La ricetta della criminologa Laura Baccaro per un pranzo (o una cena) da thriller.
La narrativa poliziesca ha avuto una lunga e complessa relazione con il cibo: come arma, come ambientazione o come caratterizzazione.
Nella narrativa poliziesca, il cibo è spesso strumento utilizzato per uccidere oppure è canale per somministrare veleno o innescare una reazione allergica, insomma il cibo come arma mortale.
Nel caso di Hannibal Lecter il mangiare è il modo per eliminare direttamente la vittima.
TUTTI I DETECTIVE HANNO UN GRANDE APPETITO
I detective immaginari, Sherlock Holmes, l’ispettore Maigret, Montalbano, spesso hanno appetito, e vengono descritti mentre gustano i loro piatti preferiti e risolvono casi.
Anche se, come insegna la mitica Agata, a tavola non si parla di omicidi! Ma molti omicidi avvengono proprio mangiando.
Vediamo che la recente letteratura gialla combina omicidi e ricette, un nuovo filone che piace molto ai lettori.
Anche se, in generale, nel romanzo poliziesco americano i detective vivono di fast food, cibi grassi e fritti, nicotina e caffeina; quasi a mostraci che nel loro mondo le cose si muovono troppo velocemente per una cena da seduti.
Insomma il cibo mostra e umanizza il carattere degli investigatori, ci fa conoscere luoghi e abitudini, mostra e descrive aspetti socio-culturali, differenze di status e politiche di quel determinato momento sociale.
Ironicamente il detective Philip Marlowe negli anni 30 statunitensi, in pieno proibizionismo, beve frequentemente e in grandi quantità whisky e brandy.
Il cibo è uno degli ingredienti del noir
Ogni scrittore caratterizza il “suo” detective magari attribuendogli alcune sue caratteristiche, es. Conan Doyle, gentiluomo inglese, fa bere al “suo” Holmes una miscela del tè particolare; Agatha Christie mostra la sua competenza nell’uso dei veleni in molti dei suoi romanzi.
È lo strumento del delitto in quasi metà dei suoi libri, a cui si aggiungono, tra le altre cose, marmellate, tè, cocktail (E poi non rimase nessuno ), una salsa al burro per il pesce (La parola alla difesa) e una torta al cioccolato amaro (Un delitto avrà luogo).
Insomma il genere giallo è spesso associato al cibo. Grandi investigatori sono anche descritti come abili cuochi e raffinati gourmande.
Appassionata lettrice di questo genere mi diverto molto a leggere le ricette di Georges Simenon, Rex Stout e Manuel Vazquez Montalban – e dei loro alter ego letterari Maigret, Nero Wolfe e Pepe Carvalho.
Mi piace l’immagine dell’ispettore Montalbano di Andrea Camilleri che, mentre pensa a risolvere crimini siciliani, fruga nel frigorifero a pescare golosi arancini cucinati abilmente dalla sua governante Adelina.
E la passione gastronomica collega Camilleri allo scrittore e intellettuale spagnolo Manuel Vázquez Montalban tanto da chiamare il suo detective Montalbano.
E non dimentichiamo che Manuel Vázquez Montalban inventa l’investigatore-gastronomo Pepe Carvalho, un catalano ironico con un debole per i piatti di riso e una ricetta per la Caldeirada, una memorabile zuppa di pesce.
La Caldeirada di Pepe Carvalho
Ecco la ricetta della Caldeirada (che puoi vedere in foto) di Pepe Carvalho.
Ingredienti (per 4 persone)
– 1,2 kg di pesce fresco da brodo misto (coda di rospo e merluzzo nella ricetta originale di Pepe)
– 600 g vongole veraci
– 500 g cozze
– 4 gamberoni
– 1 cipolla
– 300 g di pomodori maturi
– 1 gambo di sedano
– peperoncino rosso piccante
– 1 porro
– 300 g di patate
Esecuzione
Pulì il pesce dalle spine e sgusciò i gamberoni. Bollì le spine e le corazze rosse insieme a una cipolla, un pomodoro, aglio, un peperoncino rosso piccante, un rametto di sedano e un po’ di porro.
