienti prove per condannare”.
L’iter giudiziario prevedeva, a questo punto, che gli stessi giurati popolari – e il presidente togato che aveva chiesto il giudizio costituzionale – si riunissero in camera di consiglio ed emettessero il verdetto di assoluzione con formula piena, citando la “mancanza di prove” solo come motivo.
 
Nel frattempo però il presidente del Collegio rimettente, propenso a dichiarare l’innocenza di Carlotto secondo la vecchia formula, era andato in pensione.
 
Il relatore al processo e altri giudici erano stati trasferiti, mentre i giudici popolari rimandati a cas.

Un secondo giudizio per l’imputato

Fu quindi necessario istruire un secondo giudizio, davanti a un nuovo giudice togato, altri giurati e con la nuova formula, fissato dopo un anno:
 
in esso Carlotto venne a sorpresa condannato a 16 anni dopo un mese di udienze.
 
In questo secondo appello consecutivo venne inoltre ignorata la perizia degli esperti francesi che scagionava Carlotto tramite l’analisi delle nuove prove,.
 
Quella perizia era stata determinante e accolta dalla sentenza. Si era invece ripartiti da zero con l’intera analisi, esaminando solo le carte acquisite nel 1976.
 
Tutto questo innesca un corto circuito giuridico, e uno dei legali di Carlotto, Giorgio Tosi, accusa che è stato violata una fattispecie particolare del divieto di doppio processo (ne bis in idem).
 
Massimo Carlotto, secondo il suo legale, è stato giudicato due volte di seguito, per lo stesso reato, dalla stessa corte d’appello e nello stesso grado di giudizio.
 
Tutto questo è accaduto dopo una sentenza che lo dichiarava “non colpevole”, e che forse sarebbe stata confermata in Cassazione vista la lunghezza del procedimento.
 
È infatti molto raro che la Cassazione annulli un’assoluzione in un processo di revisione.
 

Ignorata la Corte Costituzionale

 
La decisione della Corte Costituzionale – che approvava l’assoluzione come unica scelta possibile – venne oltretutto, secondo i legali e molti giuristi, completamente ignorata e disattesa. Azione questa irregolare a livello giuridico.
 
Inoltre tale giudicato risultava contrario alla legge n.287 del 1951 – modificato dall’articolo 33 del D.p.r. n. 499 del 1988 – che recita, relativamente ai processi in Corte d’Assise e in Corte d’Assise d’Appello:
 
  • «I dibattimenti vengono conclusi dallo stesso collegio anche dopo la scadenza della sessione nel corso della quale sono iniziati» (Articolo 7 del Codice di procedura penale)
Una sentenza per essere valida deve quindi essere emessa dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. E che hanno assistito a raccolta e valutazione di tutte le prove.
 
I legali di Carlotto fecero comunque nuovo ricorso in Cassazione, che il 25 novembre 1992 confermò però la pena.
 
Gli stessi avvocati richiesero al contempo, tramite i genitori di Carlotto, un provvedimento di clemenza che comportasse la scarcerazione del loro assistito.
 
Il giovane aveva già scontato in tutto 6 anni di prigione: era stato nuovamente arrestato dopo la condanna d’appello e poi liberato con una nuova sentenza processuale, a motivo della sua malattia, nel maggio del 1992, dopo altri 47 giorni di carcere, con validità fino al 13 maggio 1993.
 
Carlotto, per sua ammissione, medita anche il suicidio come forma estrema di protesta definitiva.
 
Il Processo ai Chicago 7 - Guerra in Vientam - film - Usa - magazine ilbiondino.org - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - foto 6

Vicenda con 86 giudici, sette processi e 11 sentenze

 
Durante la vicenda, durata più di 17 anni, Carlotto verrà giudicato da 86 giudici e subirà 11 sentenze e sette processi, record che sarà superato solo dal “caso Sofri.
 
Quattro sentenze (primo appello, prima e seconda Cassazione, secondo appello ripetuto) lo condannano.
 
Due sentenze (primo grado e secondo appello) lo assolvono. E altre due (revisione e sentenza costituzionale) lo considerano da assolvere.
 
I genitori di Carlotto chiedono un procedimento di grazia al tribunale di Venezia, che avvia la procedura.
 
L’opinione pubblica di sinistra si attiva intanto nuovamente a favore di Carlotto.

Carlotto graziato dal presidente della Repubblica nel 1993

L’8 aprile 1993, un mese e 5 giorni prima del nuovo possibile arresto, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, con la netta opposizione della famiglia di Margherita Magello, concede la grazia.
 
Massimo Carlotto è graziato per motivi di salute e per la complessità del caso. Non viene tuttavia indicata una ragione precisa nel provvedimento.
 
Viene estinta la pena principale residua (10 anni di carcere) e vengono estinte quelle accessorie. Con l’aprile del 1993 viene così messa fine alla vicenda giudiziaria.
 
Il caso di omicidio si risolve con Carlotto unico indagato, unico imputato e in definitiva giudicato colpevole.
 
Le indagini, secondo gli innocentisti, non si sono mai sviluppate seriamente in altre direzioni.
 
Il provvedimento di grazia cancella la pena, ma non la condanna che rimane addebitata a Carlotto.
 
In seguito, Massimo Carlotto ha presentato istanza alla Corte europea per i diritti dell’uomo. E una nuova richiesta di revisione in Corte di Cassazione.
 
Da poco prima della fine della vicenda giudiziaria, Carlotto vive tra la Sardegna e Padova. È sposato con la sua agente, Colomba Rossi, direttrice editoriale di edizioni E/O, e ha un figlio.
 
Il 29 gennaio 2004, più di undici anni dopo la concessione della grazia, Massimo Carlotto ha infine ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Cagliari. Ha così riacquistato in pieno tutti i diritti civili e politici.
 

Articolo a cura del gruppo Facebook Crimini Italiani”: persone scomparse, omicidi risolti e omicidi irrisolti, amministrato da Davide Mascitelli

* Foto di copertina: Lacie Slezak (Unsplash)
 
Serial killer - cosa è un omicidio seriale - magazine Il Biondino della Spider Rossa - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - photo Arisa Chattasa - 2

Massimo Carlotto. Il caso nella trasmissioneTelefono Giallo

Il caso è stato trattato nella trasmissione Telefono Giallo di Corrado Augias, su RaiUno, nel 1987.
 
Vengono approfondite tutte le contraddizioni delle sentenze giudiziarie emesse fino alla data della trasmissione, a novembre 1987.
 
 

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