A Lucia Mantione, uccisa nel 1955, negato il funerale per 66 anni. Riaperte le indagini sull’omicidio.
Un caso di violenza sulle donne lo possiamo trovare in un cold case di oltre 60 anni fa. Una giovane donna siciliana, 13 anni, uccisa da ignoti e che – secondo i dettami di allora della Chiesa cattolica – non ha neppure avuto il funerale.
Quello di Lucia Mantione, detta Luciedda, è un doppio caso di violenza contro l’essere donna. Siccome è stata uccisa – questo il ragionamento fatto a quel tempo nel piccolo paese di Montedoro (Caltanissetta) – allora qualche colpa deve, come donna, averla avuta.
In compenso, a battersi per il diritto a un funerale, avvenuto a luglio 2021 in chiesa con una grande partecipazione della gente di Montedoro, sono stati alcuni uomini. Fra di loro vi sono due blogger, Federico e Calogero Messana, che hanno dedicato un blog alla verità su Luciedda e alla battaglia per il suo funerale.
Violenza sulle donne: il caso di Luciedda Mantione
Nel 1955 a Lucia Mantione – detta Luciedda – furono negate le esequie a causa della morte violenta a cui è stata costretta da un ignoto assassino.
L’omicidio è avvenuto nel paesino di Montedoro, 3700 abitanti all’epoca, 40 chilometri da Caltanissetta e poco più di 80 km da Palermo, area di agricoltura e zolfatare.
Una volta Montedoro era il cuore del feudo della mafia dei Genco Russo e dei Vizzini. Negli anni novanta del Novecento, invece, era poco più di un borgo svuotato.
IL RICORDO DELL’AMICA ROSSANA
“Era alta, era bella, era stupenda, aveva due trecce… e forse questo ha fatto innamorare tante persone. Eravamo quella sera al battesimo di un mio cugino, quando all’improvviso è scoppiato il terrore nel paese: Tutti i bambini a casa… tutti i bambini a casa… è scomparsa una bambina…”, così il racconto del dramma di Lucia Mantione per voce dell’amica Rossana.
“Quella sera Lucia non è più tornata a casa… ed è stato un dolore immenso di tutti i paesani… I miei ricordi sono quelli di una madre attaccata alla ringhiera della villetta vicino la chiesa, che piangeva disperatamente perché non avevano voluto, per le leggi ecclesiastiche, fare entrare il corpo di sua figlia”, prosegue Rossana al microfono di Rita Pedditzi, che nel 2019 si è occupata di questa storia per Inviato Speciale, la rubrica di approfondimento del Gr1 di Rai Radio 1.
“Questo fattaccio è rimasto nei cuori di ogni montedorese… ci ha feriti… Nel suo piccolo loculo, nel suo angolino dove Lucia è sepolta, è sempre un pellegrinaggio di tutte le persone”, dice ancora l’amica Rossana. “Ricordo il pianto di quella mamma, molto amaro. Una madre che piange i figli l’ho scoperto anch’io, perché anche a me è morto un figlio a trentuno anni… Che dire di Lucia? Lucia è la nostra Maria Goretti”.
Luciedda, cold case del 1955
Lucia Montione era nata il 22 marzo 1942 a Montedoro. Dopo l’omicidio della ragazzina, la famiglia di Lucia emigrò.
Maria Lucia Mantione, la nipote di 64 anni di Luciedda e uno dei suoi pochi parenti rimasti, così racconta il dolore dei genitori di Luciedda: “Mio padre, che era il fratello di Lucia, ha sofferto enormemente”,
“A causa del loro dolore, la famiglia di mia zia Lucia ha lasciato Montedoro ed è emigrata al nord. Ma ogni giorno, fino alla morte, genitori e fratello parlavano di Lucia. Non avrei mai immaginato di essere qui 66 anni dopo per il suo funerale”, racconta ancora la nipote di Luciedda, che porta lo stesso nome della zia.
Il corpo di Luciedda venne trovato dal fratello il 9 gennaio del 1955. Avrebbe compiuto 13 anni dopo qualche mese.
Il 6 gennaio di quell’anno subì un tentato stupro e, forse perché si ribellò, fu strangolata.
Lucia era ingenua, aveva abbandonato la scuola dopo la licenza elementare per aiutare in famiglia. Teneva una condotta irreprensibile e mai aveva dato adito ad alcun pettegolezzo.
La sua era una povera famiglia di zolfatari; e Luciedda aiutava sua madre a fare le pulizie nelle case del paese.
Il paese era piccolo, si conoscevano tutti, mai era accaduto qualcosa di violento. I bambini giocavano per le strade tranquilli.
LA SCOMPARSA DELLA RAGAZZINA
Il 6 di gennaio nel tardo pomeriggio c’erano poche persone in giro: qualche ragazzetto che giocava a pallone in una piazzetta, alcuni nella sala biliardo a guardare una partita di carambola e a tifare per i giocatori.
È quasi l’ora di cena e Luciedda esce a cercare il fratellino che giocava ancora per strada. Il fratellino però rientra solo e di Luciedda si perdono le tracce. Altre cronache dicono che uscì per acquistare dei fiammeri.