Il brodo ristretto di pesce era indispensabile per la particolare caldeirada di Pepe Carvalho. Mentre il brodo bolliva a fuoco lento, Carvalho preparò un soffritto di pomodoro, cipolla e peperoncino. Quando il soffritto ebbe raggiunto la consistenza necessaria, vi stufò delle patate.
Poi mise i gamberoni nella pentola, la coda di rospo e infine il merluzzo. I pesci si indorarono, buttarono acqua che si mescolò al soffritto. Fu allora che Carvalho aggiunse un mestolo di brodo ristretto di pesce. In dieci minuti la caldeirada fu pronta.
Questa ricetta è tratta da “Le ricette di Pepe Carvalho”, una raccolta di 120 ricette del più famoso detective-gourmet di Spagna.
Da leggere e provare le ricette tratte da “Ricette immorali”, in cui Manuel Vázquez Montalban associa la cucina e il sesso.
QUEL BUONGUSTAIO DI NERO WOLFE
Inimitabili le descrizioni dello snobissimo, maniacale e bongustaio Nero Wolfe, ogni pranzo è una sorta di opera d’arte del suo raffinatissimo chef personale, Fritz Brenner.
I detective americani rimandano alla cultura del fast food o cibo in scatola. Ne è esempio l’ispettore Rebus di Ian Rankin che riesce a malapena ad aprire una lattina e riscaldarne il contenuto su una piastra calda. Il cibo è una distrazione dalle sue ossessioni: liquori, musica, omicidi.
Leggo con piacere anche di Kay Scarpetta, l’anatomopatologa protagonista dei romanzi gialli di Patricia Cornwell di tanti suoi romanzi, che appena può cucina, anche la pizza e il sugo.
E come non immaginare il bongustaio commissario Maigret mentre fuma la pipa, si beve una birra e mangia un coq au vin con un tocco di prunella d’Alsazia preparato dalla moglie. Oppure immerso in un fumo di pipa in piccoli e tradizionali bistrot e brasserie degli anni ’50.
Non dimentichiamo però Hercule Poirot, non è un cuoco ma è goloso di dolci e di cioccolato.
Quando leggo i romanzi di Rex Stout rivedo un Nero Wolfe così come impersonato da Tino Buazzelli in una vecchia serie televisiva anni ’70 e vedo le creazioni del suo raffinatissimo cuoco Fritz.
Cene pantagrueliche, piatti sofisticati e ricchi di calorie perché Wolfe vive e rappresenta un’epoca non salutista e la cucina ne è lo specchio.
Lo vediamo bene nelle “salsicce di mezzanotte”, accompagnate da pancetta, fagiano, arrosto d’oca, grasso d’oca, brandy, cioccolato e pistacchi.
Non mi ritornano in mente cadaveri, sparatorie, sangue ma piatti fumanti, poltrone eleganti e una grande serra d’orchidee. Anche quando durante “La cena di mezzanottte” è in atto un’epidemia di cuochi.
Invito a cena con delitto
“Allora, veleno, al tuo lavoro!” è una famosa frase nell’Amleto di William Shakespeare. E il veleno agirà con bevande e pugnali avvelenati.
Non dimentichiamo Arsenico e vecchi merletti, film del 1944 diretto da Frank Capra.
“Dunque, caro, per due fiaschi di vino di sambuco ci vuole un cucchiaio di arsenico. Ci si aggiunge mezzo cucchiaino di stricnina e poi appena un pizzico di cianuro”.
Qua le adorabili anziane zie offrono vino di sambuco corretto con mix di veleni per aiutare i loro ospiti a transitare dolcemente verso miglior vita.
