Recensione di un film sulla violenza di genere che scade nello stereotipo e non dà anima e mordente alla storia.

C’è qualcosa di malato – nel senso di malattia del pregiudizio – in qualche sceneggiatore. Il peggio è quando sono sceneggiatrici e registe donne ad essere “portatrici sane” di quella malattia.

Mi riferisco al film thriller “Lo stalker della stanza accanto” – traduzione del titolo Within these walls (Canada, 2020) – proposto su Sky Cinema e su NowTv.

Affronta il tema dello stalking da una prospettiva scontata, con una struttura narrativa per gran parte ricalcata fino alla noia su questo tipo di film thriller.

Peccato che il film canadese inciampi su tre punti che lo rendono un film piccino e poco gradevole, ma con alcune potenzialità inespresse:

  • la banalità dello spiegare (e così in qualche modo giustificare) lo stalker con un’infanzia da figlio in affidamento, come se gli stalker non potessero essere figli biologici;
  • la sequenza scontata degli eventi, tanto che lo spettatore un minimo accorto già prevede gli omicidi che verranno;
  • la “sparizione” di due personaggi secondari, ma importanti ai fini narrativi, senza che si sappia bene come mai escono dal racconto.

Il finale, poi, lascia lo spettatore appeso. Tanto che quando la macchina da presa arretra sulla inquadratura finale, ci si chiede: “Finisce così?”.

Storia scontata ma che poteva essere interessante, con un pizzico di creatività. Buona la fotografia e convincente la recitazione dei personaggi, dai principali ai secondari.

Nessuna violenza gratuita, il che non è male; mentre la tensione non sale mai al giusto livello.

Non avvertiamo l’angoscia, la solitudine, la disperazione che prende una donna quando si sente minacciata da qualcuno. E quando comincia ad avvertire che quella minaccia viene da una persona a lei molto vicina.

Poteva essere un buon film Lo stalker della stanza accanto, visto anche il tema di fondo che lo sottende: ha diritto o meno, una donna, di scegliere la propria vita senza dover essere ostaggio di un uomo che (forse) ha amato?

Mettere in campo lo stalking – almeno nel titolo italiano – è una scelta impegnativa. Come tale, andava onorata.

Peccato che ingenuità e qualche errore di sceneggiatura lo declassifichi a “thriller del sabato sera”, quando in famiglia ci si vuole rilassare senza stressarsi sul piano emotivo. E senza essere costretti a pensare.

Nonostante questi limiti, sia nel bene che sul fronte negativo, il film Lo stalker della stanza accanto che non ha alcuna stanza accanto, ma caso mai sopra la testa della vittima – porta a fare qualche riflessione.

Sulla base di quanto lascia intendere, più che tematizzare, possiamo comunque riflettere su un argomento che è sempre di attualità: la violenza, fisica o psicologica, sulle donne. Soprattutto su donne sole.

Lo stalker della stanza accanto - film - NowTv - recensione - blog IlBiondino.org - articolo Maurizio Corte - Agenzia Corte&Media - copertina

“Lo stalker della stanza accanto”: la trama del film

Ecco come Now Tv presenta la trama del film: “Angoscia e tensione per un thriller che trasforma un luogo sicuro nel peggiore degli incubi. Stanca della loro relazione, Mel caccia Ben da casa. Inizierà presto a sentirsi minacciata”.

Qui invece come viene presentato in lingua originale: “Finding her relationship at a standstill, single mother Mel breaks up with her boyfriend. After he moves out, strange things start happening in her house that threaten her safety and well-being”.

Possiamo tradurre così la versione in inglese: “Considerando la sua relazione a un punto morto, la madre single Mel rompe con il suo compagno. Dopo che lui se n’è andato, a casa sua iniziano a succedere cose strane che minacciano la sua sicurezza e il suo benessere”.

Il trailer in lingua originale

Vediamo invece la storia un po’ meglio articolata.

Mel Carver, una madre single, ha una vita e un lavoro che la soddisfano.

Vive con il fidanzato Ben Shields e la figlia Brook in una bella casa, ha una carriera in ascesa e può contare su ottimi amici.

La sua tranquillità viene però meno il giorno in cui lei decide di lasciare Ben, uomo premuroso che si presta alle faccende di casa, a sistemarle la casa e a manifestare una certa cura verso di lei e verso la figlia Brook.

