Nella serie di Netflix un giallo psicologico che richiama la violenza di genere. Ma anche la sottomissione al Potere.

Come si controllano le persone? Gli strumenti più efficaci sono quelli psicologici e della comunicazione. Funzionano addirittura meglio delle catene e dei fucili.

Controllare il contesto. Fissare i valori in cui credere. Costruire routine di comportamento che diventano riti. Applicare la spirale del silenzio, per cui chi dissente dalla narrazione dominante deve sentirsi sbagliato.

Tutti questi sono mezzi formidabili per comandare.

Poi, certo, il controllo si accompagna alla minaccia e all’uso della forza. Si accompagna ai ricatti psicologici e alle azioni che guidano il comportamento altrui.

La mia prediletta è una serie tv thriller tedesca su Netflix che ci rappresenta tutto questo. Si compone di sei episodi, ognuno di circa 45 minuti.

La serie racconta la scomparsa di una ragazza, Lena Beck, e il suo controverso ritrovamento. La mia prediletta è tratta dal romanzo omonimo della scrittrice tedesca Romy Hausmann.

La mia prediletta. Trama della serie tv

La serie La mia prediletta ha inizio di notte. Siamo nei boschi vicino ad Aquisgrana (Germania), quando una donna, Lena, viene investita da una macchina.

Sia Lena che la figlia Hannah vengono soccorse e ricoverate in ospedale. Mentre la madre Lena è sotto i ferri, un’infermiera dialoga con la bambina Hannah e scopre che lei e il fratellino Jonathan vivono con la madre in una sorta di prigione.

Costretti da un uomo che è padre e marito padrone – e che non vediamo mai sino alla fine della serie – la piccola Hannah, il fratellino Jonathan e la madre Lena sono costretti all’isolamento dal mondo esterno.

Tutta la loro vita è chiusa in una casa blindata, da cui i bambini non possono uscire; né la loro madre può scappare.

L’incidente di Lena si incrocia, peraltro, con un caso irrisolto della polizia tedesca: la scomparsa della giovane Lena Beck a Düsseldorf, una dozzina di anni prima.

Karin e Matthias Beck, genitori di Lena, accorsi in ospedale su indicazione di un investigatore, riconoscono Hannah come nipote: la bambina è uguale alla loro figlia scomparsa. Tuttavia, non riconoscono come loro figlia la donna che si fa chiamare Lena; e che a questo punto risulta avere un’identità diversa da quella dichiarata.

Qui si mette in moto un doppio meccanismo. Da un lato la vicenda della sedicente Lena – che di fatto si chiama Jasmin – con la prigionia sua e dei due bambini Hannah e Jonathan. Dall’altro la ricerca della vera Lena, fra la disperazione dei genitori: non si capisce che fine questa donna abbia fatto. E se mai sia ancora viva.

Non ci raccapezza, poi, con il fatto che i figli di lei chiamino mamma una donna, Jasmin, che ha assunto il nome di Lena. E che madre non è.

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La recensione

Scrive Ursula Schmied sul magazine online Vanity Fair: “La storia di La mia prediletta è strutturata in modo tale da indurre alla tentazione di guardare subito tutta la serie fino alla fine. Per i meno accaniti, però, potrebbe risultare un’impresa ardua: tra bombe che esplodono e verità raccapriccianti che vengono alla luce, nella serie la suspense regna sovrana”.

Scrive Ilaria Denaro sul magazine online Cinefilos: “La mia prediletta arriva ad esacerbare all’estremo tematiche come la violenza domestica e di genere e lo stupro, mostrandoci orrori ancora peggiori rispetto a quelli della realtà”.

Prosegue l’articolo: “Il momento che probabilmente permette un maggiore collegamento tra attuali fatti di cronaca e la serie è il momento della scomparsa di Lena Beck: la ragazza, giovane studentessa universitaria, si trova di notte a dover ritornare a casa a piedi da sola, quando l’uomo la rapisce”.

Scrive Chicca Belloni sul magazine Io Donna: “Diretta da Isabel Kleefeld, la miniserie rende molto bene il senso di angoscia e inquietudine dei protagonisti. Oltre ai due bambini, è interessante il personaggio di Lena che poi scopriamo essere Jasmin, una copywriter rapita e trasformata dal carnefice nell’amata Lena”.

Prosegue l’articolo: “La vicenda è in effetti ispirata a casi di cronaca di donne sequestrate da uomini pazzi e violenti e segregate per anni in prigioni casalinghe e rifugi dai quali è impossibile fuggire. È quindi una storia già vista, ma che viene narrata in modo molto avvincente, partendo dal punto di vista dei personaggi”.

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L’analisi della serie tv di Netflix

La serie La mia prediletta va oltre la mera narrazione della serie thriller, con i misteri da risolvere e le indagini da portare a compimento.

C’è il mistero di Lena, la ragazza scomparsa – una dozzina di anni prima – a seguito di una notte di alcol e baldoria. E che i genitori stanno ancora, con angoscia, cercando.

C’è il mistero di una donna che si fa chiamare Lena, che ha una figlia fisicamente identica alla Lena scomparsa e il cui vero nome è Jasmin.

C’è poi il mistero dei bambini Hannah e Jonathan, che chiamano mamma una donna che non è la madre biologica. Due bambini che sono cresciuti in un ambiente controllato da rigidi protocolli, senza alcun contatto con il mondo esterno, sottomessi a un regime di ricompense e punizioni.

Nel guardare la serie di Netflix viene da pensare che si tratti di un esperimento psicologico, da parte di chissà quale entità superiore. Il dubbio cresce quando si viene a sapere che la casa-prigione si trova dentro una base militare Nato dismessa.