Iniziano le affannose ricerche di Luciedda da parte della madre, dei fratelli, dei parenti e di altri paesani e conoscenti.
La ragazzina non si trova. E così avvertono i carabinieri. Le ricerche si allargano nell’immediata periferia. La sera mette fine alle ricerche che riprendono il giorno successivo.
I carabinieri cercano la ragazzina fuori dal paese, verso i viottoli di campagna, tutta l’area intorno viene perlustrata senza trovare alcuna traccia neppure del passaggio di Luciedda.
La domenica, dopo 3 giorni dalla scomparsa, la ragazzina viene ritrovata senza vita alle 8.30 del mattino, da suo fratello e da suo cognato.
Viene ritrovata dentro un casolare abbandonato e senza tetto, a circa un chilometro dal centro abitato di Montedoro.
Vicino al corpo sono rinvenuti un coltello a serramanico, chiuso, e un bottone appartenente alla camicetta della ragazza.
Luciedda giace riversa a terra, con la bocca aperta, le narici dilatate e le vesti scomposte. Il medico chiamato ad esaminare il cadavere constata che la morte è avvenuta per asfissia prodotta da strangolamento.
UN DELITTO A SFONDO SESSUALE?
Si comincia a sostenere la tesi del delitto a scopo sessuale.
Viene disposta l’autopsia che accerta la “piena integrità”, ovvero non aveva subito violenza sessuale; e non rileva alcuna traccia di violenza sul suo corpo, tranne un graffio al mento.
Nessuna traccia delle impronte dello strangolatore sono presenti sul collo della vittima, che è certamente morta per asfissia. Si ipotizza che la ragazza indossasse un fazzoletto al collo e che quindi le dita dell’assassino non abbiano lasciato alcuna traccia sul collo.
Si tratta solo di un’ipotesi, perché il fazzoletto le è stato rinvenuto in tasca e nessuno si ricorda se al momento del ritrovamento del cadavere lo indossasse.
Altra ipotesi è che l’assassino abbia posto la sua mano sulla bocca della ragazza per impedirle di urlare; e poi sul naso, provocandole quindi la morte per asfissia. La perizia medico-legale evidenzia che è morta 36 ore prima del ritrovamento del cadavere.
S’impone quindi una serie di interrogativi: da quando è sparita da casa con chi è stata? e dove è stata in quelle ore?
Ricordiamo che è sparita all’imbrunire del giovedì 6 gennaio 1955; e viene ritrovata senza vita domenica mattina alle ore 8.30. Se la morte risale a 36 ore prima, dov’è stata Luciedda per un giorno e mezzo?
Ma soprattutto: con chi è stata la tredicenne di Montedoro? Come mai rimane viva per questo tempo? Si tratta forse di una fuitina – una fuga repentina d’amore – finita male?
Dall’autopsia emerge che una mano di Luciedda aveva le dita aperte e i muscoli contratti. Era insomma artigliata, come nel tentativo di afferrare qualcosa cui appigliarsi; o nel tentativo di graffiare.
Tuttavia, le sue mani non erano sporche di fango e terra, erano solo appoggiate al terreno e pulite.
Rimane il forse dubbio che Luciedda non sia morta dove è stato ritrovato il suo corpo; e vi sia stata trasportata quando era già senza vita.
LA VITTIMA CONOSCEVA IL SUO ASSASSINO?
L’aspetto molto strano è che gli abiti di Luciedda erano in ordine. Non vi era nessun segno di lotta sul suo corpo; e neppure segni di lotta sul terreno dove viene ritrovato il corpo.
Quindi sorge il dubbio: Luciedda conosceva la persona o le persone che erano con lei al momento del decesso?
Perché viene uccisa? Perché conosceva le persone? Perché ha minacciato di urlare e raccontare di essere stata importunata, magari da un notabile sposato?
Perché proprio lei, povera ragazzina figlia di un uomo mezzo infermo? A chi serviva la morte di Luciedda? A chi serviva che non fosse ritrovata nel luogo dove effettivamente è morta?
L’unico indizio in mano ai carabinieri è un coltello a serramanico trovato a terra vicino al corpo, forse usato per intimidirla. Oppure forse caduto; o forse lasciato volutamente quale traccia.
Nessuno poi in paese, a Montedoro, ha visto nulla e sentito nulla. Sparita. Volatilizzata. Eppure di solito sono paesini dove si tiene tutto sotto stretto controllo, si vede e non si vede.
Nessuno disse alcunché di utile per indirizzare le indagini che si fermarono con un nulla di fatto.
Giravano anche voci sull’identità dell’assassino, ma l’indagine dei carabinieri si dovette scontrare con la paura e il silenzio.
Vengono giusto fermati due sbandati, uno “demente” di 13 anni, appena uscito dal riformatorio. Ma non ci sono prove per sostenere l’accusa di omicidio.
L’IPOTESI DELL’INCONTRO AMOROSO
Che Luciedda sia andata ad un incontro amoroso a casa di qualcuno? Che sia stata avvicinata da qualcuno che conosceva?
