Le ombre del sistema di tutela minorile: tra fallimenti, cessioni illegali e mancanza di controlli.
Che cosa succede alla buona famiglia americana? Nel caso dei Barnett, rispondere con una sola parola è impossibile.
Dietro la facciata impeccabile si cela infatti una realtà complessa: l’accusa di aver abbandonato Natalia Grace, figlia adottiva con disabilità.
I protagonisti della serie true crime Good American Family appaiono dalle prime scene come un biscotto a due strati.
All’esterno la famiglia dell’Indiana è solida, incorniciata da uno steccato bianco e una bandiera che sventola sopra il sorriso composto dei tre figli.
All’interno, però, la farcia familiare è fragile: un ripieno instabile, pronto a sciogliersi sotto il peso di paure inconfessabili, pregiudizi latenti e dinamiche familiari distorte.
A rompere l’equilibrio nel 2010 è l’adozione di Natalia: un’orfana ucraina affetta da una rara forma di nanismo. Un morso deciso che sbriciola ogni apparenza.
Il gesto altruista si trasforma presto in un caso intricato, mentre sullo sfondo prende forma una rete di truffe sulle adozioni.
I dubbi sull’identità della bambina fanno il resto, alimentando un vortice di ansie, fino all’epilogo più crudele.
Dopo due anni, Kristine e Michael Barnett modificano legalmente la data di nascita della figlia e la abbandonano in un appartamento. Sola e impreparata alla vita.
Da qui, il passo verso il tribunale è breve.
I coniugi vengono infatti accusati di abbandono nei confronti di una persona con disabilità, diventando protagonisti di una caso mediatico nazionale.
A quindici anni di distanza, Disney+ riporta alla luce questa vicenda sconvolgente attraverso otto intensi episodi. Da non perdere.
L’ADOZIONE CHE HA SPEZZATO LA NAZIONE
Pur con qualche elemento romanzato, Good American Family illustra la gravità del caso di Natalia Grace.
Intrecciando cronaca nera e dinamiche familiari disfunzionali, gli otto episodi vanno però oltre la semplice ricostruzione giudiziaria dei fatti.
Ideata da Katie Robbins, la serie adotta infatti un approccio narrativo a più voci, seguendo il punto di vista dei tre protagonisti: Kristine, Michael e Natalia Grace Barnett.
Tre storie diverse che si incontrano nella stessa aula di tribunale nel nord degli Stati Uniti.
L’obiettivo è quindi subito chiaro: esplorare le zone grigie di una realtà intricata.
La serie tuttavia non vuole giudicare, ma accendere un faro sulle fragilità nel sistema di adozioni: prima, durante e dopo l’inserimento di un minore in una nuova famiglia.
Alla fine, lo spettatore si ritrova travolto da un groviglio di dubbi, legati a una domanda che resta sospesa: è davvero una storia vera?
UN TOSSICO TRIANGOLO FAMILIARE
Come scrive anche il Time, sin dalle prime sequenze la serie mette in evidenza l’approccio contrastante dei coniugi Barnett.
La coppia appare infatti segnata da fratture interne. E l’arrivo di Natalia non fa che amplificarle.
Se Kristine guarda alla bambina come al suo «prossimo progetto», Michael (Mark Duplass) sembra invece manifestare un genuino entusiasmo per «avere finalmente una figlia».
Allo stesso tempo, entrambi condividono forse la stessa illusione: che Natalia possa guarire le crepe del loro matrimonio.
A dare spessore a questo complesso equilibrio è l’interpretazione di Ellen Pompeo, nei panni di Kristine Barnett.
Dopo anni in Grey’s Anatomy, l’attrice si cimenta in un ruolo ambiguo e sgradevole, riuscendo a risultare tanto fredda, quanto fragile.
A completare il triangolo narrativo troviamo infine Natalia Grace, interpretata da Imogen Faith Reid.
Nel suo primo ruolo da protagonista, l’attrice restituisce una performance degna di nota, che oscilla tra psicosi e vulnerabilità.
