Il mondo carcerario, il suo tempo sospeso e la sua assurdità nel film con Toni Servillo e Silvio Orlando.
Il film Ariaferma, con Toni Servillo e Silvio Orlando, e con la regia di Leonardo Di Costanzo, presentato alla 78^ edizione del Festival del Cinema di Venezia, è ambientato in un carcere sardo.
Possiamo definirlo un film drammatico, una sorta di thriller carcerario.
In questo caso, come io credo sia giusto, per film thriller intendiamo una storia che ci inquieta e di cui vogliamo (e dobbiamo) scoprire il senso.
Ariaferma viene ambientato in un carcere fatiscente che sta per essere chiuso. Come spesso accade nelle logiche burocratiche, arriva un contrordine: 12 detenuti e alcuni agenti di polizia penitenziaria sono costretti a rimanere nel vecchio stabile, perché il carcere dove ricollocare quei detenuti non è ancora disponibile.
Costretti ad abitare in una sola zona della galera in rovina, poliziotti penitenziari e carcerati si trovano a sperimentare una diversa e più vicina convivenza.
Il film Ariaferma è l’occasione – così l’accogliamo qui nel magazine Il Biondino della Spider Rossa – per riflettere non solo sul carcere, ma su che cosa sia davvero il vivere assieme in condizioni complesse, ambigue, opache.
IL CARCERE E LA VITA IN SOCIETA’
Il carcere – lo sanno bene coloro che vi soggiornano a vario titolo, e che lo frequentano – è l’emblema e la metafora del nostro vivere comune.
Guai a pensare, come qualche imbecille di politico usa fare, che basti chiudere la gente in carcere e buttar via la chiave, per stare a posto e sicuro.
Se qualcosa non funziona in carcere, anche nella società dove vivi ti ritrovi a fare i conti con gli stessi problemi.
Possiamo ricordare, su questo, un avvocato in Texas, che in una Ted conference ha spiegato la “convenienza sociale” di prevenire la pena di morte, investendo in prevenzione.
Lo stesso vale per il sistema carcere. Se si fa un’efficace politica carceraria, investendo in risorse e progetti di qualità, allora si spende meno come Stato; e si vive più tranquilli – come cittadini – con minor devianza e più sicurezza.
Recensione del film Ariaferma
Come scrive il critico Federico Gironi sul magazine Comingsoon, il film “Ariaferma, in qualche modo, è un Deserto dei Tartari delle prigioni. È il racconto di una sospensione, di una situazione anomala e carica di tensione, che comprime e sintetizza le dinamiche carcerarie (e forse non solo), portando all’evidenza tutta la loro assurdità”.
“In quelle mura corrose ci sono due microcosmi conviventi e, al contempo, separati dalle sbarre e dai reciproci ruoli. Il che non impedisce le divisioni all’interno dei singoli gruppi”, scrive il critico Giancarlo Zappoli, sul magazine MyMovies.
Scrive il critico Valerio Sammarco sul magazine Cinematografo: “Non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere. Leonardo Di Costanzo ci rinchiude all’interno di un vecchio istituto di pena, situato in una zona remota e imprecisata del territorio italiano. Fatiscente e in dismissione, questo luogo diventa teatro di un momento di improvvisa sospensione”.
Il film Ariaferma ci consente di riflettere sulla sospensione a cui certe condizioni esistenziali ci costringono. E ci permette di pensare, finalmente, alla situazione delle carceri italiane.
Perché se le carceri diventano davvero luoghi di umanità, di reinserimento sociale – come prevede la Costituzione – tutti noi siamo più sicuri su due fronti:
- che vi saranno meno recidive, con meno persone che tornano a delinquere;
- che saremo trattati e considerati meglio, come cittadini, dallo Stato che regola la nostra vita
Carceri italiane: la situazione secondo Antigone
“In un carcere sconvolto dalle immagini della mattanza avvenuta nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere, questa della violenza non è l’unica emergenza che riguarda il sistema penitenziario italiano”, scrive l’associazione Antigone, nel presentare nel luglio 2021 il rapporto di metà anno sulla condizione penitenziaria.
“Sono diverse le problematiche che vanno affrontate con urgenza. Resta presente quella del sovraffollamento con un tasso che supera il 113% con oltre 53.000 detenuti a fronte di 47.000 posti disponibili“, sottolinea Antigone.
