Le true crime stories fanno marcire il nostro cervello. E comunque le storie di vicende criminali reali sono un modo assai conservatore di guardare il mondo. A dirlo è la scrittrice statunitense Emma Berquist, di origini texane, in un articolo per il magazine XY.
Berquist ricorda che il numero di omicidi, nella nostra società, se escludiamo il periodo del lockdown, è in discesa negli ultimi 18 anni. E che rispetto agli anni novanta, le morti per assassinio si sono ridotte a un terzo.
Nonostante questo, fa notare la scrittrice, le persone hanno più paura. Temono in misura maggiore di essere vittima di violenza e di essere uccise.
Sono soprattutto le donne a temere per la propria vita. Il motivo? Ascoltano troppi podcast e vedono troppi film, serie televisive e docu-film su serial killer, casi di omicidio e violenza.
La scrittrice Emma Berquist ha tutti i titoli per scrivere quanto mette nero su bianco nel suo articolo sul magazine online Gawker, intitolato True Crime Is Rotting Our Brains.
Anni fa, la Berquist è stata assalita e accoltellata più volte mentre era a passeggio con il cane. Un’esperienza che per mesi ha condizionato, oltre al dolore per le ferite, la sua vita, le sue paure e il timore di essere seguita oppure oggetto di un’aggressione.
NARRAZIONI E INFLUENZA SUL PUBBLICO
Il condizionamento che le narrazioni – di fiction e da true crime stories – hanno sulle persone, portano la scrittrice texana ad affermare che le storie criminali stanno deteriorando il nostro cervello. E che insistere sulle storie criminali è un modo retrivo, reazionario e conservatore di guardare il mondo.
Come si sa, la drammatizzazione delle storie fa sì che – alimentando le paure – la pubblica opinione si chiuda in posizioni di chiusura e di conservazione.