Arthur Conan Doyle era un medico e il suo investigatore un esperto tossicologo. Nel romanzo giallo “Il segno dei quattro” la vittima viene uccisa con una spina avvelenata.
“Il Laboratorio” di Robert Browning è una poesia e monologo drammatico del 1844. Protagonista è un’amante offesa che vuole vendicarsi delle sue rivali e perciò si rivolge allo speziale perché le prepari una fiala di veleno per andare al ballo. Il veleno deve “Portare la morte in un orecchino, in uno scrigno, un ventaglio…..”
Non tutti sanno che la Christie aveva lavorato come dispensatrice di farmacie durante la prima guerra mondiale. All’epoca tutte le prescrizioni erano preparate a mano, misurando con precisione i dosaggi.
La Christie ha dovuto perciò studiare aspetti sia teorici che pratici della chimica e superare una serie di esami prima di poter assumere il lavoro di dispensatrice o assistente di farmacia.
Per rimanere aggiornata durante la seconda guerra mondiale è di nuovo volontaria come dispensatrice presso l’University College Hospital di Londra.
Per mantenersi aggiornata costantemente sui nuovi sviluppi nei farmaci e nella pratica farmaceutica la Christie ha lavorato regolarmente al dispensario.
AGATHA CHRISTIE E L’ERBA DELLA MORTE
Nel racconto “L’erba della morte” la causa delle foglie di digitale vengono mescolate alla salvia e inserite nel ripieno di un’anatra arrosto.
Ne “Il club del martedì sera” altro caso di omicidio dove una donna è morta avvelenata da arsenico dopo essere stata male per avere mangiato aragosta avariata in scatola.
Miss Marple ama ascoltare tra una torta al cioccolato, un pudding e un the, delizie e strumenti di morti e avvelenamenti. Ecco la descrizione della colazione ordinata dalla detective in Miss Marple al Bertram Hotel:
«La colazione che Miss Marple aveva ordinato arrivò cinque minuti dopo. Sul grande vassoio c’erano una teiera panciuta, del latte cremoso, un bricco d’argento colmo d’acqua calda, due belle uova in camicia sui tostini e due rondelle di burro modellate a forma di cardo, miele, marmellata d’arance e due pagnottelle rotonde d’aspetto delizioso. Miss Marple diede mano al coltello, fiduciosa.»
Amici a cena: cibo, convivialità… e morte
Mangiare è tradizionalmente inteso come un atto di cura, di nutrimento, di convivialità piuttosto che un atto di omicidio. Infatti, cibo è spesso connesso con la sicurezza, la pace, e comunque l’assenza di crimine.
Connettere cibo e convivialità e morte significa mettere in discussione e sovvertire gli ideali di domesticità e di famiglia, tende ad essere una sorta di tabù e ad essere ignorato.
L’atto di uccidere per cibo o attraverso il cibo spesso provoca sentimenti di repulsione e viene nascosto o mascherato da ritualità.
E forse è proprio grazie a Shakespeare che cibi e bevande, che accompagnano i temi e le vicende dei testi, diventano riferimenti di costume e allusioni simboliche.
Così il personaggio malvagio viene spesso definito “mela marcia”, l’umana gentilezza è rappresentata attraverso il latte, la ferocia omicida trova nel vino rosso la rappresentazione più esplicita del sangue che scorre.
E non dimentichiamo poi la mela avvelenata in Biancaneve.
La tavola e la famiglia diventano centrali negli omicidi, nelle vendette, nelle passioni.
Che è esattamente ciò che Shakespeare ci serve nella scena del banchetto nel Macbeth ove il vino è metafora del sangue che scorre, ma serve anche come veicolo per la droga che addormenta le guardie del re prima del suo assassinio.
