L’opera prima del regista Aaron Sorkin ci fa riflettere sul rapporto con i giri viziati dei potenti.
Cos’è il potere? Come lo si gestisce? Quali persone lo rappresentano? Possiamo arrivare ad avere anche noi potere, pur essendo figli di una famiglia al di fuori dei grandi giochi dei potenti?
Questi e tanti altri interrogativi mi ha suscitato la visione di Molly’s Game, film di 140 minuti, uscito in Italia nel 2018, scritto e diretto da Aaron Sorkin.
La pellicola la si può vedere sulla piattaforma di streaming RaiPlay e su Sky e Now Tv.
La storia è questa. Costretta ad abbandonare lo sport dopo una grave lesione fisica. Molly Bloom, dopo gli studi di legge, ottiene un lavoro estivo che la introduce a una nuova impresa, in cui sono necessarie disciplina e energia.
Le stesse disciplina ed energia necessarie per lo sport, ma da utilizzare per un altro obiettivo: scalare il mondo più esclusivo e ad alto budget del poker clandestino.
Il film trae ispirazione dal libro Molly’s Game: From Hollywood’s Elite to Wall Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker, .
È l’autobiografia dell’ex organizzatrice di partite milionarie di poker Molly Bloom.
Aaron Sorking – che ha sceneggiato i film West Wing, The Social Network e Steve Jobs – con questa pellicola esordisce alla regia.
Vi è un cast eccezionale con le star Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner e Michael Cera.
Il film Molly’s Game ha ricevuto una nomination per gli Oscar del 2018, come migliore sceneggiatura non originale di Aaron Sorkin.
Molly’s Game. La trama del film
Molly Bloom è una giovane sciatrice nata in Colorado, costretta al ritiro dalle competizioni a causa di un grave incidente durante le selezioni per partecipare alle olimpiadi di Salt Lake City.
Trasferitasi a Los Angeles, grazie ad una serie di circostanze fortuite diventa l’organizzatrice di un giro di poker per personaggi abbienti, quali produttori cinematografici, attori, registi, cantanti e uomini d’affari.
Si trasferisce poi a New York, a causa di un diverbio con un potente giocatore di poker, che la espelle dal giro californiano.
A New York, Molly organizza una rete ancora più fitta di giocatori ricchissimi, composta da ebrei e soprattutto da russi appassionati delle partite di poker.
L’avventura finisce, però, anche a New York. L’Fbi le confisca i proventi della sua attività. Due anni dopo, e a seguito della pubblicazione di un libro autobiografico, viene addirittura arrestata.
L’accusa è pesante: essere in combutta con la mafia russa. Molly rischia parecchi anni di carcere.
Del giro di giocatori fanno parte nomi celebri di Hollywood, campioni dello sport, importanti uomini d’affari e perfino, all’insaputa della donna, la mafia russa.
Il suo avvocato difensore, Charlie Jaffey, inizialmente riluttante a difenderla, riconosce in lei dei principi morali molto solidi e una determinazione fuori del comune. Decide così di accettare l’incarico.
La partita è assai difficile. Riuscirà Molly Bloom a non finire per qualche decennio dietro le sbarre? Le sarà perdonata la sua organizzazione di partite di poker con uomini dalla reputazione criminale, anche se Molly di loro non sapeva nulla?
Inizia così per Molly Bloom una partita ben più complessa e di valore di quelle che lei organizzava. Mentre il rapporto di Molly con il padre-allenatore, che ha sempre preteso troppo da lei, subisce una svolta decisiva.
La recensione del film
Scrive sul magazine online Cinematografo il critico Valerio Sammarco: “Quello che sta a cuore al regista Sorkin, lo capiamo strada facendo, non è però la scalata e la conseguente caduta di Molly, né alimentare il gossip relativo alle personalità coinvolte in quei tavoli milionari (di fatto proseguendo sulla strada tracciata dalla stessa Bloom, che anche nel libro usa nomi fittizi)”.
“All’autore di The Social Network e Steve Jobs interessa piuttosto scavare nel cuore di un rapporto, quello con la figura paterna, partendo dagli anni d’infanzia della protagonista in Colorado”, prosegue l’articolo, “fino ad arrivare a quella bellissima e risolutiva scena, verso il finale, su una panchina di Central Park a New York”.
Sul magazine online Cinematographe, il critico Marco Paiano osserva che la Molly Bloom del film “è un perfetto equilibrio di contraddizioni: umile ma siede a testa alta accanto al tavolo di grandi celebrità, in perenne ricerca di polli da fare spennare”.
Molly è però allo stesso tempo – osserva l’articolo – “disposta a comprendere e aiutare i giocatori che stanno entrando in una spirale distruttiva, spregiudicata organizzatrice di bische clandestine“.
Tuttavia, prosegue l’articolo, Molly è “fermamente intenzionata, fin quando possibile, a rifiutare di trattenere quella percentuale sui soldi al tavolo che la metterebbero con le spalle al muro dal punto di vista legale”.