“Per affrontare la questione basterebbe incentivare le misure alternative. Sono poco meno di 20.000 i detenuti che, con un residuo pena di meno di 3 anni, potrebbero accedervi”, osserva Antigone.
“Un ulteriore intervento potrebbe riguardare una modifica della legge sulle droghe. 1 detenuto su 4 ha una diagnosi di tossicodipendenza e queste persone andrebbero prese in carico dai servizi territoriali, per affrontare la loro problematica e non chiusi in un carcere”, spiega l’associazione che si occupa della detenzione in Italia.
LA CONDIZIONE DELLE CELLE
“Nel 42% degli istituti oggetto del monitoraggio sono state trovate celle con schermature alle finestre che impediscono passaggio di aria e luce naturale. Nel 36% delle carceri vi erano celle senza doccia“, denuncia Antigone.
Il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che, entro il 20 settembre 2005, tutti gli istituti installassero le docce in ogni camera di pernottamento.
In un’estate calda, “a causa della pandemia, nel 24% degli istituti ci sono sezioni in cui si si è passati dal regime a celle aperte a quello a celle chiuse. Anche se il primo resta ancora predominante”, fa sapere Antigone.
“Un intervento urgente riguarda anche quello delle assunzioni di personale civile: educatori, mediatori, psicologi. La detenzione costa allo Stato 3 miliardi di euro, di cui il 68% è impiegato per la polizia penitenziaria“, informa l’associazione Antigone.
“Solo nel 65% degli istituti da noi visitati, meno di 2/3, c’è un direttore assegnato in via esclusiva. Negli altri, il direttore era responsabile di più di una struttura, con le difficoltà e le limitazione che ciò comporta sia per il personale che per i detenuti”, fa notare Antigone.
SERVONO EDUCATORI, PSICOLOGI E MEDIATORI
“Fortissimo lo squilibrio tra personale di custodia e personale dell’area trattamentale preposto alla reintegrazione sociale delle persone detenute: il rapporto medio negli istituti visitati era di un poliziotto penitenziario ogni 1,6 detenuti e di un educatore ogni 91,8 detenuti”, denuncia l’associazione Antigone.
Risulta evidente a tutti noi – aggiungo io – che là dove si investe solo sulla repressione, senza investire nell’educazione, non si fa un passo in avanti neppure a calci nel sedere.
Chi, viene da chiedere, ha consentito tutto questo? Perché non si spiega a noi cittadini, tanto preoccupati delle libertà da Covid-19, da lockdown e da vaccini vari, che la sicurezza passa per carceri dove ci sono i poliziotti che servono, ma anche gli educatori e gli psicologi specializzati?
L’ORDINAMENTO PENITENZIARIO
Il governo ha annunciato importanti riforme riguardanti il sistema penitenziario. Antigone sottolinea di aver elaborato una proposta riguardante il regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario.
Una domanda, a fronte di tutto questo, s’impone: quanto incide la rappresentazione che i media danno del crimine e della giustizia, nelle scelte politiche di politica penitenziaria?
Quanto i media sono strumentalizzati dalle forze politiche con proclami idioti contro lo straniero, il delinquente (solo se “non” politico), senza assicurare carceri efficienti? e quindi assicurare anche la nostra sicurezza come cittadini?
Qui puoi scaricare il rapporto di Antigone sulle carceri italiane
Una voce dal carcere di Porto Azzurro: Lorenzo Bozano
Cos’è la libertà? Un insieme di ideali, pensieri, cose e valori. Un insieme di fattori per cui tanti hanno donato la vita.
Ma la libertà è anche il poter uscire, incontrare amici, abbracciare chi amiamo, bersi un aperitivo con una persona cara al bar. E poi ancora: andare al cinema, cenare nel ristorante che ci fa stare bene, prendere un aereo o un treno per andare chissà dove.
La libertà è lo stare bene. Poter respirare. Non essere legati a una macchina o a delle medicine.
Quanto pesa la privazione della libertà? Adesso lo sappiamo tutti. Perché tutti siamo stati agli “arresti domiciliari”, durante il lockdown della primavera 2020.
L’ARTICOLO DI LORENZO BOZANO DAL CARCERE ALL’ISOLA D’ELBA
Alla fine del 1981, Lorenzo Bozano – condannato all’ergastolo – nel carcere di Porto Azzurro (all’Isola d’Elba) scrive un articolo di fine anno.
