L’opera di Michel Franco ci ricorda che i privilegi non ci mettono al riparo dagli scacchi della vita.

Quanto è importante la comunicazione? La vita di tutti i giorni ci dimostra che saper comunicare segna lo spartiacque tra fallimento e soddisfazione nel vivere.

Proprio la comunicazione, nelle sue declinazioni più roventi, ci ammonisce a non pensare – con tronfia supponenza – che possiamo sfangarla, se siamo ricchi e privilegiati. Nulla di tutto questo: la vita, con le sue pepite e i suoi ordigni, è lì a presentarci il conto comunque.

Sundown, film drammatico del regista messicano Michel Franco, ha come protagonista un ricco imprenditore inglese, Neil (Tim Roth), che condivide l’azienda di famiglia con Alice (Charlotte Gainsbourg), madre dei giovani Colin (Samuel Bottomley) e Alexa (Albertine Kotting McMillan).

Il film è disponibile, a pagamento, sulle piattaforme di streaming: sia con la formula del noleggio, che con la formula dell’acquisto.

TRAMA DEL FILM CON TIM ROTH E CHARLOTTE GAINSBOURG

Durante una vacanza in Messico, nella splendida atmosfera marina di Acapulco, la famiglia inglese al centro della storia riceve una notizia riguardante un’emergenza, che costringe tutti a interrompere il viaggio.

Neil coglie allora l’occasione, con una scelta sconcertante, di allontanarsi dalla sua famiglia e cambiare vita. La sua scelta, però, mette in moto una serie di vicende avverse che sconvolgono e distruggono quella che era una famiglia assai ricca e assai privilegiata.

Sundown. La recensione del film

Come scrive Federica De Masi, sul magazine Cinematographe, “il regista Michel Franco ripropone tematiche care alla sua filmografia: dai personaggi in scena che devono prendere decisioni sotto pressione, al contrasto e l’opposizione tra gli stili di vita dei ceti sociali agli antipodi, l’esplosione improvvisa e immotivata della violenza all’interno della vita dei personaggi”.

Sul magazine Cineforum, Emanuela Martini osserva che il regista messicano in Sundown mette in scena “una sorta di dramma famigliare raggelato dal bon ton, con sanguigna deriva thriller scatenata dal caos urbano, economico e sociale messicano”.

Sul magazine Sentieri SelvaggiAntonio D’Onofrio fa notare che “Acapulco e la sua splendida spiaggia diventano un palcoscenico sordido, ogni angolo sembra pullulare di assassini, ed il paesaggio incantevole non trasmette oltre una frequenza inquieta,  marchio di fabbrica del regista messicano”.

Film Sundown - Tim Roth - regia Michel Franco - magazine ilbiondino.org - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - foto 2-min

L’analisi del film di Michel Franco

Il film Sundown – grazie a una magistrale interpretazione di Tim Roth nei panni del protagonista Neil – si presta a una serie di approfondimenti sul piano psicologico.

Credo, però, che lo spingersi su quella china sia il modo migliore per ingarbugliare una matassa che rende talune recensioni comprensibili solo agli iniziati.

La prima considerazione che mi sento di fare – nell’analizzare il film di Michel Franco – è quanto sia evidente come i privilegi borghesi e i molti soldi, grazie all’azienda di famiglia, non mettano al riparo né Neil, e neppure la sorella Alice, dal doversi sporcare le mani con la vita.

Il lutto, la malattia, l’omicidio, il confrontarsi con gli esiti criminali a cui può portare la miseria: tutto questo non guarda in faccia nessuno. Non basta un hotel cinque stelle lusso, ad Acapulco, per cancellare il fumo di Londra e gli scacchi a cui l’esistenza ci abitua.

Sul fronte privato, abbiamo il peso che la figlia Alice deve sopportare sia nella responsabilità attiva dell’azienda di famiglia; sia nel gestire il lutto che quella famiglia colpisce.

Il distaccato, quasi autistico, Neil incarna invece il dolore e il silenzio maschile che risultano spesso incomprensibili alle donne. Così come le donne, specie le figlie, non capiscono quando si rompe il legame tra un figlio maschio e la madre: il primo lascia andare la presa della seconda per essere, finalmente, libero da ogni vincolo.

Rivincita verso la famiglia d’origine? Sgarbo quale esito di una sudditanza subita da sempre? Il comportamento di Neil sembra riportarci a un certo tipo di figlio di imprenditori: il figlio che, dopo aver tenuto botta per troppi anni, alla fine scoppia. Molla tutto e se ne va.

L’incrocio fra temi privati e pubblici

La parte pubblica del film Sundown non è meno impegnativa e complessa di quella privata. I temi personali si intrecciano nella storia con i temi sociali. Ed è così, del resto, che accade nella vita reale.

Chi pensa, adagiato sulla bambagia della ricchezza e dell’alto status sociale, di potersi tenere lontano dai problemi sociali, fa male i suoi conti. La pandemia prima e la guerra in Ucraina, a noi così vicina dopo l’invasione russa, sono lì a dimostrarcelo.

Ecco, allora, che l’assenza di futuro di una generazione di giovani può tradursi in un assalto – in pieno stile mafioso – per uccidere un uomo in spiaggia. Oppure in un agguato, a colpi di pistola, sulla strada. In entrambi i casi, abbiamo un mix di casualità e di progettazione che s’incrocia con i destini delle vittime.

Abbiamo soprattutto, e qui il regista Michel Franco fa bene a raccontarlo, un filo diretto fra i privilegi di ricchi imprenditori e le azioni criminali di giovani senza futuro. Del resto, spesso la ricchezza è costruita sullo sfruttamento a danno dei più deboli; e la società a un certo punto presenta il conto. C’è da meravigliarsi? C’è da scandalizzarsi?

