Da una storia vera, la lotta di una madre per la verità sulla propria figlia e su altre ragazze sparite.
Il film thriller Lost Girls racconta la battaglia di una donna per la verità sulla sparizione della figlia maggiore, Shannan, a Long Island (Stato di New York, Usa). Una scomparsa di cui la polizia poco si interessa e che avviene in una zona esclusiva di ricchi bianchi borghesi.
La madre coraggio che intraprende il viaggio verso la verità si chiama Mari Gilbert. E fa di tutto per spronare la polizia a superare il velo di omertà e le inerzie da inquirenti pigri e distratti, per darsi da fare.
Nel frattempo, viene alla luce una serie di omicidi irrisolti di giovani escort sulle isole barriera di South Shore a Long Island. I delitti sono stati commessi dal serial killer di Long Island, com’è stato chiamato l’assassino, mai individuato.
Mari Gilbert, nata il 22 giugno del 1964, originaria del New Jersey, nella vita reale finirà per essere uccisa a coltellate da una figlia schizofrenica nel luglio del 2016.
Nel film la vediamo combattere, assieme alle altre due figlie minori, perché Shannan, 24 anni quando scompare, sia ritrovata. Nella realtà, le figlie di Mari in tutto erano quattro.
Il film è disponibile sulla piattaforma di streaming Netflix.
La riflessione che il film ci propone è articolata in una serie di punti, che merita di evidenziare:
- la battaglia di una donna sola, che fa i conti con il lavoro sottopagato e una famiglia da mantenere;
- l’assenza di ogni appoggio maschile, sia per Mari che per le altre donne le cui figlie e sorelle sono sparite e ammazzate;
- la tratta delle giovani avviate alla prostituzione, piazzate da clienti facoltosi in una zona esclusiva del Long Island;
- le omissioni e la reticenza della polizia, che mostra di non voler andare a fondo del caso;
- il sospetto di connivenze fra sfruttatori delle giovani donne, serial killer e settori della polizia
Il risultato è che la fine di Shannan non è stata spiegata come merita. Anzi, il suo caso è stato stralciato e considerato diverso da quello delle altre giovani prostitute.
Non è stato neppure trovato il serial killer – o i killer erano più di uno? – delle giovani donne, uccise e seppellite in una stessa zona. Proprio là dove Shannan si è persa una sera, urlando al 911 della polizia che qualcuno la voleva uccidere.
Peccato che la polizia sia intervenuta dopo oltre 40 minuti e Shannan sia sparita nel nulla, andando incontro a morte sicura.
Lost Girls. La recensione del film thriller
Scrive il critico Marco Craighero sul magazine online Cinematographe: “Il film pronuncia un forte e chiaro j’accuse verso la giustizia statunitense, incapace – o meglio dire disinteressata – nel prendere le difese di donne emarginate o con difficoltà sociali”.
Quella della regista, Liz Garbus, è “una scelta narrativa non didascalica (e la cosa sorprende dato che parte da una documentarista) per raccontare un’ingiustizia e un lassismo, in cui polizia e media hanno accentuato fortemente il fatto che le ragazze fossero delle prostitute, come a giustificare per questo la scarsa necessità di porre rimedio al caso e trovarne la verità“, prosegue l’articolo.
“Lost Girls diviene così un atto di denuncia sociale che punta il dito contro le autorità e contro un sistema che lascia sole tante donne, spingendole in una spirale drammatica, senza offrire alternative, marginalizzandole fino ad arrivare ad accusarle in maniera paradossale”, sottolinea Cinematographe.
“L’indignazione per il torto e l’impotenza verso il muro di gomma contro cui va a sbattere la protagonista“, osserva il magazine di critica cinematografica, “cresce di pari passo alla passione con cui lei, le figlie e le altre madri lottano strenuamente per una verità che sfugge alle loro possibilità”.
Tonino De Pace, sul magazine online Sentieri Selvaggi, osserva come l’indagine di polizia, alla lunga, diventi “il pretesto per una storia al femminile ed è questa la piega che prende quando le madri e le sorelle delle giovani prostitute si riuniscono per vivere insieme il dolore, celebrare le vittime”.
Quelle madri e sorelle, prosegue il critico, assistono “al macabro e incessante rituale del ritrovamento dei corpi seppelliti lungo le rive dell’isola newyorkese, ad uno ad uno, in quella zona di confine tra la spiaggia e la palude che difende le residenze-fortino, le proprietà di quei bianchi che, però, non disdegnano la compagnia delle ragazze”.