Il giallo si intreccia, di fatto, con il tema della violenza di genere:

  • la violenza di cui deve essere rimasta vittima la vera Lena;
  • la violenza di cui è vittima Jasmin, costretta in una vita non sua;
  • la violenza psicologica sui bambini, sottratti alla madre biologica e a una vita di relazioni

IL TEMA DELLA VIOLENZA FISICA E PSICOLOGICA

Abbiamo la rappresentazione a tutto tondo dell’incubo in cui può finire una giovane donna. E delle violenze a cui i bambini, nella loro fragilità, sono a volte sottoposti.

Viene naturare fare un richiamo a fatti di cronaca di qualche anno fa, con casi di prigionia privata; e a fatti recenti di giovane donne stuprate e sequestrate approfittando di un loro stato di diminuita difesa.

In questo, la serie La mia prediletta mette in scena una violenza psicologica e fisica tipicamente “maschile”.

La serie di Netflix mette, però, in scena anche una violenza legata al potere sociale ed economico. Perché è chiaro che occorrono risorse economiche ingenti per costruire una prigione perfetta, controllata 24 ore al giorno e da dove è impossibile scappare.

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La comunicazione e il controllo del Potere

Oltre al giallo psicologico e al richiamo alle violenze sulle donne, di tipo fisico e psicologico, nella serie tv La mia prediletta vi troviamo anche dell’altro.

Possiamo leggervi la metafora della comunicazione come “controllo”. E di una comunicazione al servizio di un Potere senza volto.

Tant’è che ci si chiede, nel vedere le scene di vita quotidiana a cui sono costretti la finta Lena e i due bambini: come può un “padrone” arrivare a controllare in modo così efficace le persone?

Non solo. Ci si chiede: come può il “padrone” plasmare le personalità della moglie e dei due figli, fino a piegarli alle sue volontà? Potremmo pure noi cadere in una trappola simile?

Sorge poi un dubbio atroce: non è che forse noi nella trappola della prigione sociale e politica ci siamo già caduti?

Il fatto che la casa-prigione di Lena (Jasmin) e i due bambini si trovi all’interno di una base militare Nato dismessa non credo sia una coincidenza.

GLI STRUMENTI DI SOTTOMISSIONE

Come ho scritto all’inizio, oltre alla forza e alla violenza, il controllo più efficace sulle persone lo si guadagna grazie a una serie di azioni:

  • controllare il contesto da cui nessuno può uscire;
  • fissare i valori in cui tutti debbono credere;
  • costruire routine di comportamento che diventano riti obbligatori;
  • applicare la spirale del silenzio, per cui chi dissente dalla narrazione dominante deve sentirsi sbagliato e isolato

Il controllo, fisico e psicologico, del contesto è fondamentale perché tutto il resto – valori, routine quotidiane, angoscia nel sentirsi sbagliati e isolati – funzioni.

Il fissare e il far introiettare certi valori assicura la fedeltà al “padrone”, al contesto e ai comportamenti richiesti.

Quanto alle routine, ne abbiamo bisogno tutti. Sono i nostri punti di riferimento, quei riti quotidiani di cui neppure ci accorgiamo.

Diventano ancor più importanti – le routine – là dove siamo in una condizione di isolamento e di incertezza.

Quanto alla “spirale del silenzio”, è quella a cui ci abbandoniamo nel momento in cui la mentalità dominante va in una direzione diversa dalla nostra.

Ci diventa assai difficile, penoso e faticoso dissentire dalle narrazioni che il “padrone” impone, forte dei suoi servi e alleati.

Il sentirsi sbagliati ci porta a una sofferenza psico-fisica difficile da sopportare.

SIAMO LIBERI DAL CONTROLLO?

Diventa facile, quasi scontato, credere che l’ambiente in cui si trovano Lena e i due bambini Hannah e Jonathan sia la rappresentazione di una situazione estrema.

Diventa facile, oltre che giusto, dare la colpa di tutto al “padrone” che ha rapito la donna e che costringe Lena/Jasmine e i due bambini alla prigionia.

Diventa, invece, inquietante la domanda che siamo chiamati a farci: e noi? Noi siamo liberi da ogni padrone?

Dopo aver visto La mia prediletta, poniamoci l’interrogativo: noi siamo davvero in una condizione differente da quella della sedicente Lena?

A lei viene imposto un nome che non è il suo. A lei viene imposta una vita che non è la sua; e le vengono attribuiti figli che non sono i suoi. Non è che qualcosa del genere capiti a tutti noi in certe fasi e situazioni della vita sociale e politica? 

Nella serie tv di Netflix spicca il ruolo (e la recitazione magistrale) della piccola Hannah. È lei la “prediletta”. Ed è lei che consente al “padrone” di comandare senza oppositori e senza dissensi.

Perché sarebbe bastata un’alleanza tra la sedicente Lena e Hannah, con il piccolo Jonathan al seguito, per scardinare tutto il meccanismo. E mettere il “padrone” nell’angolo.

DOMANDE SCOMODE

E allora, chiudo questo articolo con le domande più scomode:

  • chi è la prediletta (o il prediletto) che asseconda il nostro padrone di turno?
  • chi è la prediletta (o il prediletto) che in cambio di una merendina si inchina alla violenza del Potere e ci mantiene tutti nella prigione?

Possiamo così affermare che la serie La mia prediletta non è soltanto un giallo psicologico ben congegnato. Non è soltanto una denuncia della violenza sulle donne.

La mia prediletta è anche la metafora del controllo del Potere sulle nostre vite.

Si tratta di un controllo che avviene grazie alle leve di comunicazione che ho indicato prima. E che ha successo grazie alla complicità dei “prediletti” che si fanno strumento delle angherie del più forte. I servi del Potere, insomma.

Maurizio Corte
corte.media

Trailer della serie Netflix La mia prediletta

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