Personaggi scontati nel loro egoismo: tanta azione, poca anima e il corto respiro di chi non ha empatia.

La serie televisiva A casa tutti bene è un seguito del film di Gabriele Muccino con lo stesso titolo. Sono cambiati gli attori; resta il racconto di segreti, conflitti e vicende drammatiche familiari.

Un po’ soap opera, un po’ thriller – come l’ha giudicata qualcuno – la serie tv A casa tutti bene non riesce ad arrivare al livello della migliore tradizione italiana di film sulla famiglia.

Vi è un che di già visto; di già orecchiato. Un po’ come la canzone di apertura Jovanotti, ispirata in alcuni passaggi alla melodia della canzone Love dei The Giornalisti.

Manca un affresco sociale degno di questo nome. La psicologia dei personaggi, osserva qualche critico tv, non è approfondita come si richiede.

La serie tv è comunque ben recitata, ben fotografata e con una regia in linea con gli standard di oggi.

Più di qualche critico sottolinea che il paragone con Parenti serpenti, film di Mario Monicelli, del 1992, mostra tutta la minorità della serie tv A casa tutti bene.

È comunque una serie godibile; e che fa trascorrere qualche ora in tranquillità, senza stupire troppo; e senza essere troppo poco credibile.

I personaggi si equivalgono, quasi scontati e prevedibili nel loro egoismo: nevrotici la loro parte, divisi fra interessi economici e conflitti parentali, quasi mai empatici e capaci di andare oltre il loro naso.

Due coppie di loro hanno, tuttavia, un sapore diverso: sono Isabella (interpretata dalla convincente Maria Centorami), 35 anni, mamma single e insegnante di danza; e Paolo Ristuccia (interpretato da Simone Liberati), 36 anni, scrittore in crisi, padre di un bambino, Giovanni, separato dalla moglie Olivia e in duro conflitto con lei per l’affido del piccolo.

Poi vi sono Sandro Mariani, 50, malato di Alzheimer, interpretato da Valerio Aprea, e Beatrice, 40enne, interpretata da Milena Mancini.

Beatrice mostra un amore, una cura e un’attenzione all’uomo che ama tali da toccare momenti di autenticità che lasciano il segno in chi la guarda muoversi.

A casa tutti bene. La trama

La famiglia Ristuccia è da 40 anni proprietaria del ristorante San Pietro, uno dei più rinomanti locali della Capitale, in zona Gianicolo.

Carlo, la nuova compagna Ginevra e la sorella Sara sono sempre lì, tutti i giorni, ad aiutare i genitori Pietro e Alba nella gestione dell’attività.

Assente da questa, è sempre stato il fratello Paolo, andato da tempo a inseguire in Francia il sogno di lavorare nel mondo dello spettacolo.

Adesso Paolo, reduce da un logorante divorzio, torna a casa dei genitori sconfitto professionalmente e senza più un soldo in tasca, con la sola speranza di poter crescere suo figlio Giovanni, di 11 anni.

Anche Carlo ha una figlia, Luna, una ex moglie, Elettra, e una compagna che mal tollera il suo passato sentimentale: Ginevra, mai davvero accettata dalla famiglia Ristuccia e vista come una rovina famiglie. E infine Sara è sposata con Diego che però le è infedele.

Un giorno, però, un avvenimento gravissimo e rimasto segreto per decenni torna a sconvolge gli equilibri familiari.

I Mariani, un altro ramo della famiglia, reclamano un posto all’interno dell’attività, minacciando di far riemergere un terribile segreto dal passato dei Ristuccia che ancora oggi ha delle profonde conseguenze nelle vite dei nostri protagonisti.

A casa tutti bene. Recensione della serie tv

Come scrive Ileana Dugato, in un articolo per il magazine online The HotCorn, c’è un segreto delle famiglie Ristuccia e Mariani, tenuto sepolto per molto tempo e che ne influenza le dinamiche ancora oggi, che sta per venire a galla a seguito di un grave avvenimento.

Come nel film, un ricevimento, quello per i settant’anni del capofamiglia Pietro, “è la chiave che dà il via alla storia, necessario per una storia corale così articolata che va introdotta anche a chi non ha visto il film”, fa notare The HotCorn.

“Ci sono i tre fratelli, e loro scombinate famiglie, ci sono i cugini – uno smemorato e l’altro combinaguai, con le loro compagne -, ci sono problemi e tradimenti. C’è tutta la gamma di sentimenti e rapporti che possono andare a comporre una classica famiglia della borghesia italiana“, sottolinea l’articolo di The HotCorn.

Positiva la valutazione del della serie tv A casa tutti bene dà il critico Jacopo Iovannittisul magazine online My Red Carpet: “La possibilità di estendere in più momenti, in più episodi la narrazione offre a Muccino l’occasione di cimentarsi con la suspence e i cliffhanger che il film al cinema non concede”.

“Fin dai primi minuti, poi, non mancano momenti di approfondimento psicologico che non tediano e che con un montaggio alternato possono concedersi il lusso”, prosegue l’articolo, “di raccontarci e regalare momenti di grandi interpretazioni: dalle gioie più fanciullesche alla rabbia più adulta, dall’irascibilità adolescenziale all’affetto materno”.

A casa tutti bene. Le mogli

A casa tutti bene. I figli

A casa tutti bene. I cognati

A casa tutti bene. I patriarchi

A casa tutti bene. I cugini

A casa tutti bene. Paolo e i fratelli

A casa tutti bene. Luana e Riccardo

A casa tutti bene. Personaggi senza empatia

Nella serie tv A casa tutti bene Gabriele Muccino, mostrando di cogliere sino a un certo punto le possibilità che la serialità televisiva concede, ci racconta dinamiche, conflitti e personaggi che troviamo in tante famiglie.