I sei occhi della serie ci costringono alla fine ad un compito spiacevole: spiare il lato più scomodo della genitorialità.
Natalia Grace: un true crime che scuote il sistema delle adozioni
Indiana, Midwest. Nel 19° Stato dell’Unione si consuma uno dei casi di adozione più controverso nella storia giuridica americana: la vicenda di Natalia Grace Barnett.
Nata nel 2003 a Mykolaïv (Ucraina), Natalia è affetta da displasia spondiloepifisaria congenita (SEDc): una rara patologia genetica, che comporta bassa statura e anomalie scheletriche multiple.
Questa disabilità determina presto l’ingresso della bambina nel sistema degli orfanotrofi: istituzioni spesso carenti di risorse, soprattutto per i soggetti più vulnerabili.
LA PERFETTA FAMIGLIA AMERICANA
Nel 2010, la vita di Natalia subisce una svolta.
Gli statunitensi Kristine e Michael Barnett decidono infatti di accoglierla nella loro casa, dopo il fallimento di un’altra adozione.
I coniugi del Midwest hanno già tre figli biologici e sembrano pronti a questo salto nel buio, nonostante le risorse economiche contate e una relazione traballante.
D’altra parte, l’esperienza con il primogenito autistico rende la loro famiglia quella giusta per affrontare la grave disabilità della bambina. Almeno sulla carta.
BAMBINA O ADULTA BUGIARDA? L’ENIGMA NATALIA GRACE
La nuova vita di Natalia inizia come una storia di accoglienza e amore, ma si trasforma presto in una vicenda drammatica.
Nella quotidianità familiare, i Barnett cominciano infatti a muovere accuse pesanti nei confronti della figlia.
Si inizia con comportamenti aggressivi e antisociali, fino a formulare un’ipotesi sconcertante: Natalia sarebbe un’adulta sotto mentite spoglie.
Ma su quali basi si fondano queste insinuazioni? Si tratta di pregiudizi o esistono elementi concreti?
Come si vede nella serie, i coniugi iniziano a nutrire dubbi sull’età della figlia dopo aver notato tre segni di maturità fisica:
- peli pubici,
- una dentatura da adulta,
- e l’arrivo del ciclo mestruale.
Nel documentario The Curious Case of Natalia Grace, Michael Barnett elenca inoltre alcuni comportamenti inquiteanti della figlia.
Natalia avrebbe urinato sul fratellino, aperto la portiera della macchina in corsa e nascosto coltelli. Per citare solo tre (presunti) episodi.
IL BALZO ANAGRAFICO IN TRIBUNALE
Nel 2012, i coniugi traducono i loro sospetti in un’azione legale.
Con il supporto di relazioni mediche, pareri giuridici, un test del DNA e un certificato di nascita, riescono a ottenere il cambio di anno di nascita della figlia: dal 2003 al 1989.
In un colpo solo, quindi, Natalia è catapultata dall’infanzia all’età adulta, passando dai 9 ai 22 anni.
A questo punto, la coppia prende un’ulteriore decisione controversa: sistemare la figlia in un appartamento. Da sola.
UNA SOPRAVVIVENZA IMPOSSIBILE
La nuova vita da adulta di Natalia si rivela ben diversa dalle aspettative.
L’orfana ucraina si trova infatti a vivere in una condizione di totale abbandono.
Non solo non riesce a raggiungere fornelli e scaffali, ma non possiede nemmeno le basi essenziali per sopravvivere: non sa preparare pasti, fare il bucato o lavarsi.
Un quadro di vita quotidiana che restituisce l’immagine di una persona vulnerabile, tutt’altro che in grado di vivere da sola.
Tempo dopo, grazie a Cynthia Mans, la bambina ha tuttavia la fortuna di trovare una nuova famiglia che la solleva dalla situazione. E che la aiuta a intraprendere un’azione legale.
Ora tocca a Natalia Grace raccontare la sua vera storia.
L’AMERICA CHE ABBANDONA
Dopo la modifica legale dell’età, i Barnett entrano ancora una volta nell’aula di un tribunale.