Bozano nell’ottobre del 2020, dopo 43 anni di detenzione, ha ottenuto la libertà condizionale.
E’ morto all’improvviso il 30 giugno 2021, all’Isola d’Elba, nella comunità che lo aveva accolto.
Come nasce lo scritto del 1981 di Lorenzo Bozano, condannato all’ergastolo per il sequestro e omicidio di Milena Sutter?
L’articolo esce sul giornale del carcere elbano La Grande Promessa. Bozano da due anni è in carcere con la condanna al “fine pena mai”; e decide di scrivere.
“Natale e Capodanno dietro le sbarre” (fine d’anno 1981)
Mentre scrivo queste note sono rifugiato nell’eremo-fucina della redazione del nostro giornale, La Grande Promessa, che sta all’ultimo piano (con vista incantevole e… dolorosa) del più alto edificio carcerario.
Sono gli ultimi giorni di questo tormentato e tormentoso 1981 (anche se tutti gli anni si dice così!), ed ho appena trascorso cinque o sei lunghi giorni di «riposo», meglio di «arresto», sotto il peso di queste interminabili «feste» della vigilia, del giorno di Natale, di santo Stefano, di sabato e di domenica.
Tutti giorni per me senza senso! Perché o li si vive come quasi tutti i cittadini, cioè con la propria famiglia, in casa, al tepore di quel focolare che riscalda e rinfranca il tuo spirito confermandoti tutti i valori sacri della vita di un uomo, o li si subisce da carcerati.
Cinque o sei giorni, dicevo, perché ieri, lunedì, l’ho passato ad arpentare con passi inquieti ed assenti lo spazio sgombro della sala di redazione. Una specie di giornata per riemergere dal limbo della mia immobilità.
Immobilità che nascondeva la sofferenza acuta dell’isolamento, dell’esclusione, della sensazione diffusa dell’irrilevanza della propria vita.
Sensazioni tutte rese ancor più vivide dalle immagini che il mio sguardo smanioso, che spaziava attraverso le sbarre oltre la cinta con sentinella armata, rifletteva sulla mia coscienza:
- i verdi declivi di un’isoletta dolce e solatia, pervasa dai rumori del clima festivo;
- le case del week-end spalancate ed illuminate per accogliere i congiunti intorno all’albero;
- la gaiezza delle vivaci grida dei bambini che scorrazzano in giardino sulla bicicletta nuova di Papànatale…
Ed io lassù, alla mia finestra. Assente, escluso, testimone immobile della mia sofferenza.
Natale, Capodanno, triste periodo. Giorni che son pagine da cancellare dal calendario degli uomini reclusi.
Infiniti pensieri ed innumerevoli sentimenti hanno trapassato il mio spirito pesante come una sfinge in una tempesta di sabbia: pulviscolo fastidioso e pungente che s’infiltra nelle pieghe assopite della tua coscienza, granelli che inceppano, scardinandolo, il meccanismo ben lubrificato del distacco, quasi un’anestesia, che ti sei imposto a difesa di una «pace» artificiosa ed instabile.
Un malessere diffuso, nella miriade delle sensazioni, si è impadronito del mio spirito quando una domanda in sé banale si è installata nella mia mente con l’invadenza di un tarlo inarrestabile: come sarà questo nuovo anno 1982?
Segnerà la fine di un ciclo per molti versi disastroso, o continuerà la caduta, questa discesa piatta con pendenza drammatica e pericolosa verso il baratro del non-ritorno, iniziata ben prima del passato 1981?
Quale futuro, quali prospettive ci attendono dietro l’angolo della notte del 31 dicembre?…
Vorrei avere un turbante ed una sfera di cristallo, una formula magica ed un cielo stellato che mi svelasse i suoi segreti: allora forse saprei!
Così invece… Niente.
Posso accampare delle ipotesi, formulare degli auspici, accarezzare delle segrete (e mica tanto) speranze, darmi coraggio ricordandomi che il destino non esiste, che il tuo futuro te lo inventi e te lo crei come vuoi, o come potrai. Che in definitiva il tuo domani dipende da te, dal tuo agire.
