Su Netflix una storia che intreccia dinamiche personali, violenza familiare e ruolo dei media.
Con la miniserie Reservaten – La Riserva, il giallo nordico si smarca dalla pura dimensione del delitto e delle indagini.
Assume una colorazione di costume che sfocia persino nell’analisi sociale. E nella sottile critica politica.
Ci sono una serie di elementi che consentono, peraltro, alla serie thriller di Netflix di assumere profondità e molteplici dimensioni.
Abbiamo la scomparsa di una ragazza alla pari, di nazionalità filippina, con i risvolti personali, economici e sociali che le storie di immigrazione comportano.
Abbiamo due famiglie della borghesia ricca, superficiale e dedita agli affari, dove l’ultimo dei loro pensieri è prestare attenzione ai propri figli, che vivono un’adolescenza inquieta.
Abbiamo i media – personal media con gli smartphone che custodiscono segreti e i social media che fanno condividere momenti intimi – a ricordarci come parte della nostra vita sia determinata dal mondo digitale.
Si tratta di media che celano imbrogli e che consolano solitudini. Sono luoghi senza luogo, spazi senza spazio e tempi senza tempo, che nelle immagini sembrano colmare il nulla sconcertante della vita reale.
La miniserie thriller Reservaten – La Riserva è ambientata in uno dei quartieri più esclusivi della Danimarca, a nord di Copenhagen.
Qui le ville lussuose con ampie vedute e opere d’arte autentiche nascondono realtà ben più complesse.
Sono proprio queste realtà complesse che, in un intreccio di esistenze e di luoghi vicini e lontani, vengono via via svelate nei sei episodi di una mezzora l’uno di durata.
La trama della miniserie La Riserva
Protagonista della miniserie thriller, in sei episodi, è Cecilie (interpretata da Marie Bach Hansen), una donna che conduce una vita all’apparenza perfetta: una splendida casa, un marito amorevole di nome Mike (interpretato da Simon Sears), due figli e una ragazza alla pari filippina, Angel (interpretata da Excel Busano), che l’aiuta nella gestione quotidiana dei figli e della casa.
La tranquillità di questo microcosmo benestante viene sconvolta quando Ruby (interpretata da Donna Levkovski), una ragazza alla pari filippina che lavora per i vicini e amici di Cecilie, Rasmus (interpretato da Lars Ranthe) e Katarina (interpretata da Danica Ćurčić), scompare nel nulla.
La sera prima della sua scomparsa, Ruby aveva chiesto aiuto proprio a Cecilie, esprimendo disagio e persino paura riguardo ai suoi datori di lavoro, ma Cecilie non aveva avuto l’umore né la disponibilità per ascoltarla.
Tormentata dal senso di colpa, Cecilie inizia a indagare sulla scomparsa di Ruby, collaborando anche con una poliziotta locale, Aicha (interpretata da Sara Fanta Traore).
Tutti divengono, allora, sospettati di essere coinvolti nella sparizione della ragazza alla pari filippina:
- i datori di lavoro di Ruby, che sembrano indifferenti alla sua scomparsa;
- il loro figlio adolescente Oscar (interpretato da Frode Bilde Rønsholt), che mostra comportamenti problematici;
- persino il figlio di Cecilie e Mike, Viggo (interpretato da Lukas Zuperka), amico di Oscar, mostra di non interessarsi alla cosa.
LA FACCIATA DI PERFEZIONE E DI IPOCRISIA
L’impressione, insomma, è che la sparizione di una ragazza alla pari filippina – proprio perché riguarda una “straniera” – sia cosa secondaria. Nulla di cui occuparsi e preoccuparsi.
Con il procedere delle indagini, la facciata di perfezione che caratterizza la comunità inizia a incrinarsi, rivelando tensioni nascoste, relazioni disfunzionali e una violenza latente che permea le relazioni tra i diversi personaggi.
Le recensioni sulla miniserie di Netflix
Il magazine Movieplayer.it riconosce il tentativo della serie di utilizzare i meccanismi del genere per “addentrarsi all’interno del microcosmo di una famiglia benestante con lo scopo di sconvolgerlo”.
Tra i temi affrontati (rapporti matrimoniali, estrazione sociale, questioni migratorie), quello identificato come più significativo è “la violenza come lascito generazionale”.
Tuttavia, la recensione evidenzia alcuni limiti: “Non c’è mai un sussulto in Reservatet – La Riserva, mai una sorpresa, qualcosa che possa anche solo far ipotizzare una qualche forma di deviazione dal percorso che si vede tracciato dai primi dieci minuti della prima puntata”.
Il magazine Il Notiziario sottolinea come la scomparsa di Ruby da uno dei quartieri più esclusivi della Danimarca – e l’indagine che ne consegue – serva da pretesto per esplorare le dinamiche sociali e le disuguaglianze che caratterizzano la società danese d’oggi.
Il quotidiano danese Berlingske offre una prospettiva particolarmente interessante, evidenziando come la serie La Riserva metta a nudo l’ipocrisia della società benestante danese.