Poi l’articolo di Sentieri Selvaggi sottolinea che le “indagini proteggono questa piccola e danarosa comunità, nonostante le insistenze di Mari che chiede di indagare sulle loro vite. La differenza sociale e il rapporto con una originaria protezione da parte degli organi inquirenti nei confronti di queste persone, diventa uno dei temi del film”.
UNA TRUE CRIME STORY DI DENUNCIA SOCIALE
Sul magazine Universal Movies, la critica Anna Formici osserva che il film Lost Girls “si può sicuramente leggere come denuncia sociale e critica alle istituzioni del contesto statunitense”.
“A spiccare è anche il tema della famiglia. In particolare la storia si concentra sui rapporti tra madre e sorelle delle vittime, che finiscono per fraternizzare nella condivisione del proprio dolore”, sottolinea Universal Movies.
“Di contro, tutti i personaggi maschili sembrano essere messi in cattiva luce, spesso anche forzatamente”, fa notare l’articolo. “Risulta evidente la posizione estremamente femminista di Liz Garbus, che lascia parlare i suoi personaggi per sé”.
L’analisi del film: Lost Girls, ingiustizie sociali e omissioni della polizia
Il film mette sotto accusa, talvolta a ragione e in altri passaggi in modo arbitrario, tre categorie di persone e di organizzazioni:
- la figura maschile con le sue assenze e latitanze;
- la polizia con il suo circo di inquirenti;
- i media con le loro routines professionali e di linguaggio
Vi è una chiara denuncia sociale, in Lost Girls, che però rischia di perdere di vista il tema principale: l’essere una giovane donna, che mette in vendita il proprio corpo per campare, stritolata da un meccanismo di interessi e da un sistema che il film non mette in discussione come dovrebbe.
LA FIGURACCIA DI NOI MASCHI, SEMPRE ASSENTI
L’immagine del maschio assente che esce dal film Lost Girls viene declinata in una tavolozza di colori che va dal maschio stupido (specie se in gruppo) al maschio pappone, dal maschio preso fra alcol e droga al maschio inaffidabile e indifferente.
Non c’è una figura di uomo che si salvi, nel film diretto da Liz Garbus. La regista americana, classe 1970, documentarista e produttrice cinematografica deve avere un problema con la figura maschile.
Mostra un chiaro atteggiamento di misandria, basato su un sentimento di avversione, ostilità, odio, disprezzo e/o pregiudizio nei confronti del genere maschile.
Non che la cosa, come maschio, mi turbi o mi sorprenda. Liz Garbus ha ragione da vendere. A preoccuparmi sono due elementi:
- il fatto che l’avversione pregiudiziale verso il maschio rende meno lucidi nell’inchiesta e nel racconto, rischiando di compromettere la denuncia che sta dietro la battaglia titanica di Mari Gilbert;
- il fatto che ci si fermi alla figura maschile e si trascuri la catena di soprusi contro giovani donne, dall’utilizzatore finale delle schiave del sesso al pappone che le sfrutta; e da questo a chi tira le fila e protegge gli affari della prostituzione
È mai possibile che non vi sia un fratello, un padre, un amico o un compagno maschio assieme a quelle donne che combattono per la verità sulle giovani escort uccise; e sulla fine di Shannan?
Sono state davvero così sole e senza maschi le donne che hanno affiancato Mari Gilbert nella sua battaglia contro l’ignavia della polizia americana?
Credo sia offensivo dimenticare che vi sono padri – penso a Renzo Rontini, padre di Pia Rontini, vittima del mostro di Firenze nel 1984 – che hanno dato una vita per la verità sulle loro figlie.
È anche stupido ignorare quei padri e fratelli che, cresciuti con una cultura diversa rispetto a quella in cui ci vuole tutti incasellare la regista di Lost Girls, sono pronti alla battaglia, e si battono come leoni, per la vita e i diritti delle donne che amano.
LA POLIZIA STA A GUARDARE
Di positivo, Lost Girls come altri film americani sul sistema criminale e giudiziario statunitense, una caratteristica l’ha.
Al contrario della quasi totalità dei film e delle serie tv italiane, troviamo una critica graffiante e una denuncia chiara delle omissioni, dei ritardi, delle inerzie e addirittura delle complicità della polizia.
“Un poliziotto deve basarsi sulle prove, non sulla rabbia”, dichiara il commissario Richard Dormer a Mari Gilbert, che ribatte pronta: “L’ha letta in un biscotto della fortuna?”.
Siccome si tratta di giovani prostitute, alla polizia non interessa molto del loro destino. Meno ancora interessa di chi lucra su quelle giovani donne, ovvero quei califfi e quegli affaristi che devono avere connivenze e utili appoggi nelle forze dell’ordine.
