Si tratta di cyber violenza a sfondo sessuale. Va combattuta con un cambio culturale sia nei maschi che nelle femmine.
La serie televisiva Privacy, su Netflix, racconta la storia di due donne vittime del ricatto legato alla diffusione di video in cui stanno facendo sesso con un proprio partner.
Una delle donne, una giovane operaia, non regge alla vergogna e alla gogna che uomini e donne le riversano contro divulgando il video in cui fa sesso con un uomo. E si uccide.
L’altra donna, la vicesindaco di Bilbao (Spagna), che aspira alla carica di sindaco, viene ripresa di nascosto mentre ha un rapporto sessuale, su una spiaggia, con un uomo che non è suo marito.
Di fronte alla diffusione del video, per danneggiarla, reagisce e combatte la sua battaglia di libertà e giustizia e diritto all’intimità. E alla privacy.
Non a caso, la serie televisiva spagnola in lingua originale si intitola Intimidad. E segnala il diritto all’intimità, al divieto di far circolare proprie immagini private.
Qui puoi vedere il trailer di Privacy, su Netflix. Mentre sul giornale online Heraldo puoi leggere la recensione a cura di Maurizio Corte.
LA RIFLESSIONE DI LAURA BACCARO SUL “REVENGE PORN”
Partiamo da qui, dal diritto al rispetto della privacy, per ospitare l’articolo della criminologa Laura Baccaro, psicologa giuridica che si occupa di violenza sulle donne.
La sua è una riflessione sul revenge porn. Ovvero, quella forma di vendetta rappresentata dalla diffusione – da parte di solito di un ex partner – di immagini e video di una donna ritratta mentre sta facendo sesso con qualcuno.
Si tratta di un reato che colpisce soprattutto le donne. E che proprio fra le donne, in alcune situazioni, trova ostilità, mancanza di solidarietà con la vittima. O addirittura, quel reato vede donne complici dei farabutti che diffondono immagini intime di altre donne.
I messaggi che l’articolo di Laura Baccaro ci trasmette – importanti – sono due:
- il revenge porn non è una mera forma di vendetta, ma di disprezzo della figura femminile in quanto tale;
- i video privati di donne che fanno l’amore con un partner NON sono pornografia. Sono video di situazioni d’amore, video privati che rappresentano l’intimità (inviolabile) di una persona
Alla luce di tutto questo, occorre un cambio culturale e un’azione educativa per far riconoscere il diritto di una donna a vivere la sessualità – atto intimo – come qualcosa che non può essere violato.
E il diritto di una donna alla sessualità stessa, senza alcun giudizio morale che con il sesso non ha nulla a che fare.
La vicenda di Tiziana Cantone e il video che ritorna
È di maggio 2022 la segnalazione della famiglia che il video di Tiziana Cantone è ancora online.
Ricordiamo che Tiziana Cantone aveva 31 anni quando muore impiccata nel 2016, distrutta dalla diffusione in rete, su Whatsapp e poi su Facebook, di un suo video intimo.
Il suo caso fece nascere un grande dibattito in Italia, che ha poi portato all’approvazione della legge contro il revenge porn.
Lo stesso filmato è stato rimesso online in un sito a luci rosse in lingua inglese, accompagnato da un secondo filmato.
I video sono corredati da un testo dove si dice che Tiziana si è uccisa per quei filmati, tant’è che sono stati rimossi. Ma che adesso c’è modo di rivederli… e divertirsi.
L’articolo si qualifica da solo. E dimostra il disprezzo verso la figura femminile, al di là del caso di Tiziana Cantone.
Cos’è il Revenge Porn?
Di che comportamento stiamo parlando quando parliamo di revenge porn? Possiamo dire – in linea teorica – che si tratta di diffusione di pornografia non consensuale. A volte è una pornovendetta.
Di fatto, per revenge porn intendiamo la minaccia di diffondere, la diffusione e divulgazione a terzi di immagini o di video sessualmente espliciti destinati a rimanere privati senza il consenso di chi è ritratto.
Può trattarsi, ad esempio, di selfie scattati dalla stessa vittima e inviati all’ex partner. Oppure di video e fotografie scattate in intimità con l’idea che dovessero rimanere nella sfera privata.
Nulla, quindi, che abbia a che fare con la pornografia in senso stretto, intesa come mercificazione del sesso; come esibizione oscena di atti sessuali.
Si può trattare, addirittura, di scatti e riprese avvenuti di nascosto, senza che una delle parti ne fosse consapevole.
Il reato di revenge porn – introdotto nel Codice Rosso in Italia – prevede multe e sanzioni severe. Tuttavia, il problema resta la rimozione delle immagini, come abbiamo visto nel caso di Tiziana Cantone.