Intorno a Molly, osserva il critico, “ruota una serie di personaggi solo apparentemente marginali, (…) che diventano preziose tessere di un brillante mosaico sociale, in cui piccoli sprazzi di umanità emergono da un quadro fatto di cinismo, vizio e voglia di emergere“.
Il film Molly’s game e i giochi di potere
Sono molti gli spunti di riflessione che il film Molly’s game ci offre.
Vi è il livello personale e familiare del rapporto con il padre – uno psicologo, interpretato da Kevin Costner.
Un padre allenatore, ma anche padre padrone, che da Molly ha sempre preteso troppo. E che a lei ha dato sempre poco.
Vi è poi il livello dei valori dello sport. Molly organizza bische dove si gioca a poker con altissime puntate.
Tuttavia – almeno per buona parte della sua attività – Molly mostra di avere una sua etica: paga le imposte, impedisce che i giocatori dipendenti dal poker si rovinino. È insomma un’abile organizzatrice ma anche una donna che sa ascoltare.
Vi è poi la riflessione sul potere. Nulla può Molly Bloom – che non è una donna potente anche se ha potenti uomini che giocano in hotel da lei – quando l’Fbi decide di metterla nell’angolo.
Viene messa nell’angolo perché non ha una posizione sociale (e una schiera di avvocati) in grado di trattare da pari con gli inquirenti e con il procuratore distrettuale che la vuole far processare per mafia.
Le accuse sono infondate. Tuttavia, il procuratore insiste perché lei tradisca i giocatori che partecipavano alla sua bisca; e riveli i dettagli personali.
Molly non accetta di rovinare le vite private di uomini che sono, peraltro, figuri senza scrupoli verso niente e nessuno. La sua etica di sportiva la ferma prima dell’offesa alla dignità delle persone. Anche se questo la espone a una condanna pesante.
La sua posizione sociale – donna e per giunta fuori dei giri dei potenti – la rende però vulnerabile. È sotto attacco e difendersi è per lei un’ardua impresa.
I potenti che sedevano ai tavoli da gioco della sua bisca sono di altro calibro.
Loro non avrebbero dubbi nel rovinarla. Non hanno problemi a condizionare i gangli del potere finanziario statunitense, a cominciare da Wall Street, pur di salvarsi.
Molly Bloom – donna e piccolo borghese – non ha altre armi che quelle di chi non è nei giri di potere e ama lo sport autentico: la verità e l’onestà.
Grazie alla sua scelta di onestà e di verità, Molly riuscirà là dove pensiamo che non possa riuscire.
Perché, come dice il giudice che l’ha davanti al processo, nel mentre lei viene messa sotto analisi, a poche centinaia di metri di distanza il Potere della gente di Wall Street ha commesso molti più reati di quanto possa averne commessi Molly.
MOLLY’S GAME E LA LEZIONE SUL POTERE
Il film di Aaron Sorkin – Molly’s game – ci dà allora una lezione sottile sul Potere. Anzi, di lezioni ce ne dà tre.
La prima lezione è che, se non nasciamo nella famiglia giusta, saremo sempre ospiti dei circoli dei potenti: mai integrati, sempre usati ed espulsi al primo battito d’ali.
La seconda lezione è che le miserie del Potere – e dei potenti che lo alimentano come organizzazione – non ci devono confondere. Possiamo essere al servizio del Potere, quando è necessario o ci serve, ma mai servi del Potere.
Infine, la lezione più affascinante dal film Molly’s game: la nostra etica, improntata a verità e onestà, e le nostre origini di gente normale ci pongono una serie di gradini umani sopra i miserabili milionari del Potere. E quella nostra posizione, neppure la Master Card dei potenti può comprarla.
I “POTERI FORTI” E LA FORZA DELL’ONESTÀ E DELLA VERITÀ
Ho avuto modo di conoscere i cosiddetti Poteri Forti da molto vicino. Non sono diversi dai poteri deboli, quelli quotidiani di ciascuno di noi in un’organizzazione.
La differenza dei Poteri Forti è nella loro meschinità. Nelle loro piccole mancanze e miserie umane, che ponendosi in alto risuonano ancor più vili e gravi.
Il film Molly’s game ci dà così una lezione assai interessante: che l’onestà e la verità sono strumenti formidabili per non assomigliare – mai – alle piccole donne e ai piccoli uomini dei Poteri Forti.
I Poteri Forti sono quelli che si siedono ai tavoli dei giochi d’azzardo: siano essi tavoli da poker o computer per le puntate in Borsa.
I Poteri Forti sono quelli che perdono e vincono milioni di dollari (o di euro) senza battere ciglio. Sono rappresentati da donne e uomini che tuttavia perdono al tavolo più importante: quello della qualità e della dignità umana.
Su quei tavoli – dell’onestà e della verità, della qualità e della dignità umana – a vincere sono i giochi di Molly. E siamo tutti noi – ci ricorda il film Molly’s game – quando non ci pieghiamo alla logica dei forti. Ma vinciamo sul tavolo dei (presunti) deboli.
Maurizio Corte
corte.media
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