La recensione si concentra sulla controversa questione delle ragazze alla pari. Parla di un sistema che “iniziò come un servizio domestico europeo e finì come sfruttamento, soprattutto della manodopera filippina”.
La recensione del quotidiano danese apprezza il modo in cui i creatori della serie mettono alla berlina l’autocompiacimento di chi critica lo sfruttamento altrui. E lo fa mentre “beve un bicchiere di freddo Chablis e si corruga la fronte davanti ai notiziari”.
Il magazine Collider apprezza l’efficienza narrativa della serie La Riserva, che riesce a bilanciare “puro intrattenimento con un pizzico di commento sociale”, presentando il tutto con serietà.
I temi sociali della serie Reservatet – La Riserva
Non c’è solo l’intreccio thriller, nella miniserie di Netflix.
La Riserva esplora con particolare attenzione le dinamiche di potere tra le famiglie ricche danesi e le giovani donne straniere che lavorano come ragazze alla pari nelle loro case.
La serie evidenzia come il sistema delle ragazze alla pari, nato in teoria come scambio culturale, si sia trasformato in molti casi in una forma di sfruttamento di manodopera a basso costo. Tutta forza lavoro domesrica proveniente da Paesi poveri come le Filippine.
Questa disparità – tra vita danese e vita nei Paesi di origine delle ragazze alla pari – è bene rappresentata nel contrasto tra le vite lussuose dei datori di lavoro e la vulnerabilità delle loro aiutanti domestiche straniere.
Le ragazze alla pari, infatti, dipendono in tutto dalle famiglie per cui lavorano, sia a livello economico che per il loro status legale nel Paese.
La serie mostra come questo squilibrio di potere possa facilmente portare ad abusi e situazioni di sfruttamento.
Non solo. Vi è anche un’evidente riferimento a certa religione e certa Chiesa – in questo caso cattolica – come “oppio dei popoli”. Anziché come occasione di riscatto umano e sociale.
Il parroco della chiesa dove si confessava Ruby a un certo punto deve ammettere un dato di fatto sconcertante: aver consigliato il peggio a una donna che ha subito violenza.
LA VIOLENZA GENERAZIONALE
Un tema centrale della serie La Riserva è quello della violenza come tratto che si trasmette di generazione in generazione.
La miniserie suggerisce che la violenza, sia essa fisica, psicologica o strutturale, diventa parte del “patrimonio ereditario” delle famiglie benestanti, manifestandosi in modi sempre più incontrollabili nei più giovani,
Questo aspetto è visibile soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi adolescenti, che riproducono schemi comportamentali problematici osservati nei loro genitori.
Si capisce, così, come la facciata di rispettabilità nasconda in realtà dinamiche familiari disfunzionali, che perpetuano cicli di violenza, disagio esistenziale e abuso di potere.
L’IPOCRISIA DI CERTA CLASSE BORGHESE
La serie di Netflix critica in modo evidente l’ipocrisia di una classe sociale che professa valori progressisti, mentre perpetua sistemi di sfruttamento.
Come evidenziato da alcuni giornali danesi, La Riserva mette in luce il contrasto tra l’indignazione di facciata e i comportamenti reali di chi beneficia di privilegi sociali ed economici.
Questo si riflette nell’atteggiamento di Cecilie, che inizialmente ignora la richiesta di aiuto di Ruby, per poi sentirsi in colpa quando è ormai troppo tardi.
La serie invita così lo spettatore a riflettere sulle proprie contraddizioni e complicità nei sistemi di disuguaglianza sociale.
IL LATO NASCOSTO DELLA PROSPERITÀ EUROPEA
La Riserva si inserisce in un filone di produzioni nordiche che mettono in discussione il mito del modello scandinavo di prosperità e benessere.
Dietro le facciate perfette delle ville nei sobborghi esclusivi si nascondono tensioni, traumi e violenze che la serie porta piano piano alla luce, suggerendo che il benessere materiale non equivale per forza a benessere emotivo o morale.
La critica evidente alla “prosperità nordica” – fondata su affari dubbi, sfruttamento di donne straniere e violenza familiare – possiamo tuttavia estenderla alla “prosperità europea”.
Nella ministeri di Netflix si parla delle ragazze alla pari, ostaggio di fatto delle famiglie ricchie che le controllano e che decidono sui loro destini.
Potremmo – mutatis mutandis – spostare l’attenzione su situazioni analoghe in fabbriche, aziende e famiglie italiane, francesi o spagnole.
Della serie: la nostra agiatezza, il nostro sistema di vita, i privilegi che abbiamo si fondano sul fatto che qualcuno sta sotto di noi, viene controllato, sfruttato e talvolta abusato.
Il ruolo dei media
La scomparsa di una giovane donna straniera in un quartiere esclusivo genera un certo interesse mediatico anche in Danimarca. E influenza le indagini e le reazioni delle persone coinvolte.