Il revenge porn ha l’obiettivo di infamare, denigrare, bullizzare, molestare e danneggiare pubblicamente la vittima, la persona quindi a cui si riferiscono.
Molte persone, soprattutto donne, hanno subito danni reali alla vita quotidiana, dalla diffusione di immagini e video in cui compivano atti sessuali. Il tutto con ripercussioni fino al licenziamento.
Spesso ex partner rancorosi – perché la relazione si è chiusa contro il loro volere – cominciano a diffondere le immagini o i video intimi della loro relazione, come rappresaglia verso la ex.
IL FENOMENO DEL SEXTING
Il revenge porn nasce spesso come conseguenza del sexting, cioè lo scambio o la realizzazione di immagini o video intimi consensuali tramite smartphone. Oppure tramite applicazioni di messaggistica istantanea molto di moda tra i giovani.
Si basa sulla libera volontà delle parti di scambiarsi messaggi; e non costituisce un illecito. Ad esempio, la ragazza che invia al suo fidanzato un selfie sensuale.
Secondo una recente ricerca di Skuola.net per Polizia di Stato su 6500 ragazzi tra i 13 e i 18 anni, il 24% ha scambiato almeno una volta immagini intime con il partner via chat o social (il cosiddetto sexting).
Di questi, il 15% ha visto circolare online, senza consenso, le proprie immagini.
La diffusione di immagini sessuali personali
Uno studio condotto in Italia su un campione di 2.000 persone, tra la fine di aprile 2022 e l’inizio di maggio, da The Fool (società di reputazione digitale) ha scoperto che sono circa 2 milioni le vittime di diffusione non consensuale di materiale intimo.
Sono più del doppio le persone che conoscono qualcuno che ne è stata vittima.
Stando al report, una vittima su tre scopre il fatto attraverso messaggi privati, chat, forum online, canali ad hoc e passaparola.
Secondo l’analisi pubblicata da Skuola.net, il sexting è in ancora più diffuso. In Italia una persona su sei ha prodotto questo tipo di contenuti almeno una volta, e la metà ha ammesso di averli anche condivisi.
Le vittime sono per il 70% dei casi donne eterosessuali, con un’età media di 27 anni.
Le donne vengono a conoscenza della diffusione del contenuto spesso in autonomia; o a seguito della segnalazione da parte di conoscenti o sconosciuti.
Gli uomini più di frequente sono taggati nella foto, avvisati dal partner, dai famigliari o dalle forze dell’ordine.
A questo proposito, c’è da dire che il legislatore italiano associa la condivisione di immagini a un sentimento di vendetta nei confronti della vittima, da cui l’utilizzo del termine scorretto revenge porn.
VENDETTA O ATTACCO ALLA FIGURA FEMMINILE?
La realtà è che la “vendetta” è solo una componente, minoritaria, della diffusione di video e foto in cui donne sono ritratte mentre fanno sesso. Alla base vi è il disprezzo verso la donna, verso la figura femminile.
Di qui la considerazione che il termine revenge porn rappresenta solo una parte del fenomeno.
E non riconosce la (ingiusta) squalificazione e colpevolizzazione del genere femminile, insita in questo fenomeno di diffusione di momenti sessuali privati che ciascuna donna (come ciascun uomo) ha diritto di vivere come crede.
La percezione del reato di Revenge Porn
Secondo lo studio condotto da The Fool, a cui mi riferivo più sopra nell’articolo, quasi la metà degli intervistati ha una precisa opinione.
Quali il 50% del campione considera la condivisione non consensuale di materiale intimo come uno dei temi più preoccupanti, nella sfera della sicurezza informatica.
Dall’altro lato, in realtà ben l’84% di chi ha condiviso immagini o video intimi – senza che la vittima ne fosse a conoscenza – è pronto a tornare a rifare quelle condivisioni.
Queste persone che amano condividere momenti intimi altrui, senza il consenso degli interessati, considerano il loro comportamento divertente o non offensivo. E si sentono autorizzati a farlo anche non conoscendo la persona ritratta.
Solo il 13% dichiara di aver sbagliato. Il 10% giustifica le proprie azioni, asserendo di non sapere che la vittima con era d’accordo.
Come e dove avviene il reato
Dove si realizza il reato di revenge porn? Sono di solito luoghi virtuali che favoriscono la condivisione di materiali quali chat e gruppi su Facebook o WhatsApp, chiusi o aperti.
Lo stesso accade su siti web e forum di materiale erotico.
Le vittime spesso vengono contattate da sconosciuti per avere prestazioni sessuali. Sui social appaiono con nome, cognome e scatti personali. Arrivano poi insulti, gogna, offese alle vittime.