Chi ha poi avuto l’avventura – o la disavventura – di mescolare lavoro e affetti familiari, in qualche tipo di impresa di famiglia, può riconoscersi in più situazioni.

Il racconto rappresenta, senza andare troppo in profondità, la realtà della famiglia italiana di oggi – almeno quella di ceto sociale borghese – con le corse agitate, le alleanze e le battaglie, i tradimenti e le scarse fedeltà dei nostri tempi.

DUE COPPIE ECCEZIONALI IN UN QUADRO DI EGOISMO

Un tratto che accomuna tutti i personaggi – con due sole coppie di eccezioni – è la mancanza di empatia. Ciascuno si fa gli interessi propri, senza curarsi degli altri.

I personaggi restano invischiati nel loro interesse presente, senza riuscire ad alzare lo sguardo sull’altro che hanno di fronte.

C’è chi gode del piacere momentaneo, sia esso la scopata nel giardino o nella suite da hotel cinque stelle lusso. Chi si balocca con i propri sogni di gloria e di grandezza. C’è chi si barrica dentro le proprie nevrosi, le proprie rabbie.

Sono così accecati dal loro egotismo, i personaggi, che non sanno neppure fare alleanza per raggiungere un obiettivo che pure è nel loro interesse. Un esempio, in questo, è il primogenito Carlo, con i suoi progetti di un resort in Sardegna.

In questo, A casa tutti bene rappresenta in modo convincente il virus sociale del nostro tempo: l’egotismo, il fermarci al nostro interesse, senza capire – eppure l’altro virus, il Covid-19, ce lo urla dal 2020 – che solo con le alleanze si vince.

Sarebbe troppo chiedere un gioco di squadra. Basterebbe solo capire che il nostro tornaconto passa spesso dall’ascolto e dal rispetto dell’altra persona, anche se nostra avversaria. O, peggio, nemica; o peggio ancora, estranea.

Personaggi “diversi”: Beatrice e Sandro 

Sandro Mariani, 50, malato di Alzheimer, interpretato da Valerio Aprea, e Beatrice, interpretata da Milena Mancini, sono una coppia che vive il dramma – lento e consapevole – della perdita di memoria di lui.

In Beatrice c’è il dono di stare accanto a un uomo che ama e che sta per subire la sconfitta della malattia. In Sandro c’è la coscienza di sapere che accanto ha una donna di valore a cui donare quello che della vita gli rimane.

Personaggi “diversi”: l’amore di Isabella e Paolo

La figura di Paolo Ristuccia, il fratello maschio scrittore che detesta l’impresa di famiglia, è quella che meglio interpreta, con coscienza, la crisi e le inquietudini di un gruppo fragile e meschino nella sua (scarsa umanità).

Sua eccellente compagna è l’affascinante Isabella, la cui voglia di vivere dà luce alla malinconia che i due, per motivi diversi, si portano dietro. Il suo dinamismo ben si mescola con la sensualità e la dolcezza che la caratterizzano,

La scena che li fa rincontrare, con l’accompagnamento del Luigi Tenco di Vedrai, vedrai, è convincente nella sua verità. Peccato che nel prosieguo della narrazione, specie nei due episodi finali della prima stagione li si perda un poco per strada. 

A casa tutti bene. Cosa ci racconta la serie tv

La serie televisiva A casa tutti bene, diretta da Gabriele Muccino, non ha la stessa presa ed efficacia del film.

I limiti, come abbiamo visto, sono nello scavo (superficiale) dei personaggi. Tante corse, tante azioni sul filo della nevrosi; e flashback poco credibili non colmano la mancanza di spessore umano ed esistenziale.

A meno che Muccino non abbia voluto mettere in scena il nulla pneumatico di una generazione di quarantenni, a cui la generazione precedente non ha insegnato a stare al mondo.

A CASA TUTTI BENE: UN AFFRESCO MANCATO

La serie tv su Sky e Now poteva essere un affresco della società italiana, da un osservatorio interessante qual è l’impresa familiare nel campo della ristorazione. Invece è un’occasione persa.

Ben fotografato – flashback esclusi – ben recitato in molte parti, il telefilm in otto episodi mescola soap opera e thriller, film d’azione e commedia all’italiana.

La si guarda volentieri, giusto per passare qualche ora in relax. Cosa se ne porta a casa? Qual è il tema che la rende comunque interessante, a parte le solite conflittualità presenti in ogni famiglia?

Come ho sottolineato all’inizio di questo articolo, la lezione che ci portiamo in dote con la serie tv A casa tutti bene, è che si vince in squadra. Da soli, con il proprio egotismo e con un mondo che finisce al confine del nostro naso, si perde. 

Oppure, bene che vada, ci si complica la vita. Non bastano i soldi e le ville al mare o in campagna a rendere l’esistenza sopportabile. Non bastano le avventure erotiche; né i piccoli guadagni.

Quello che serve, ci dice la serie televisiva A casa tutti bene di Gabriele Muccino, è la simpatia con l’altro, l’empatia verso il diverso e una strategia che accomuni il gruppo.

Altrimenti un virus qualsiasi – quello dell’egotismo e della miopia umana – ci condannerà sempre al lockdown del cuore. E alla terapia intensiva dell’angoscia.

Maurizio Corte
corte.media

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