Sicuramente estranei e “foresti” in quel paesino non erano di passaggio; e se ci fossero stati sarebbero stati notati e indicati come i colpevoli.
Sta di fatto che in paese non sono stati fatti controlli casa per casa; e soprattutto nessuno l’ha vista in alcuna parte del paesino. Nessuno ha trovato il corpo nelle ricerche fatte nei dintorni e nelle campagne limitrofe.
Il sabato pomeriggio, la vigilia del ritrovamento del corpo della ragazzina, c’è un temporale. Luciedda viene invece ritrovata domenica mattina, alle 8.30, con i vestiti asciutti e asciutta lei stessa in un tugurio senza tetto.
Questo fatto riconforta la tesi che il corpo è stato portato, sul luogo del ritrovamento, nella notte tra sabato e domenica.
Sulle ricerche effettuate all’epoca dell’omicidio di Lucia Mantione, non ci sono documenti accessibili. Tutto l’incartamento non si capisce dove sia o se, dopo 63 anni, ci sia ancora.
Il rapporto con le indagini dei carabinieri era stato consegnato alla Procura di Caltanissetta, ma di quel rapporto non c’è traccia.
Pare sia andato perduto qualche anno dopo, in un allagamento del magazzino in cui era custodito. Neppure nei registri parrocchiali era stato annotato nulla all’epoca del delitto.
Doppia violenza contro una donna: se sei stata uccisa qualcosa di male hai fatto
All’epoca il parroco di Montedoro negò i funerali in linea con il principio che vietava il rito funebre a chi aveva subito una morte violenta. Un principio che era legato più alle morti di mafia, che non alle vittime di aggressioni.
Era un vecchio principio che si applicava soprattutto alle persone che si suicidavano. Tuttavia, alcuni sacerdoti hanno esteso questo principio a coloro che sono stati uccisi con violenza.
L’idea assurda era che se eri stato ucciso, di sicuro in qualche modo avevi fatto qualcosa di sbagliato. Alcuni sacerdoti credevano che una morte violenta allontanasse quella persona dalla comunità religiosa, raccontano fonti esperte di questioni religiose.
In quegli anni difficili del lungo dopoguerra, segnato da tanta povertà e conflitti sociali, con questa formula si evitavano i funerali ai morti in miniera – ammessi nelle chiese per le esequie religiose solo dopo la strage di Gessolungo nel 1958.
A Luciedda la formula era stata applicata alla lettera, nonostante le lacrime dei genitori.
La memoria tramandata tra le famiglie del paese, parlava di paura e di omertà, di colpevoli “eccellenti” e di una verità che non si doveva trovare.
Lucia ha ricevuto una modesta sepoltura senza funerale in un piccolo appezzamento nel cimitero di Montedoro.
Le autorità italiane e la Chiesa avevano di fatto archiviato il caso sulla morte della ragazza, ma i paesani non se ne erano mai dimenticati. Tant’è che qualche anno fa, Federico e Calogero Messana, due fratelli coetanei di Lucia, hanno aperto un blog in ricordo di Luciedda.
I due hanno iniziato a raccogliere articoli e testimonianze dal momento della sua scomparsa. Federico ha scritto una lunga lettera al vescovo della provincia di Caltanissetta: gli ha chiesto di intervenire per concedere a Lucia la degna sepoltura religiosa che le era stata negata.
Lucia ha dovuto aspettare 66 anni per avere un funerale. I funerali sono stati celebrati il 28 luglio 2021, con la presenza della salma di Luciedda, allora di neppure 13 anni, nella parrocchia di Santa Maria del Rosari, a Montedoro.
Indagini riaperte sull’omicidio di Luciedda
La storia dell’omicidio di Lucia Montione non è ancora terminata.
Anzi il caso, all’epoca archiviato senza colpevole, è stato riaperto dalla Procura di Caltanissetta.
Il corpo è stato riesumato per un esame medico-legale. Le moderne tecnologie per l’esame necroscopico potrebbero rilevare tracce di Dna che all’epoca non era possibile individuare.
I carabinieri sperano di potere risalire all’identità del responsabile del delitto (che potrebbe essere morto), anche attraverso la comparazione con gli eredi.
Il caso non è ancora chiuso e a conferma di ciò Calogero Messana, che si batte per dare giustizia alla Montione, è rimasto vittima di un attentato incendiario. Un fatto grave, che gli inquirenti non escludono sia collegato proprio al caso dell’omicidio di Luciedda, a Montedoro nel 1955.
La vicenda di Lucia Mantione è quindi un caso di violenza sulle donne, un femminicidio, che per tanti anni è rimasto impunito.
La stessa Luciedda per tanti anni non ha potuto avere un funerale e una giusta sepoltura. Doppia violenza contro le donne, quindi. Ma c’è il tempo per rimediare, adesso.
Laura Baccaro
www.laurabaccaro.it
Il funerale di Lucia Mantione, celebrato dopo 66 anni, nel luglio 2021
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Laura Baccaro, criminologa e psicologa giuridica. Docente universitaria, dirige la “Rivista di psicodinamica criminale”.
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