Si diffonde e pubblica materiale personale a sfondo sessuale per vendetta, come ho scritto sopra. Ma lo si fa anche come merce di scambio o per esibirsi.
Le foto e i video privati a sfondo sessuale, con le persone ritratte ignare, vengono addirittura venduti.
C’è quindi un mercato sui momenti privati delle vittime di revenge porn. Le foto valgono poco, costano molto invece le riprese video-audio.
CYBERVIOLENZA CONTRO LE DONNE
In questo mare di cyberviolenza ci sono tre oggetti di culto:
- le foto delle ex;
- video amatoriali;
- la “Bibbia 5.0″
La Bibbia 5.0 è un enorme file che raccoglie oltre 10.000 immagini di vittime di revenge porn, esposte con nome, cognome e con il volto visibile.
La circolazione di immagini intime
La legge n. 69 del 19 luglio 2019 (il cosiddetto Codice Rosso) ha introdotto anche in Italia il reato di revenge porn, con la denominazione di diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti.
Il delitto consiste nella diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti realizzate spesso con il consenso dell’interessato.
Il problema è che quei materiali digitali sono poi diffusi senza alcuna autorizzazione, ledendo la privacy, la reputazione e la dignità della
vittima.
LA COLPEVOLEZZA DI CHI DIFFONDE FOTO E VIDEO
È ritenuto colpevole anche chi diffonde immagini e video personali a sfondo sessuale, perché ricevute o perché già in circolazione.
La legge prevede l’elemento psicologico del dolo, cioè la volontà cosciente di danneggiare chi è ripreso nelle immagini a sfondo sessuale.
La pena per il reato di revenge porn è quella della reclusione da uno a sei anni; e la la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
La legge prevede un inasprimento della pena qualora il revenge porn:
- sia commesso dal coniuge,
- sia commesso dall’ex coniuge anche o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla vittima,
- sia commesso attraverso l’uso di strumenti informatici
Il reato di revenge porn è punito a querela della persona offesa entro sei mesi; e la remissione della querela può essere solo processuale.
Segnalazione al Garante Privacy
Oltre al reato di revenge porn, il decreto legge 139/21, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 241/2021, è intervenuto con riguardo alle segnalazioni al Garante della Privacy.
Chiunque, compresi i minori dai 14 anni in su, abbia fondato motivo di ritenere che immagini o video a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione – senza il suo consenso in violazione del codice penale – può rivolgersi al Garante della Privacy.
Può farlo mediante segnalazione o reclamo al Garante della Privacy che, entro 48 ore dal ricevimento della richiesta, provvederà predisponendo le opportune indagini.
Qui puoi scaricare l’informativa del Garante della Privacy su come prevenire il revenge porn e come difendersi:
Vittime e violenza online: conseguenze del Revenge Porn
L’esposizione alla violenza online in tutte le forme durante l’età adulta è associata a una vasta gamma di esiti negativi.
Si tratta di esiti conseguenti alla combinazione di due o più tipi di abuso emotivo, fisico, psicologico o sessuale.
Le conseguenze per la persona vittima di revenge porn possono essere:
- Disturbo emotivo e psicologico e problemi di salute legati ad ansia, depressione, rabbia, stress post- traumatico e ipervigilanza;
- Attacchi di panico;
- Ridotto adattamento individuale;
- Sfiducia delle relazioni future;
- Bassa autostima;
- Aumento dei sentimenti di inferiorità;
- Uso di sostanze;
- Ricorso a psicofarmaci;
- Abbandono lavorativo e/o scolastico;
- Sentimenti di depressione e ansia;
- Rischi di atti di autolesione o pensieri di suicidi
La vittima del revenge porn è portata a esprimere una decisa preoccupazione:
- per la propria sicurezza fisica;
- per la sicurezza della famiglia;
- per i datori di lavoro e i familiari che scoprono o subiscono molestie;
- d’incorrere in costi finanziari nel tentativo di evitare o compensare molestie e abusi;
Denunciare chi ha diffuso le immagini. E poi?
Solo il 50% delle vittime intervistate nello studio di Skuola.net afferma di aver diffuso immagini e/o video personali a sfondo sessuale.
Li ha diffusi a fronte del fatto che non considera reato la diffusione del materiale considerato pornografico.
Spesso si sente colpevole per aver fatto quegli scatti, per aver concesso la ripresa di video dal contenuto sessuale. E per aver provato piacere nel registrare il video.
Specie le donne si sentono “poco serie”, nel momento in cui sono mostrate le loro immagini a sfondo sessuale. Il giudizio morale su di loro è pesante.
