Un rapimento finisce sui social media: cosa accade quando il dramma privato finisce su Internet?
La serie televisiva Clickbait, otto episodi di 45-50 minuti l’uno, è fra gli spettacoli più seguiti dagli spettatori della piattaforma di streaming Netflix.
In Italia viene data fra le prime dieci preferenze, come spettacolo. Di sicuro una serie televisiva thriller da guardare e su cui discutere.
Si tratta di una miniserie televisiva in otto parti di Tony Ayres e Christian White. In ogni episodio si complica il mistero di un rapimento trasmesso sui social media.
Il protagonista è l’attore Adrian Grenier, che interpreta Nick Brewer, un padre di famiglia rapito per presunti illeciti.
Costretto ad ammettere le sue offese in video sempre più orribili, i segreti di famiglia si svelano man mano che ogni episodio passa da una prospettiva diversa.
La storia passa da sua sorella Pia (interpretata da Zoe Kazan) a sua moglie Sofia (l’attrice Betty Gabriel), ai figli, al detective che indaga, all’amante e agli altri personaggi.
Mentre il popolo di Internet osserva le rivelazioni fatte durante il rapimento, il detective Roshan Amiri (interpretato dall’attore Phoenix Raei) di capire cosa stia succedendo. E perché.
“La responsabilità su Internet è il tema centrale della serie, costringendo sia i personaggi che gli spettatori a cimentarsi con orribili violenze da parte di qualcuno che conoscono (e non conoscono)”, osserva il magazine americano We Got This Covered.
La situazione creata dalla serie televisiva ci ammonisce sul tema della visibilità su Internet, in positivo e in negativo.
Qui abbiamo un marito, padre, figlio e fratello affettuoso che si ritrova legato a una sedia e picchiato, mentre regge dei cartelli con su scritto “Io abuso le donne. A 5 milioni di visualizzazioni morirò“.
IL VIDEO VIRALE DI UN RAPIMENTO
Un video virale dà così il via a un caso impossibile da decifrare. La domanda, come spesso ci accade su Internet e sui social media è la stessa: si tratta di una minaccia vera, oppure è solo una messinscena?
La persona al centro del rapimento è un bastardo, che ha nella vita il ruolo del carnefice? Oppure è solo una vittima?
I suoi famigliari cercano di capire cosa accade, ma nel contempo scoprono lati del proprio marito, padre e famigliare che li lascia esterrefatti.
L’invito è a riflettere sull’uso dei social, sul rapporto fra verità e apparenza, sulla relazione fra notizie verificate e fake news. Vi è poi il tema del confine fra ambito privato e pubblica visibilità.
Si tratta di argomenti che interessano il pubblico di Netflix, dato che Clickbait è fra gli spettacoli più seguiti e apprezzati del momento.
Le recensioni sulla serie televisiva Clickbait
Ho notato che i magazine e i blog italiani di recensioni delle serie televisive hanno pontificato e stroncato, per gran parte, la serie televisiva thriller Clickbait.
Confesso che invidio sempre i millanta riferimenti televisivi e cinematografici dei critici, specie quelli giovani, delle serie televisive.
Da parte mia, amo evitare – tranne casi evidenti di deficienza tecnica cinematografica – i giudizi su un film o un serie tv thriller.
Mi piace capire quale messaggio, foss’anche scontato, arrivi al pubblico. Mi piace rilevarlo quant’anche quel messaggio, quella certa morale o quel tema sia ripetuto, già visto.
Un approccio interculturale apprezza i piccoli, ma importanti, elementi di novità.
Non solo. Le scienze della comunicazione ci insegnano che un messaggio mediatico raggiunge un certo risultato se, reiterato nel tempo, piano piano entra nella cultura e nel frame mentale di chi lo riceve.
Cosa ci racconta Clickbait
Gli otto episodi della serie televisiva Clickbait assumono una posizione narrativa che non è originale.
Mostrare un differente punto di vista su una vicenda dovrebbe essere quasi scontato in un racconto d’oggi.
In questo senso, i film del regista messicano Alejandro González Iñárritu ci sono d’insegnamento.
L’IMPORTANZA DI ANGOLAZIONI DIVERSE
Tuttavia, Clickbait ci aiuta ad abituarci all’idea che – in un mondo complesso – occorre decentrarsi. Occorre osservare e ragione sugli eventi da angolazioni diverse.
Cosa c’è di più complesso, anche grazie ai media, del nostro mondo contemporaneo?
Essendo cresciuto tra fine anni cinquanta e anni sessanta, con un solo canale televisivo e senza globalizzazione, posso assicurarti che oggi vivere è un modo d’essere assai complicato.
Le indagini della polizia in Clickbait
Come noi giornalisti, in tutte le serie televisive c’è sempre il rischio di cadere nel pregiudizio quando si rappresentano gli investigatori.
E’ però un dato di fatto che la polizia – come accade in tutte le organizzazioni – ama arrivare per la via più breve al risultato.
Chi indaga spesso non è interessato alla verità sostanziale dei fatti. Vuole arrivare a “un colpevole”.