Le produzioni nordiche spesso esplorano le disparità di attenzione mediatica tra vittime di diversa estrazione sociale e provenienza. Ed evidenziano come alcune vite siano considerate più “degne di notizia” di altre.
PERSONAL MEDIA E SOCIAL MEDIA
Come accade in altre serie e altri film, i mass media – giornali, tv, radio, lo stesso web – in La Riserva restano sullo sfondo. Sono tutt’al più evocati, per il timore di “circhi mediatici” e di danni d’immagine.
L’insistenza è invece sui personal media e sui social media.
I personal media vanno dalla microcamera installata nella camera da letto della ragazza alla pari agli smartphone che contengono chat più o meno compromettenti.
I personal media sono quelli che consentono di relazionarsi da vicino – grazie alle webcam e allo streaming – con chi abita dall’altra parte del mondo, come accade alle ragazze alla pari con i loro famigliari.
I personal media sono anche quelli che mettono un filtro tra le persone: le allontanano, evitando loro quell’intimità proprio del contatto personale e fisico, e le rendono in qualche modo “straniere”. E senza ascolto.
Vi sono poi i social media, dove – come mostra la serie danese di Netflix – si riversano, con video e immagini, i contenuti privati, molto intimi e personali, per diventare strumento di violenza, di umiliazione e di prevaricazione dei più forti sui più deboli.
LA SERIE THRILLER COME CRITICA SOCIALE
Da un punto di vista meta-narrativo, La Riserva stessa può essere interpretata come un medium che utilizza il formato del thriller per veicolare una critica sociale.
La serie sfida, infatti, l’autocompiacimento di chi guarda le notizie indignandosi per le ingiustizie sociali, senza riconoscere il proprio ruolo nel perpetuarle.
In questo senso, la serie utilizza i codici del genere thriller per invitare lo spettatore a una riflessione critica sulla propria posizione sociale e sui propri privilegi.
L’indagine sulla scomparsa di Ruby diventa così la metafora di un’indagine più ampia sulle disuguaglianze strutturali della società danese d’oggi.
IL THRILLER NORDICO
La Riserva si inserisce in un panorama mediatico in cui le produzioni nordiche, specialmente i thriller, godono di particolare prestigio e attenzione internazionale.
Questo posizionamento, all’interno di un genere riconoscibile e apprezzato, permette alla serie di raggiungere un pubblico ampio con il suo messaggio critico.
Allo stesso tempo, va ricordato come il rispetto delle convenzioni di genere possa talvolta limitare l’efficacia e l’originalità del messaggio, riducendo elementi che sono dirompenti a semplici cliché.
La Riserva rappresenta comunque un esempio interessante di come il genere thriller possa essere utilizzato per veicolare una critica sociale.
Nonostante i limiti evidenziati da alcuni critici dei magazine italiani, la serie riesce a sollevare questioni rilevanti sulle disuguaglianze di classe, lo sfruttamento e l’ipocrisia che caratterizzano anche le società all’apparenza più egualitarie e democratiche.
Attraverso la storia della scomparsa di Ruby e dell’indagine condotta da Cecilie, la miniserie danese invita lo spettatore a guardare oltre le facciate perfette.
Lo invita a riconoscere le dinamiche di potere e violenza che soggiacciono al benessere materiale.
LE DISPARITÀ SOCIALI E I TEMI POLITICI
In un’epoca in cui le disparità sociali sono sempre più evidenti, La Riserva offre uno spunto di riflessione sulla responsabilità individuale e collettiva nel perpetuare o sfidare sistemi di sfruttamento.
Al di là del suo valore come intrattenimento, la serie di Netflix si propone come un testo che stimola una riflessione critica sulla società contemporanea, sui suoi miti e sulle sue contraddizioni.
Il ventaglio dell’analisi nella serie La Riserva è peraltro ampio: va dalle dinamiche familiari allo sfruttamento economico e sociale (con la ragazze alla pari); dall’uso dei media al servizio dell’ipocrisia al loro impiego come strumenti di controllo e dileggio; dai disagi personali alle relazioni sottilmente violente.
Abbiamo, poi, anche il tema della violenza di genere. Le condizioni di sfruttamento, controllo e umiliazione – in alcuni casi – delle ragazze alla pari filippine divengono l’esempio di altre condizioni analoghe su tutte le donne.
Possiamo definire la serie di Netflix Reservatet – La Riserva un affresco della società contemporanea europea e “occidentale”, con tutti i rimandi rivelatori dall’ambito privato al pubblico, dal sociale al mediatico.
Maurizio Corte
Agenzia Corte&Media
*** Per le ricerche sulla serie Netflix “La Riserva” sono stati usati anche strumenti di Intelligenza Artificiale
Il trailer della serie Reservatet – La Riserva
La Riserva. Recensione (in English)
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Sono un giornalista professionista, scrittore e media educator irriverente. Insegno Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università di Verona. Faccio ricerca su come i media rappresentano la società, il crimine e la giustizia. Sito web: Corte&Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org