Dopo che l’uomo si trasferisce altrove, in casa cominciano ad accadere cose molto strane che minacciano l’incolumità e la lucidità di Mel.

Mentre tenta di far fronte alla nuova situazione, Mel inizia a farsi domande sul conto di Ben: era colui che la proteggeva o in verità è un individuo pericoloso?

Fin qui la trama ufficiale presentata sui siti italiani, che traduce quella del sito canadese ufficiale. Il film Within these walls è uscito infatti in Canada nell’aprile del 2020.

Di fatto la storia è più articolata. Mel ha avuto un trauma che l’ha segnata nel profondo: l’aver trovato il marito morto d’infarto in soffitta, là dove sia lei che la figlia Brook, proprio per lo choc, non vogliono più mettere piede.

Da parte sua Brook è una ragazzina che vive come tutti gli adolescenti da un lato una certa conflittualità con la madre, dall’altra una storia d’amore con un coetaneo e dall’altra ancora un buon rapporto con il premuroso Ben.

Quest’ultimo si mostra portato per il prendersi cura degli altri, tanto da trovarsi smarrito e incapace di reagire quando Mel le dice che vuole lasciarlo e che lui deve andarsene dalla loro casa.

Ben lavora occupandosi dei guasti di appartamenti e condomini. E’ quindi in grado di provvedere a sé stesso e di trovare un proprio luogo dove andare ad abitare. Tuttavia, non riesce a staccarsi dalla casa di Mel, che sembra essere diventata la sua àncora esistenziale.

Mel si concentra sul lavoro, una volta liberatasi da Ben. E intreccia una sorta di relazione con il suo collega di lavoro, Sam, che come lei si occupa di progettazioni immobiliari ed è sposato e in fase di separazione.

Il quadro dei personaggi della storia è completato dal vicino di casa, il vedovo Carl, e dall’amica del cuore di Mel, Erin, che si occupa di intermediazioni immobiliari.

Vi sono, insomma, tutte le condizioni e i personaggi per una storia che da un lato ricalca i tradizionali schemi narrativi; e dall’altro, con un po’ di fantasia e creatività, avrebbe potuto dare un colpo d’ala al film.

Vi è la protagonista Mel. Vi sono la sua mentore e consigliera Erin; l’alleato Sam (l’uomo di cui sembra innamorarsi) e, importante, l’antagonista Ben. La figlia Brook è schierata, almeno in parte, con l’antagonista; mentre il vicino di casa Carl è l’alleato della protagonista.

Peccato che la carenza di idee nello sviluppo narrativo impedisca al film di avere quel mordente di cui vi è bisogno in un film thriller.

Di positivo, finalmente, vi è la rinuncia a scene truculente, dove la violenza e gli esiti degli omicidi sono mostrati con compiacimento.

Potremmo definirlo un “film thriller per famiglie”, quindi. Il problema è che lo sviluppo narrativo non convince; il finale frettoloso lascia sconcertati; e non vi è la tematizzazione di un tema serio come lo stalking.

Lo stalker della stanza accanto - film - NowTv - attrice Jennifer Landon - blog IlBiondino.org - - Agenzia Corte&Media - scena 1
Mel, la donna minacciata, bacia Sam, il collega di lavoro con cui intreccia una relazione dopo aver lasciato il fidanzato Ben

Guida alle recensioni del film su Sky Cinema e NowTv

Contavo di trovare qualche recensione di qualità del film thriller “Lo stalker della porta accanto“. Invece, non ci sono altro che qualche foto, il trailer in inglese del film e la trama.

Ecco come viene presentata la trama de “Lo stalker della stanza accanto”.

“Mel, una madre single, ha una vita fantastica. Vive con il fidanzato Ben e la figlia Brook in una bella casa, ha una carriera in ascesa e può contare su ottimi amici. La sua tranquillità viene però meno il giorno in cui lei e Ben si lasciano. Dopo che l’uomo si trasferisce altrove, in casa cominciano ad accadere cose molto strane che minacciano l’incolumità e la lucidità di Mel. Mentre tenta di far fronte alla nuova situazione, Mel inizia a farsi domande sul conto di Ben: era colui che la proteggeva o in verità è un individuo pericoloso?”.