Ne è una dimostrazione il caso giudiziario Sutter-Bozano (Genova, 1971, presunto rapimento e presunto omicidio) a cui è dedicata una sezione di questo magazine.
Non sempre la polizia è così deficiente – nel senso di mancare di competenza e illuminazione – nelle proprie indagini.
Nella serie televisiva Clickbait abbiamo un “poliziotto dissidente”, dotato di una sua umanità, che merita addirittura un episodio. E’ la figura di Roshan Amiri, il detective interpretato dall’attore australiano di origini iraniane, Phoenix Raei.
Un detective un po’ particolare, dato che è musulmano. E frequenta, nelle tante ore dedicate al lavoro di poliziotto, anche la moschea.
Non solo è islamico. E’ pure padre ed è anche separato.
LA POLIZIA? BRANCOLA (SEMPRE) NEL BUIO
La polizia, anche in questa serie televisiva, “brancola nel buio”. Si muove come può. E viene a sapere le cose attraverso i media; oppure per caso.
Un dato emerge, anche da questo aspetto della serie Clickbait: indagare sulla vittima, approfondirne i rapporti, le frequentazioni e i segreti è fondamentale.
Come ci ricorda la criminologa Laura Baccaro, solo se conosciamo la vittima – con la tecnica della vittimologia – possiamo comprendere (e scoprire) l’offender.
Se ci fermiamo al pregiudizio, allora siamo in un vicolo cieco.
“Società multiculturale” e rischio dello stereotipo
Interessante, nella serie televisiva thriller Clickbait, è il dosaggio esatto dell’approccio multiculturale.
Il protagonista – la vittima Nick Brewer (l’attore Adrian Grenier, statunitense originario del New Mexico) – è un bianco.
La sorella Pia Brewer (l’attrice Zoe Kazan, californiana ma con ascendenze greche, inglesi e tedesche) è decisamente una biondina occidentale.
La moglie di Nick, Sophie Brewer (l’attrice Betty Gabriel) è afroamericana. Così i due figli. L’avvocato di Sophie è di origini orientali.
Il reporter Ben Park (l’attore Abraham Lim) è gay, nella serie televisiva, e nella realtà viene da una famiglia di origini coreane.
Insomma, bianco, nero, orientale, eterosessuale, gay è un mix di etnie e appartenenze sessuali che mostrano il mondo multiculturale di oggi.
Diventa “interculturale” quel mondo cinematografico “multiculturale”? Rispondere non è facile, perché le relazioni fra le diversità non sono facili.
IL COMPAGNO GAY E L’OCCHIO ALL’UMANITA’
Quello che comprendiamo è che le differenze – e i fraintendimenti – sono a livello interpersonale. Per cui un messaggio che la serie Clickbait ci manda è che l’incomprensione è costitutive del genere umano.
Interessante è il compagno gay del reporter Ben Park, giornalista a cui è dedicato il sesto episodio: ricorda al cronista arrembante che l’umanità viene prima della ricerca dello scoop.
Di sicuro, ci dice l’uomo che ama Ben Park, il rispetto delle regole e dei diritti è fondamentale. E non si fa giornalismo fottendo i sentimenti e la privacy altrui.
Pia Brewer, sorella del protagonista Nick, inseguita da una giornalista
La gogna mediatica
Rappresentare i giornalisti, specie quelli televisivi, come avvoltoi e senza etica è facile quanto sparare sulla Croce Rossa.
In questo, la serie televisiva Clickbait non fa eccezione.
Come giornalisti non ne usciamo bene. E, come cantava Giorgio Gaber, “i giornalisti non sono certo brave persone, e dove cogli cogli sempre bene”.
Gaber si riferiva a un certo tipo di giornalismo, che ancora oggi esiste.
C’è però un sempre più nutrito gruppo di giornalisti e giornaliste che credono in un modo diverso di scrivere e lavorare per i media.
Penso all’associazione Carta di Roma, che si occupa di immigrazione e media.
Penso anche al lavoro che facciamo con il Master in Mediazione Interculturale, dove abbiamo un congruo numero di ore dedicato al Giornalismo Interculturale.
Oppure al lavoro di ricerca e comunicazione che fa l’associazione ProsMedia.
I TEMI DELLA SERIE TELEVISIVA CLICKBAIT
La serie televisiva Clickbait ha proprio questo di importante:
- farci riflettere sui media e sul loro ruolo in una società complessa,
- portarci a pensare alle conseguenze delle nostre comunicazioni sui social network,
- indurci a considerare le conseguenze della nostra bulimia del fotografare e filmare e poi diffondere,
- sottolinearci le conseguenze delle azioni sui media nella vita delle persone, dimostrare che non vi è più separazione fra virtuale (online) e reale (offline)
Clickbait, la serie tv australiana, chiama però anche gli investigatori ad essere dei professionisti. E ad evitare di dare modo agli sceneggiatori di essere rappresentati come utili idioti; e non come inquirenti professionisti.
Quello che, tuttavia, mi preme sottolineare, è che la serie televisiva thriller Clickbait chiama soprattutto i giornalisti e gli operatori dei media a un’assunzione di responsabilità.
Maurizio Corte
corte.media
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Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org