Si sentono delle poco di buono e come tali meritevoli e/o colpevoli per la diffusione di video e fotografie intime. Inoltre, le donne si fidano poco delle forze dell’ordine.
Spesso le vittime donne cercano una mediazione con l’autore del revenge porn, per indurlo a rimuovere i file, magari aiutate da persone delle quali si fidano.
ASSISTENZA ALLE VITTIME
È importante assistere le vittime di revenge porn, anche dal punto di vista psicologico. Occorre soprattutto proteggerle dalla cosiddetta “vittimizzazione secondaria”.
La vittimizzazione secondaria consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, ed è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all’apertura di
un procedimento giurisdizionale.
Non dimentichiamo che quasi la metà delle persone vittime di revenge porn, teme che con la denuncia la loro vicenda venga diffusa ancor di più.
Revenge Porn: come prevenirlo
Esistono associazioni, sportelli che informano e aiutano ma, come abbiamo visto, si ha poca fiducia nella denuncia.
Si ha paura della diffusione virale delle immagini. Si ha paura di farsi ancora più male.
Finché non verrà innescato un processo di cambiamento culturale sui temi della sessualità – come materia d’educazione nelle scuole di ogni ordine e grado – assisteremo a fenomeni di violenza relazionale e violenza contro i diritti delle persone.
Il revenge porn è un fenomeno con radici culturali profonde.
Trova humus negli stereotipi maschili e femminili. E trova terreno fertile nel moralismo che divide le donne in sante e puttane. In in donne che se la sono cercata e in vittime “vere”.
Un reato sessuofobico e maschilista
Il reato di revenge porn più che una vendetta (registrabile solo in alcuni casi) spesso è una violenza digitale, un abuso sessuale tramite social o web.
È un reato “morale” dove vengono punite le donne che fanno sesso, che si esprimono anche affettivamente con il corpo.
Un uomo, di solito, in materiale sessuale, viene valutato per le performance. Nessuno lo addita o grida allo scandalo se compare in un video porno
VIDEO SESSUALI E PUNIZIONE DELLE DONNE
Invece alla donna è riservata la punizione perché “non è seria”.
Ricordiamo la maestra di Torino licenziata dalla scuola perché il suo ex fidanzato ha diffuso in rete alcune foto e video privati. Ha subito, lei vittima, una condanna sociale unanime, anche da parte delle donne.
La maestra ha il coraggio di denunciare la scuola. La dirigente scolastica, accusata di violenza privata e diffamazione, è stata condannata a un anno e un mese.
Di due mesi invece, la condanna per la madre di un’alunna, accusata di aver inoltrato le immagini ad alcune amiche dopo averle scovate nello smartphone del marito.
Proprio la vicenda della maestra di Torino ci dice che i comportamenti di revenge porn avvengono anche per colpa nostra, che ci mostriamo bacchettoni moralisti e avidi di sesso degli altri.
Colpa nostra che siamo pronti a denigrare la donna normale che ha la sua vita sessuale normale con un uomo normale.
Il paradosso è che, su un altro fronte, siamo pronti ad acclamare famose influencer e pornodive che del vero “porno” hanno fatto un mestiere.
IL VERO COLPEVOLE? CHI DIFFONDE VIDEO E FOTO PRIVATE
Va quindi ribadito che gli autori di reato non sono le donne ritratte a loro insaputa. Sono coloro che, tradendo la loro fiducia, diffondono senza autorizzazione momenti intimi.
Tuttavia, colpevoli sono anche coloro che, a seguito della notizia che una donna si fa riprendere (spesso a sua insaputa) mentre fa sesso, discriminano proprio la donna che è vittima.
Oppure la inducono al licenziamento, come nel caso di Torino, o verso il suicidio.
PUBBLICO DISPREZZO E VITTIME FEMMINILI
Il pubblico disprezzo e la perdita di rispettabilità sono le armi che fanno sì che il revenge porn abbia come vittime le donne.
Per questo, la battaglia contro il revenge porn va combattuta difendendo proprio le donne. E mettendo sotto la luce dell’accusa chi alimenta la diffusione di immagini e video personali con contenuto sessuale.
Se il revenge porn, più che una vendetta, è una forma di disprezzo della donna e di misoginia, occorre agire su questo fronte:
- difendendo le donne e il loro diritto a una sessualità libera e privata;
- colpendo chi diffonde materiale privato senza l’autorizzazione degli interessati;
- praticando e diffondendo una cultura del rispetto degli altri e della loro privacy (donne in primis)
Laura Baccaro
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La serie televisiva Privacy (Intimidad)
adadda
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Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org