LA RICETTA DELLE STREGHE
La ricetta più famosa è quella delle streghe. Ecco la ricetta:
Girate attorno al calderone, e gettatevi dentro un rospo, preso nel sonno, che ha sudato veleno per trentun giorni e notti, sotto una pietra fredda. Aggiungete, nell’ordine: filetto di serpente d’acqua, occhio di ramarro e dito di rana, pelo di pipistrello e lingua di cane, forca di vipera e aculeo di orbetto, zampa di lucertola e ala di allocco, scaglia di drago, dente di lupo, mummia di strega, ventricolo e stomaco di uno squalo marino gonfio. Proseguite con una radice di cicuta strappata nel buio, il fegato di un ebreo bestemmiatore, fiele di capra e rametti di tasso tagliati nell’eclissi di luna, naso di turco e labbra di tartaro, dito di neonato strangolato partorito in un fosso da una sgualdrina. Aggiungete viscere di tigre e raffreddate con sangue di babbuino.
Una ricetta infernale che mostra ciò che “bolle in pentola”: il rovesciamento dei valori che viene rappresentato attraverso un totale e significativo rovesciamento del gusto.
Amici per cena: e se ti invita un cannibale?
Però non dimentichiamo il cannibalismo: crimine e cibo sono strettamente collegati.
Memorabile la scena finale del film “Il silenzio degli innocenti” dove il dottor Lecter attende un vecchio amico per cena).
Ma anche in Tito Andronico di Shakespeare, dove Tito prepara un banchetto in cui le carni dei suoi nemici diventano vero e proprio cibo, cibo di vendetta.
In Italia famosa è Leonarda Cianciulli, meglio nota come la saponificatrice di Correggio, che tra il 1939 e il 1940 uccise tre donne a colpi di scure.
Condannata nel manicomio criminale di Aversa scriverà un memoriale nel quale spiega come sciogliesse i corpi delle sue vittime in un pentolone con della soda caustica, “finì nel pentolone, come le altre due ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti”.
Di altre vittime racconta di aver raccolto il sangue in un catino, fatto seccare al sole e poi usato come ingrediente per pasticcini, offerti alle amiche per il the. Muore nell’ospedale psichiatrico nel 1970.
IN PENTOLA PARTI INTIME DELL’ARTISTA
Singolare il caso dell’artista giapponese Mao Sugiyama che nel 2012 si è fatto cucinare pene e testicoli da uno chef. Ma in Giappone il cannibalismo di per sé non è reato.
Mao Sugiyama, che afferma di essere asessuale, spiega di aver preparato questa performance per attirare l’attenzione sulle minoranze sessuali.
L’artista ha anche chiarito sul suo account Twitter “di essersi fatto asportare pene e testicoli su sua richiesta e averli tenuti in congelatore per due mesi”, fino al momento della cena.
Sugiyama ha scatenato una tempesta di interesse con un tweet: “[Per favore retweet] Sto offrendo i miei genitali maschili (pene intero, testicoli, scroto) come pasto per 100.000 yen … Preparerò e cucinerò come richiesto dall’acquirente, nel luogo prescelto.”
Le parti intime sono state cucinate con funghi e condite con prezzemolo. Il piatto è stato poi consumato da cinque clienti, durante una degustazione elegante a Tokyo al costo di $ 250 a piatto.
E che dire di un salutare bicchier d’acqua?
Uno tra i più famosi veleni italiani è sicuramente l’Aqua Tofana, conosciuto come “Aqua Toffana”, “Acqua Toffana”, “Aqua Tufania” e “Acqua di Napoli” o ancora manna di San Nicola, perché veniva imbottigliato in boccette decorate con l’immagine del santo.
La ricetta esatta è andata perduta ma si sa che era un liquido inodore, insapore e incolore e pertanto si poteva mescolare con acqua e vino e non era visibile nel cibo.
Gli ingredienti sembra fossero ossido di arsenico, antimonio e ossido di piombo, in dubbio la presenza della belladonna.