Ma tutto questo poteva essere valido (anche se fino ad un certo punto) prima che fattori sconosciuti ed imprevedibili, forze più o meno misteriose e certamente inoppugnabili, volontà ben determinate a conseguire il risultato covato per anni con l’accanimento che acceca la giustizia, non avessero messo in moto quel meccanismo artificioso ed inestricabile che ha soffocato il grido dell’uomo e che mi ha condotto in questo carcere su un’isoletta del mar Tirreno.
Oggi la dolorosa realtà quotidiana è ben diversa.
Nulla, o ben poco, dipende da te. Il tuo destino esiste, ed è tracciato e costretto da un muro di cinta.
Il tuo inventare è vanificato dall’isolamento, dall’esclusione, dalla sordità professionale di quelli che ti guardano mentre gridi e mentre soffri.
Ogni tuo tentativo di partecipare alla creazione del domani è stritolato dall’immanenza insensata e senza anima di un regolamento, di un codice, di una legge…
Ti senti d’essere umiliato ed ucciso ogni giorno, costretto a vivere perché si eternizzi la sofferenza, tenuto sveglio e lucido dall’illusione traditrice di una speranza che la tua natura di uomo fa scaturire, testarda ed inesauribile, dalla profondità delle tue viscere…
Eccolo il tremendo supplizio, l’ergastolo: vivere in un deserto pieno di cose che tutte soffocano e schiacciano ogni tuo anelito di partecipazione alla vita; e delle quali tu non intravvedi mai la fine.
È un po’ come il gioco perfido della scatola grande che contiene una scatola più piccola, che contiene una scatola più piccola, che contiene… cosi all’infinito. Fino a quando in una scatola più piccola non trovi invece una cassa di legno rustico, ultimo traghetto di una vita passata ad attendere un altro nocchiero…
31 dicembre, ore 25. Abbiamo ormai visto chiudersi con un tonfo la scatola col numero 1981, pesante sarcofago del tempo che abbiamo vissuto e che non ritornerà.
Avvolti nelle tenebre della nostra notte di vigilia, nella solitudine silenziosa di una finestra dietro le sbarre, stiamo cercando nel cielo una stella, un segnale, il sorriso di un’alba che si tinga di rosa.
1982 è l’immagine di una scatola bianca che si avvicina con la fragranza ed il sapore del faggio fresco di bosco e di rugiada, accompagnata dal coro un po’ timido delle nostre buone intenzioni e delle nostre speranze, ingentilita dal nastro azzurro dell’impegno al nuovo corso che vecchi e novelli responsabili della nostra condizione hanno promesso.
È un’alba silente densa di attese… una scatola bianca che si schiude come le valve di una conchiglia di madreperla, che deve aprirsi mostrando infine il suo fondo di cielo e di umanità.
Il film Ariaferma e l’articolo di Lorenzo Bozano
L’articolo di Lorenzo Bozano è stato pubblicato nel gennaio del 1982 sul giornale del carcere di Porto Azzurro La Grande Promessa.
Sulla vicenda di Lorenzo Bozano (1945-2021) ho scritto, e continuerò a scrivere, una serie di articoli.
Te ne consiglio tre:
Caso Sutter-Bozano: 50 imbrogli contro la verità. Parte 1^
Lorenzo Bozano. A chi è giovato il suo “personaggio”?
Lorenzo Bozano un killer? I killer sono altri…
Puoi anche leggere il libro inchiesta, che ho scritto con la criminologa e psicologa giuridica Laura Baccaro, Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media.
Con il tempismo dei film che rappresentano un certo tempo in cui ci troviamo a vivere, il film Ariaferma – presentato alla 78^ Mostra internazionale del cinema di Venezia, coglie nel modo più intimo il mondo del carcere.
Toni Servillo e Silvio Orlando ci fanno comprendere quanto il carcere abbia in comune con il nostro vivere quotidiano, le tensioni interpersonali e i conflitti perdenti.
Ariaferma ci rappresenta come le ambivalenze esistenziali della prigione siano comuni alle nostre ambivalenze, ai nostri conflitti, ai nostri tempi sospesi.
Il carcere, proiettato sullo schermo del film Ariaferma, ammonisce proprio noi. Noi che si crediamo liberi da ogni catena; noi che ci crediamo lontani da ogni finestra sbarrata. Salvo, poi, scoprire che un Covid-19 qualsiasi ci inchioda alla verosimiglianza con la prigione.
Maurizio Corte
corte.media
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org