Film Sundown - Tim Roth - regia Michel Franco - magazine ilbiondino.org - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - foto 4-min

Sundown e il fallimento della comunicazione

Non vi è dubbio – andando ai pilastri del racconto – che il motore della storia di Sundown si trovi in una serie di errori comunicativi tra Neil e Alice. Lei si pone sempre in una posizione di preminenza rispetto a lui; e questo porta lui a chiudersi in se stesso.

Il Neil di Sundown mi ricorda certuni eroi di Hemingway; oppure il Principe Myskin dell’Idiota di Dostoeskij. Rimanda a figure maschili che scelgono il silenzio, l’oscurità e la menzogna per fuggire da una prigione di cui diventa difficile liberarsi alla luce del sole.

L’INCONTRO CON LA DONNA LIBERATRICE

Più piano e semplice è invece il rapporto con Berenice, la donna messicana che Neil incontra andando a comprare una birra. E con cui intreccia una relazione. Berenice, al contrario di Alice, non chiede nulla a Neil. Non pone problemi. Non apre interrogatori. Non lo mette con le spalle al muro.

La britannica Alice, d’altro canto, è una donna pratica, concreta, efficiente. Comprendiamo subito che è lei il perno dell’azienda di casa; e quindi anche della famiglia. Neil ha invece altre priorità, a partire da un bisogno di estraniazione dalla pressione del quotidiano; e dal bisogno di una riflessione consapevole da farsi sotto lo stordimento dell’alcol.

Il britannico Neil riceve dalla messicana Berenice quella voglia di vivere che riecheggia un po’ il mito sudamericano del Nuovo Mondo, capace di dare energia e futuro a una Vecchia Europa in decadenza.

L’abilità del regista di Sundown è di farci pensare che Neil abbia scelto la voglia di vivere, pur con quell’aria assente e lontana mille miglia dal vivere veramente. La rappresentazione del personaggio di Neil, a questo proposito, evitare di cadere nel folclore di un’America Latina da cartolina o da racconto esotico.

Alice e Berenice sono, dal canto loro, due facce della stessa medaglia: la prima è la donna che richiama il maschio distratto, svagato, assente alle proprie responsabilità; la seconda è la donna che porta quello stesso maschio nei territori della leggerezza e della serenità.

DUE DONNE, IL PROTAGONISTA E LA COMUNICAZIONE

Abbiamo due donne, quindi, che si contendono Neil: la donna ordinante, direttiva e padrona, ovvero l’inglese Alice; e la donna accogliente, liberatrice e complice, ovvero la messicana Berenice.

Il regista Michel Franco, gli va dato atto, va oltre lo stereotipo “donna europea / donna latinoamericana”.

Tant’è che, davanti a un colpo di scena esistenziale, il protagonista Neil comprende che Berenice potrebbe trasformarsi – come sarebbe normale – in una versione latina di Alice, farsi ordinante e claustrofobica. Ed è per questo che Neil sceglie – ancora – la libertà.

Oppure, se la vogliamo vederlo da un altro punto di vista, Neil sceglie la rinuncia rispetto alla responsabilità. Sceglie l’abulia, l’apatia, la triste vacanza dall’esistenza in cui lo troviamo sin da inizio film.

Il finale è aperto. C’è chi sostiene di leggervi la conclusione di tutto, a cominciare dalla vita di Neil. Io credo, invece, che Neil scelga – nel finale – di fuggire dalle sue responsabilità, dal suo inconsolabile dolore interiore, dalla figura femminile ordinante e castrante. E che scelga di fuggire dal suo destino segnato; tentando un’impresa che sappiamo essere disperata.

Del resto, la comunicazione è sempre un’impresa disperata. Il fallimento è dietro l’angolo, incombente, quasi assicurato. Come accade a tutto ciò che ha a che fare con la vita.

Ho notato come alcuni critici cinematografici sovraccarichino di responsabilità la figura del protagonista. Credo, invece, che Neil – interpretato da Tim Roth – sia disegnato nel modo migliore possibile: in Sundown, Michel Franco ben rappresenta la protesta di un uomo che sceglie di uscire dal gioco comunicativo. E quindi dalla vita di relazione.

Purtroppo – come ci insegna la Scuola di Palo Alto – “non si può non comunicare“. E quindi non si può uscire, neppure morendo, dalla rete delle relazioni in cui siamo invischiati.

SIMBOLISMO E CINEMA D’AUTORE

I simboli non mancano. Qualche critico cinematografico non li ha trovati interessanti. E ha sottolineato come Sundown voglia essere troppo “film d’autore”. Al contrario, la profondità del film stia nell’essere una storia con l’impronta netta dell’autore.

Una chicca del film – in un passaggio che non è il caso di rivelare – riguarda la criminalizzazione di chi viene sospettato di un atto delinquenziale. A quasi due terzi del film possiamo leggere i titoli dei giornali inglesi che condannano, senza appello, una persona ancor prima di capire e di approfondire cosa sia davvero accaduto. E quali responsabilità egli abbia.

Quella superficialità della stampa suona come una metafora dalla superficialità di chi giudica l’altro – specie se strano, imprevedibile, fuori degli schemi consueti – prima ancora di averlo ascoltato. E di averlo, soprattutto, rispettato.

Possiamo così pensare al film Sundown, che vede Tim Roth interprete convincente, come una storia di liberazione dalla comunicazione che ingabbia e costringe dentro una prigione. La stessa liberazione a cui, purtroppo, non possono affidarsi i giovani criminali senza speranza di un’Acapulco che non è – né vuole essere – un paradiso terrestre. Perché in paradiso non vi sono le ingiustizie sociali che avvelenano il mondo in tutte le latitudini.

Maurizio Corte
corte.media

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Sundown. La video recensione del film con Tim Roth

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