Sembra questa pozione sia opera di una certa Thofania d’Adamo, nata e vissuta in un quartiere tra i più poveri e malfamati della Palermo del XVII secolo.
La donna fu giustiziata il 12 luglio 1633 per aver avvelenato il marito.
Ma l’acqua attrae e nel 2017 M. D. Z. ha utilizzato l’acqua minerale per avvelenare i suoi familiari con il tallio.
È reo confesso di aver ucciso volontariamente i nonni paterni e una zia e di aver tentato di uccidete i nonni materni, due zii e la badante, insomma di sterminare l’intera famiglia.
Il tallio è un veleno senza sapore e senza odore e M. D. Z. ha dichiarato di averlo aggiunto aprendo il tappo di alcune bottiglie di acqua acquistate dai parenti e che si trovavano nella cantina comune della casa ove abitavano.
Per il secondo e successivo avvelenamento dei nonni materni, residenti a poche centinaia di metri dall’abitazione del reo, il tallio risulta essere stato mischiato alle erbe di ortica e potrebbe essere stato aggiunto in altri integratori e della frutta acquistati dalla madre e consegnati ai suoi genitori.
ATTENZIONE ALLE BOTTIGLIETTE IN UFFICIO
Attenzione alle bottigliette d’acqua in ufficio… succede a Milano ancora nel 2018. Acido nella bottiglietta d’acqua.
Un uomo è stato avvelenato in ufficio dalla collega che ha svuotato una fiala di acido cloridrico nella sua bottiglietta d’acqua.
L’uomo si è salvato perché ha percepito all’istante il cattivo sapore del liquido, ha subito sputato quel poco di acqua rimasta in bocca senza ingerirla.
E che dire del pranzo di Natale?
Le statistiche internazionali documentano che il Natale – così santo nell’immaginario di molti – ha un effetto statisticamente significativo sulla frequenza degli omicidi, che il 25 dicembre raddoppia rispetto agli altri giorni dell’anno.
In queste festività, che le famiglie spesso trascorrono insieme e a casa, magari con amici e conoscenti, la concatenazione di omicidi motivati e di vittime adatte può aumentare le occasioni di delitti di violenza che coinvolgono familiari e conoscenti.
L’AVVENTURA DEL DOLCE DI NATALE CON POIROT
Agatha Christie già bene conosceva ciò. In “L’avventura del dolce di Natale” (The adventure of the Christmas Pudding) Hercule Poirot gusterà un pranzo succulento e assaggerà questo tipico dolce della tavola inglese tradizionale.
Come in tutte le tradizioni inglesi nel pudding si nascondono monete, anelli, ditali e chi trova nella sua fetta avrà un anno fortunato oppure anche gioielli esotici spariti. Naturalmente ci sarà anche un cadavere.
Nell’introduzione a questo racconto la Christie scrive che “questo libro è come un pranzo di Natale accuratamente preparato da un vero chef. E lo chef sono io! […] Il caso del dolce di Natale è una sorta di regalo che faccio a me stessa , poiché mi riporta alla mente con grande piacere i Natali della mia adolescenza…..il pranzo di Natale era di proporzioni pantagrueliche. …..i ragazzi della mia famiglia e io facevamo a gara a chi mangiava di più il giorno di Natale. La zuppa di ostriche e rombo …. Tacchino arrosto, quello bollito e all’enorme bistecca… il dolce di Natale, pasticcini di frutta candita, zuppa inglese… cioccolatini….”
Agatha Christie scrive che il piatto forte (dei racconti) è L’avventura del dolce di Natale.» Tanto che “Non mangiate il pudding se tenete alla vostra vita”, è l’intimazione scritta nel biglietto che Poirot trova nella sua camera la vigilia di Natale.
Quindi … attenzione a chi inviti e a cosa metti in tavola.
Laura Baccaro
www.laurabaccaro.it
Ti piacciono le storie ufficiali? O anche tu ami il dissenso?
Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org