In rete ho trovato questo interessante commento di uno spettatore: “La domanda è: perché? C’era davvero bisogno dell’ennesimo film sul fidanzato mollato, all’apparenza esemplare, che si trasforma invece in un pericoloso molestatore? Già il titolo pare così banale che ci si avvicina alla pellicola speranzosi di essere incredibilmente e piacevolmente smentiti. Eppure. Qualunque cliché del genere è rigorosamente presente, peraltro senza alcuna tensione o brivido e con un guizzo interpretativo monotono. Il risultato è l’ennesimo film inutile che non può contare nemmeno su una valida colonna sonora. Anonimo è peggio di brutto”.

Direi che questa valutazione di Ira72, lo pseudonimo con cui si presenta la spettatrice che ha lasciato il commento su un sito di recensioni, è azzeccata.

C’è però un elemento in più che – lo dico da padre adottivo, oltre che da giornalista e da studioso dei media – va considerato in questo film: il pregiudizio sul figlio dato in affidamento.

La domanda è: occorreva giustificare l’incapacità di Ben, lo stalker, con il trauma dovuto all’essere stato lasciato dalla madre biologica e all’esperienza come figlio in affidamento?

Ci sta che si possa dare un’interpretazione psicologica dei comportamenti delle persone. E’ giusto spiegare, o lasciare intendere, allo spettatore il trauma che un certo personaggio porta con sé; e che lo porta ad essere quello che è.

Ma è mai possibile – in tanti film come in tante fiction – che l’essere figli dati in affidamento o l’essere figli o figlie adottati diventi la spiegazione scontata di certi comportamenti abbandonici? O, peggio, illegali?

Il cinema vive anche di cliché, di figure standard. Da qui allo stereotipo, da qui al pregiudizio, però, ci sono tante sfumature più interessanti.

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L’attrice americana Jennifer Landon, protagonista del film “Lo stalker della stanza accanto”

L’analisi critica del film sullo stalking

Voglio completare le osservazioni che ho fatto sin qui con un’analisi critica del tema dello stalking.

La parola “stalker” non compare nel titolo originale inglese, che è infatti Within these wall (Dietro queste pareti). Il titolo inglese, peraltro, è uguale a un film del passato che non c’entra con la violenza di genere.

In italiano, per rendere interessante la trama, si è voluta usare la parola “stalker”, peraltro banalizzandola in un titolo che rasenta il ridicolo.

A parte l’infortunio di chi ha scelto il titolo italiano, è vero che la storia si può prestare al tema dello stalking e della violenza di genere.

E’ interessante anche l’ambivalenza della protagonista, Mel, che a un certo punto sembra riprendere interesse – almeno sul piano sessuale – verso l’ex fidanzato Ben.

Può essere meritevole di approfondimento anche la figura di Ben, lo stalker. La sua voglia di prendersi cura di una casa in cui ha trovato una sua dimensione, di una donna che ama e di una “figlia acquisita” colma il vuoto esistenziale in cui probabilmente si trovava.

Peccato che gli spunti suggeriti da una tale storia non siano stati sviluppati. Non sono bastate una sceneggiatrice, Barbara Kymlicka, e di una regista, Anne De Léan, a dare uno sguardo profondo e originale al film.

Vedendo la mole di sceneggiature che Barbara Kymlicka ha scritto, mi viene da pensare che abbia fatto un po’ di copia e incolla da altre storie. Una sceneggiatura seria richiede un anno di lavoro, o poco, meno; questa sforna sceneggiature come fossero torte.

Siamo di fronte alla dimostrazione di un’idea che ho sempre avuto:

  • non basta essere “stranieri” per scrivere un film o un articolo di giornale azzeccati sull’immigrazione;
  • non basta essere figli o genitori adottivi per scrivere testi sensati sull’adozione di bambini e bambine;
  • non basta essere donne per scrivere buoni testi su un problema del mondo femminile.

L’approccio con cui guardare il film “Lo stalker della stanza accanto” è quello critico e impietoso di come questa pellicola non sappia rendere la condizione dello stalking; e della violenza psicologica di genere.

Non vi è stato, per fretta e superficialità, uno studio dei personaggi condotto in modo approfondito.

Non vi è stato un minimo di scavo sul cosa significhi per una donna sentirsi minacciata in casa propria, spiata, controllata e condizionata.

E non vi è stata neppure la curiosità di capire – attraverso figure specializzate come lo psicologo – cosa spinge un certo tipo di uomo a voler controllare una donna. Oppure una donna a voler controllare un uomo.

