Un caso di omicidio che merita di essere scandagliato a fondo. Evitando di fermarsi all’apparenza.
Il film di Alfred Hitchcock, Il delitto perfetto, non è solo il racconto un omicidio che doveva avere tutte le caratteristiche per essere riuscito, senza trovare il colpevole.
Il film giallo del maestro del thriller è anche il racconto di come le indagini non si debbano fermare all’apparenza.
Non basta, infatti, avere strumenti di rilevazione, di analisi e di intercettazione dei più minuscoli elementi della scena del crimine. Occorre guardare con occhio attento, con spirito di osservazione e assenza di pregiudizio ciò che ci si trova davanti.
Vale per il mondo crime, come per la politica, le situazioni sociali e le ingiustizie economiche.
“Il delitto perfetto”. Trama del film
Il film di Hitchcock è, di fatto, la storia di un triangolo amoroso che si trasforma – vuoi per interesse economico del marito più che per gelosia – nell’occasione di un omicidio.
Il tutto con un impianto e in un ambiente di tipo teatrale, dato che la maggior parte del film si svolge in una stanza. E che quasi tutto il film è in interni.
A Londra, Tony Wendice (interpretato da Ray Milland), un ex campione di tennis che ora commercia in articoli sportivi, scopre che la ricca moglie Margot (interpretata da Grace Kelly) lo tradisce con Mark Halliday (interpretato da Robert Cummings), uno scrittore statunitense di romanzi gialli.
Il marito Wendice decide pertanto di far uccidere la moglie mettendo in atto un “delitto perfetto”. In questo modo, otterrà l’eredità di lei, che è una donna assai ricca. A muoverlo, infatti, non è la cieca gelosia; ma una lucida volontà di approfittarsi della ricchezza della moglie.
Wendice mette a punto un piano omicidiario ragionato. E trova il killer in Charles Swann (interpretato da Anthony Dawson), uno spregiudicato ex compagno di college, losco individuo con più identità e un tot di precedenti penali.
Swann vive di espedienti, frequenta alcune donne sole che corteggia e sfrutta.
IL RUOLO DEL SICARIO
Dopo aver studiato il sicario, in modo da poterlo ricattare, Tony Wendice costringe Swann a uccidere per lui la moglie Margot. Il tutto con l’assicurazione che avrà del denaro per l’omicidio.
Per garantirsi un alibi, Wendice si reca con Mark Halliday – l’uomo di cui la moglie Margot è innamorata – a un ricevimento. Nella stessa ora Swann entra nell’appartamento dove Margot sta dormendo.
All’ora concordata, Wendice chiama la moglie al telefono per fare scattare la trappola: Margot risponde al telefono e viene aggredita alle spalle da Swann, nascosto dietro le tende, che cerca di strangolarla con una sciarpa.
Tuttavia Margot riesce a liberarsi dall’aggressione del sicario. Dopo una violenta colluttazione, la donna riesce e uccide Swann, infilandogli nella schiena un paio di forbici.
Il marito Wendice, al telefono durante la colluttazione, capisce ciò che è accaduto: anziché essere la moglie Margot la vittima, a morire è stato il sicario.
Corre, allora, a casa per inquinare la scena del crimine. E per far tornare i conti su come il killer Swann sia riuscito a entrare in casa, dato che non vi sono segni di effrazione. E che ha usato un paio di chiavi fornitegli dal marito Wendice.
Wallace riesce a contaminare la scena del crimine, anche con una finta lettera dell’uomo ucciso, tanto che l’omicidio da legittima difesa diventa un assassinio volontario, imputato a Margot. La donna è così condannata a morte.
L’INVESTIGAZIONE
L’ispettore Hubbard (interpretato da John Williams), tipico investigatore britannico, sta al gioco e mostra di credere alla versione del marito, che ha fatto di tutto perché la moglie venisse incriminata.
Tuttavia, su sollecitazione dell’uomo che ama Margot, Mark Halliday, l’ispettore concede un’ultima e decisiva possibilità alla donna condannata di dimostrare la propria innocenza.
Il finale non è difficile da indovinare, dato che il “delitto perfetto” non sempre è realizzabile. Tuttavia, ciò che conta agli occhi dello spettatore contemporaneo – rispetto un film thriller del 1954 – è il meccanismo con cui viene architettato l’omicidio.
Ciò che conta è anche il lavoro investigativo dell’ispettore che guida le indagini. E ciò che conta è la capacità di raccolta dei dati, di analisi e di collegamento dei punti che il poliziotto Hubbard mette in campo. Il tutto senza alcun pregiudizio.
La recensione del film
Come scrive Francesco Parrino sul magazine online Cinematographe, “i meta-dialoghi in bilico tra realtà e finzione, cinema e letteratura, diventano una grande risorsa per Hitchcock, per ribaltare la situazione alla base del conflitto e creare un dinamismo scenico altrimenti impossibile per via della struttura narrativa fortemente rigida”.