La polizia sta a guardare, quando si tratta di scoprire chi ha ucciso quella serie di giovani donne della provincia americana. Donne date in pasto agli agiati borghesi dello Stato di New York.
“Non si spreca tutto questo tempo a cercare una squillo”, dice un poliziotto nel film. Mentre è anche dalla sparizione di una squillo che occorre partire per tracciare il quadro della grande criminalità.
Anche qui, però, il film Lost Girls non affonda i colpi. La regista mostra tutti i limiti di un certo modo di fare documentari che si ferma ai fatti, senza andare oltre e senza scavare nelle connessioni, nelle cause e nel livello alto che è complice della tratta delle schiave bianche della prostituzione.
MEDIA SENZA UMANITÀ E SENZA CREDIBILITÀ
Sparare sui giornalisti, specie nelle condizioni attuali dell’editoria, è uno sport alla portata di tutti. Meno facile è approfondire, argomentare e mettere nell’angolo i media quando si fermano ai pregiudizi e alla mera cronaca.
I media rappresentati, peraltro da lontano, in Lost Girls sono privi di credibilità: hanno perso il loro ruolo e significato di strumento per capire e far conoscere la complessa società in cui viviamo.
Sono giornali e televisioni servili verso i poteri costituiti, polizia in testa, oppure squali che si gettano senza umanità e senza scavo sul dramma di giovani donne uccise.
Le giovani escort sono definite prostitute. E sulla stessa Shannon vi è l’insistenza nel chiamarla prostituta, nei notiziari televisivi.
Quanto alla madre Mari Gilbert, si fa sapere che ha dato la primogenita in affido quando questa era piccola. Non si spiega, da parte dei media, che quell’affido era legato a condizioni di indigenza della donna.
Non si alza il livello dell’attenzione alla comunità omertosa della baia dove sono stati trovati i corpi delle ragazze; e dove Shannan è stata inghiottita. I media non mettono in discussione chi non ha fatto attenzione a tutto ciò: la polizia.
Come ha fatto notare un critico cinematografico, nel recensire il film, è nella palude che si nasconde la verità. Ed è nella palude che la polizia, e con essa i media che le si accodano, non è mai andata a cercare.
IL LIVELLO DELLA CRONACA E QUELLO DELL’INCHIESTA
Film come Lost Girls sono importanti, perché testimoniano comunque spaccati del nostro tempo, fette di società, percorsi esistenziali travagliati che altrimenti sarebbero coperti dal silenzio. Non basta però fermarsi alla superficie.
Mari Gilbert viene rappresentata senza sconti: una donna coraggiosa, ma con le sue contraddizioni. Così per gli altri personaggi di questo affresco criminale.
Tuttavia, si rimane nella cronaca. Importante, ma sempre cronaca resta. Non si va affondano i colpi, in alcuna direzione.
Una storia come quella di Mari Gilbert merita un’inchiesta, una denuncia che alzi lo sguardo sulla catena di affari e omertà.
La storia di quella madre merita una tematizzazione che consenta di collegare la vita difficile di una donna single con la sparizione di una giovane escort, con le connivenze e gli appoggi a un sistema criminale che usa e poi getta via gli anelli deboli.
Sulla vicenda reale di Mari Gilbert e sugli sviluppi del caso, ecco tre articoli:
- The Real Mari Gilbert of Netflix’s Lost Girls Was Murdered By Her Daughter
- Eerie Crime Scene Photo Offers 1st Public Insight Into Possible Gilgo Beach Killer
Mari Gilbert’s Mission To Crack The Long Island Serial Killer Case Continues After Her Death
La battaglia di Mari Gilbert per la verità sulla vicenda di Shannan e delle altre ragazze uccise e sepolte nella palude continua. E l’auspicio è che si scavi anche nella palude delle omissioni e delle connivenze.
Lost Girls, ragazze scomparse e ragazze in cerca di verità
La vicenda raccontata nel film thriller Lost Girls, non può non ricordarci altre ragazze scomparse e trovate senza vita.
I due casi che qui voglio ricordare – e che trattiamo in vari articoli di questo magazine Il Biondino della Spider Rossa – non vedono al centro la storia di giovani escort. Ma sempre di giovani donne maltrattate e uccise si tratta.
I due casi giudiziari che voglio segnalarti sono questi:
Nei due articoli su Yara Gambirasio e Milena Sutter puoi trovare i link ad altri articoli di approfondimento.
Sono due vicende che richiamano alcuni dei temi del film thriller Lost Girls, a cominciare dalla solitudine delle vittime di fronte ai loro assassini (o a chi non ne ha impedito la morte); e di fronte a verità mai del tutto portate alla luce.
Maurizio Corte
corte.media
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org