Siamo insomma di fronte alla dimostrazione di una grande verità. Senza ricerca, senza scavo, senza confronto con chi si occupa di problemi e situazioni, senza una scheda seria dei personaggi, senza tutto questo diventa inutile fare film.

Mi domando come mai tuttavia si continuino a fare e a produrre e distribuire pellicole inutili. Film che considerano gli spettatori forse più sprovveduti di quanto in realtà “non” siano.

Lo stalker della stanza accanto - film - NowTv - regista Anne de Lean - blog IlBiondino.org - articolo Maurizio Corte - Agenzia Corte&Media

La regista canadese Anne De Léan, regista del film “Lo stalker della stanza accanto” (“Within these walls”, in lingua originale)

Il film “Lo stalker della stanza accanto” e il caso Sutter-Bozano

Chi segue gli articoli di questo blog sul caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano (Genova, maggio 1971) sa che, quando possibile, cerco di fare una comparazione fra le storie dei film e la vicenda giudiziaria su cui è nato questo blog.

La comparazione mi dà questo risultato: il ricorso allo stereotipo e al pregiudizio. Fare ricorso al pregiudizio e allo stereotipo rischia sempre di non far capire un problema, di sottovalutare un’emergenza o di dare un quadro falsato di una situazione.

Nel caso della vicenda di Milena Sutter – scomparsa e poi trovata senza vita in mare nel maggio del 1971, a Genova – si è puntato il dito subito contro Lorenzo Bozano.

Bozano è stato definito “il biondino della spider rossa”. C’era la spider, vecchia e malandata, ma lui non era biondo e neppure magrolino.

Alla luce di alcuni, peraltro da chiarire, precedenti di Lorenzo Bozano, lo si è fatto passare per un maniaco sessuale. In questo modo si è indirizzato il caso – di fatto – verso un delitto a sfondo sessuale.

Sulla carta, il caso di Milena Sutter è stato giudicato un rapimento e omicidio a scopo di estorsione: farsi dare 50 milioni di lire (meno di mezzo milione di euro di oggi) dalla ricca famiglia della vittima.

In sostanza, l’uomo condannato all’ergastolo in appello – Lorenzo Bozano, allora 25 anni – è stato considerato un “deviato sessuale” che avrebbe sedotto Milena, avrebbe in qualche modo abusato di lei; e poi avrebbe chiesto 50 milioni di lire per farci dei soldi e/o depistare gli inquirenti.

Non c’è alcuna prova (e neppure indizi) su questa ipotesi ufficiosa, tanto cara ai colpevolisti.

Milena non presentava segni da difesa, né segno alcuno di violenza sessuale. Il suo corpo era svestito; e a svestirlo non è stato il mare. Tutto qui.

Quanto al pregiudizio, il fatto che Lorenzo Bozano non avesse un lavoro, vivesse di iniziative professionali alquanto precarie, con contorno di qualche bidonata e più di un debito, l’ha messo in una cattiva luce.

Un perdigiorno, lascia intendere il giudice istruttore nella sentenza contro il “biondino” che biondo non è, non può essere che portato al vizio. E al delitto.

Quanto al film “Lo stalker della porta accanto”, il non aver lavorato – in sede di sceneggiatura e regia – sulla tensione dovuta alla minaccia, su ciò che prova la vittima di violenza psicologica, ha svuotato il “tema stalking” di ogni valore.

Il banalizzare la figura dello stalker con il dire che è stato un “figlio in affidamento”, crea anche qui un’immagine distorta di Ben – lo stalker, ex compagno della protagonista Mel – che non aiuta a capire le implicazioni della vicenda di stalking.

MI rendo conto che non è facile realizzare film thriller che sappiano trasmettere valori sociali e analisi del costume. Ma – lo dimostra il film americano I segreti di Wind River – l’operazione è possibile. Purché lo si voglia.

Purtroppo il film, proposto da Sky Cinema e Now Tv, “Lo stalker della stanza accanto” non mostra un minimo di impegno nel voler affrontare in modo serio, profondo e anche in modo avvincente la violenza di genere.

Viene quasi da definirlo un film “thriller scarico”, tanta superficialità mostra da più angolazioni.

Sullo stalking puoi leggere un articolo della criminologa Laura Baccaro

Maurizio Corte
www.corte.media

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