Questo processo, tuttavia, sposta gli occhi su un altro problema.
Non si parla più solo dell’identità anagrafica di Natalia, ma di un’accusa di abbandono di persona con disabilità (neglect of a dependent).
Nonostante la figlia sia infatti ormai un’adulta sul piano legale, la sua condizione fisica la rende comunque dipendente dai Barnett.
Grazie al supporto delle famiglie Mans e DePaul, vengono inoltre avviate indagini approfondite.
Alla fine, le nuove ricerche conducono all’acquisizione di prove decisive per chiarire l’identità della protagonista della vicenda. Una volta per tutte.
Natalia Grace è nata nel 2003: a dirlo sono la madre biologica, l’ospedale ucraino dove è nata e un test del DNA (2023).
Le accuse dei coniugi del Midwest — appoggiati da un sistema fallace, incapace di leggere la situazione medica della bambina — crollano così sotto il peso dell’evidenza scientifica.
UN VERDETTO CHE DIVIDE: COLPEVOLI O SOLO IMPREPARATI?
Negligenza verso una persona vulnerabile, lesioni personali e cospirazione per commettere atti di negligenza.
Come riporta Forbes, i Barnett — oggi divorziati — sono finiti sotto processo con accuse gravi a loro carico.
Eppure, al termine del procedimento giudiziario, tutte le imputazioni sono state archiviate o ritirate, considerando la coppia solo come genitori impreparati.
Come ci si può immaginare, l’esito ha quindi lasciato molte persone senza parole. Soprattutto per un dettaglio inquietante.
Appena un anno prima dell’adozione, usciva nelle sale Orphan: un film su «una criminale psicopatica dell’Europa orientale che si finge bambina» per distruggere una famiglia.
La stessa Natalia ha più volte sottolineato le somiglianze tra la trama del film e le testimonianze dei genitori, aumentando dubbi rimasti tuttavia inascoltati.
Alla fine, nonostante il fascicolo giudiziario chiuso, rimane comunque aperta una questione importante: come è possibile che un sistema statale possa permettere tutto questo?
Un sistema che tradisce i bambini negli Usa
Nel labile confine tra verità e finzione, resta un’unica certezza: Natalia Grace è vittima di un sistema adottivo frammentato, diseguale e — troppo spesso — impreparato.
Come ha affermato anche la giornalista Elena Molinari, «sbarazzarsi di un bambino negli Stati Uniti è» infatti «incredibilmente facile».
Dietro la retorica della “seconda possibilità”, si nascondono pratiche che moltiplicano ancora oggi il rischio di traumi, abbandoni e crimini. Specie per i minori vulnerabili.
I COSTI NASCOSTI DELL’ADOZIONE
In assenza di standard federali chiari, sono soprattutto tre i segnali d’allarme che emergono nel sistema delle adozioni:
- Un alto tasso di fallimento: secondo le stime, circa un bambino su cinque viene “restituito” o rifiutato dalla famiglia adottiva.
- Il rehoming: il ricollocamento di minori attraverso accordi privati, senza supervisione delle istituzioni. Una pratica informale veicolata anche dai social e — talvolta — dietro compenso.
- L’assenza di controlli post-adozione, soprattutto nei casi di adozione internazionale.
Il risultato è un sistema che sembra puntare solo a chiudere fascicoli. E, così, lavarsene le mani. Come nel true crime di Disney+.
La vicenda raccontata in Good American Family non è infatti, purtroppo, un’eccezione, ma il tragico volto di un fenomeno sommerso.
E finché queste falle strutturali non verranno affrontate con una riforma seria, altre storie come quella di Natalia Grace continueranno a emergere.
Storie sospese tra cronaca nera e fallimento sociale.
Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 17.04.2025
“Good American Family”: serie crime su Natalia Grace
Autrice e copywriter. Laureata magistrale cum laude in Editoria e Giornalismo, ama analizzare e divulgare crimini e ingiustizie di ogni tipo: dai misfatti di Hollywood ai reati ambientali.