Prosegue l’articolo osservando che si tratta di “elementi che rendono Il delitto perfetto, ancora oggi, una delle opere più suggestive e imprescindibili del maestro del brivido. Una pellicola seppur nata come contorno al decisamente più iconico La finestra sul cortile, ma che a tanti anni di distanza dalla sua messa in scena, è capace di tenere ancora lo spettatore sulle spine”.
Sul magazine online Spietati, Raffaella Saso scrive che l’intreccio del film giallo Il delitto perfetto, spesso ma inutilmente imitato, “rappresenta un incastro avvincente ed impeccabile, coinvolgente dal primo all’ultimo minuto del film”.
Prosegue l’articolo: “A dialoghi memorabili, come quello in cui il marito potenziale assassino, insinuante ed implacabile, avvolge come in una spira l’uomo a cui vuole far uccidere sua moglie, si alternano sequenze di vero terrore ed ingegnose ricostruzioni della verità (una chiave che diventa chiave del mistero)”.
L’analisi del film di Hitchcock
L’impianto teatrale, dal cui mondo trae origine Il delitto perfetto, non si presta in modo agevole ad essere tradotto in cinema.
C’è il rischio di avere tempi morti, scenografie di chiusura rispetto all’arieggiare ampio che è proprio del cinema, inciampi in una recitazione a tratti verbosa e poco incisiva.
Tutto questo non succede nel film di Alfred Hitchcock. Dalla scenografia alla recitazione, dai dialoghi ai tempi dell’intreccio, tutto è costruito con la precisione e la cura con cui un fine orologiaio mette a punto il delicato meccanismo che misura il tempo.
Quello che mi preme sottolineare, al di là degli aspetti cinematografici di un film che merita di essere rivisto più volte, è un altro aspetto: il messaggio che questo dramma teatrale trasposto in chiave cinematografica lancia a chi è appassionato di delitti e crimini e giustizia.
Il messaggio è che solo giuste indagini possono portare a individuare il giusto colpevole. E ad evitare irreparabili errori giudiziari, tanto più gravi là dove vi è la pena di morte; oppure la condanna all’ergastolo.
UNA GIUSTA INCHIESTA
Le giuste indagini è possibile condurle a una serie di condizioni:
- la competenza di chi fa inchiesta giudiziaria;
- l’attenzione ai dettagli e alla logica del racconto che ogni scena del crimine propone a chi la studi;
- l’assenza di pregiudizi in chi indaga
Nel film di Hitchcock, l’ispettore di polizia si riscatta alla fine. Perché sin dall’inizio, pur coltivando una serie di dubbi, si lascia incanalare dalla narrazione del marito Tony Wendice.
L’importante è che, nel fare indagini e ricerca, si sia disposti a smentire se stessi, a cambiare opinione e a rivedere le proprie posizioni. Il tutto con una visione a 360 gradi, senza stereotipi o tesi immutabili.
L’importanza di fare “giuste indagini”
Le “giuste indagini”, come dimostra il film Il delitto perfetto, sono condizione indispensabile per un giusto processo.
Nella storia del delitto, messa in scena da Alfred Hitchcock e tratta da un’opera teatrale, possiamo toccare con mano come gli eventi siano visibili da diverse angolazioni.
Tutto dipende dagli elementi che si vogliono considerare, dallo sguardo attento che si vuole applicare alla realtà e dall’andare oltre ciò che nell’immediato la realtà sembra suggerirci.
Sin dall’inizio, il personaggio dell’ispettore Hubbard mostra di agire con scetticismo. Il suo atteggiamento è quello del ricercatore che parte sì da un’ipotesi, ma non cerca a tutti i costi conferma alla sua primitiva idea.
L’ispettore, come deve fare chi si cimenta con l’inchiesta, tenta piuttosto di capire se tutti i dati siano corretti, se la logica sia stata applicata alla ricostruzione della vicenda e se non sia stato trascurato qualche cosa.
Il caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano
Nel riguardare, a distanza di molti anni, Il delitto perfetto, film giallo di Alfred Hitchcock, come sempre accade in questi casi, mi è venuto in mente il caso di Milena Sutter e di Lorenzo Bozano.
La vicenda della ragazzina sparita a Genova, il 6 maggio del 1971, e trovata senza vita in mare dopo due settimane, viene indagata e ricostruita con un pregiudizio a tre teste:
- che si sia trattato di rapimento per estorcere denaro alla famiglia della vittima,
- che la ragazzina sia stata uccisa in modo volontario premeditato,
- che l’assassino sia il perdigiorno, con precedenti penali, Lorenzo Bozano
Eppure, come nel film Il delitto perfetto, anche nella vicenda di Milena Sutter vi sono elementi che non coincidono con la verità sostanziale dei fatti.
Vi è una carenza di logica e argomentazione, per cui i dati non sono messi in linea nel modo corretto. Vi è il chiaro tentativo di dimostrare, a tutti i costi e senza sentire ragioni, la tesi iniziale precostituita.
Nell’opera di Alfred Hitchcock, invece, abbiamo la chiara illustrazione che andando oltre il velo dell’apparenza la verità sia più approssimabile. E si possa processare e condannare “il colpevole”. E non una figura di comodo.
Maurizio Corte
corte.media
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Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org