Un bosco, due morti e il mistero della pseudosetta: il caso irrisolto che chiede giustizia.
All’ombra del Monte Cisa, tre monete allineate, un accendino intatto e una candela bianca indicano una scena del crimine raccapricciante. Poco distante, riposa il corpo decapitato di Fabio Rapalli.
Il giovane è scomparso da quasi quattro mesi, quando viene trovato da due cacciatori ai piedi di un albero di Pontremoli (Massa Carrara), il 7 settembre 1996.
Vicino al corpo, un cappio che fluttua da un ramo del bosco sembra subito indicare un gesto estremo della vittima.
Tuttavia le prove hanno sempre fatto pensare ad altro: il 31enne originario di Montù Beccaria (Pavia) forse è stato ucciso.
La scena del crimine tanto inquietante sarebbe quindi solo un vano tentativo di inscenare un suo suicidio, per sviare le indagini.
Tra Lombardia e Emilia, le ricerche dei Carabinieri si sono mosse nella vita semplice della vittima, fino ad arrivare alla Setta delle Bestie di Novara. Senza però risolvere il caso.
CRIMINI DIMENTICATI: UN APPROCCIO ETICO ALLA CRONACA NERA
«C’è chi li chiama cold case. Per noi sono semplicemente crimini dimenticati». Con queste parole, Simona Cascio e Marcello Randazzo introducono i video del loro canale YouTube “Crimini Dimenticati”.
I due professionisti televisivi trattano casi di cronaca nera che i media mainstream tendono a ignorare, restituendo dignità alle vittime abbandonate dalla giustizia.
Con il loro approccio rispettoso, il progetto di video giornalismo è anche un viaggio nella memoria, un invito a non smettere di cercare risposte per chi non può più farlo.
Seguiamo allora il racconto di Simona e Marcello per scoprire i segreti sul caso irrisolto di Pontremoli.
Il dimenticato di Pontremoli: il caso di Fabio Rapalli
All’epoca del fatto di cronaca nera, Fabio Rapalli è un ragazzone di 31 anni dagli occhi scuri. Schivo ma generoso, l’uomo ha un grande cuore, come ricorda il fratello gemello Stefano.
L’infanzia dei Rapalli si svolge nella tranquillità bucolica delle colline di Montù Beccaria, nell’Oltrepò Pavese.
Tra i filari di Bonarda e Barbera, i gemelli vivono in simbiosi, condividendo una vita semplice e consacrata alla famiglia. Almeno fino al 1996.
«UN CASALINGO TOTALE»: IL PROFILO DELLA VITTIMA
Dopo gli studi, il 31enne si dedica all’impresa edile di famiglia.
Oltre al lavoro, tutta la vita di Fabio ruota intorno ai suoi cari: il Padre Carlo, il fratello Stefano, la sorella Nicoletta e il cognato.
L’uomo è anche molto affezionato al nipotino, a cui dedica gran parte del suo tempo libero.
Insomma, la vittima è un «casalingo totale», come lo descrive con affetto il gemello nel video di “Crimini Dimenticati”.
Eppure, un’abitudine che lo porta fuori dalle mura domestiche esiste: il mercato di Castel San Giovanni.
Il mercato è infatti un appuntamento fisso della sua settimana, a cui Rapalli non rinuncia mai, camminando tra le bancarelle ogni giovedì e domenica mattina.
LE ULTIME 72 ORE: L’USCITA INGIUSTIFICATA E LA SCOMPARSA
Prima di parlare della scomparsa della vittima, facciamo un salto indietro di 72 ore, per ripercorrere un giorno insolito per i Rapalli.
Il 16 maggio 1996, Fabio esce di casa con la sua moto Aprilia 125 e rimane fuori per tutta la giornata, come non aveva mai fatto prima.
Al suo ritorno, il ragazzo appare stravolto. Alle domande insistenti dei familiari, risponde in modo evasivo, raccontando solo di aver percorso centinaia di chilometri.
Ancora oggi, questo episodio rimane un mistero.
L’unico dettaglio che è stato estrapolato dal racconto riguarda un tratto di autostrada che il 31enne dice di aver percorso. Solo che quella strada era vietata ai motocicli con cilindrata inferiore a 250. E la sua moto era una 125.
Solo tre giorni dopo, il 19 maggio, Fabio sale nuovamente in sella alla Aprilia Pegaso. Questa volta, però, non fa più ritorno a casa.
Quello stesso giorno di maggio, Carlo Rapalli non perde tempo e denuncia subito la scomparsa del figlio ai Carabinieri.
Le indagini sul caso Rapalli: dalla scomparsa di Fabio, al cadavere nel bosco
Dopo la denuncia di scomparsa, i Carabinieri ispezionano casa Rapalli, esaminando con attenzione la camera da letto di Fabio.
Gli inquirenti cercano indizi che possano spiegare l’inaspettata scomparsa, come un biglietto o un appunto su un diario, ma non trovano nulla.
Nel frattempo, oltre alla segnalazione di scomparsa, le forze dell’ordine hanno inserito la targa della moto nella banca dati del Ministero degli Interni.
Terminati questi gesti di routine, le indagini si scontrano però con un muro di difficoltà.
Il ragazzo ha infatti pochi amici e conduce una vita estremamente riservata, circoscritta alla famiglia: i Carabinieri non sanno chi interrogare, a parte qualche conoscente tra Montù Beccaria e Castel San Giovanni.
IL DIAVOLO ESISTE? LA DOMANDA AL PRETE
Durante le prime indagini, emerge un elemento inquietante dalle parole di don Luciano Chiesa, parroco di Costa Montefedele.
Pochi giorni prima della scomparsa, Fabio si era infatti avvicinato al sacerdote per porgli una domanda insolita: «Don, ma il diavolo esiste?».
Alla risposta affermativa del parroco, il ragazzo cavalcò la sua moto senza aggiungere altro.
Questo episodio è la prima intromissione di un’inquietante ipotesi: il possibile coinvolgimento del satanismo nel caso, come presto avremo modo di approfondire.
UN CADAVERE DECAPITATO NEL BOSCO
Per mesi Fabio Rapalli sembra svanito nel nulla. Fino al 7 settembre 1996, quando il caso subisce una svolta drammatica.
Quasi quattro mesi dopo la scomparsa, giunge una chiamata al nucleo operativo di Stradella dai colleghi di Pontremoli (Massa Carrara), un paese a circa 160 km da Montù Beccaria.
Dall’altra parte della cornetta, le autorità segnalano il ritrovamento di un corpo senza identità nel bosco della Cisa.
L’amara scoperta avviene grazie a due cacciatori, che quella mattina di inizio settembre individuano un corpo mummificato.
Posto ai piedi di un albero, il cadavere presenta inoltre la testa staccata dal tronco.
Anche se sul luogo del ritrovamento dimorano pochi oggetti, un portapatente con il nome «Autoscuola Strabellina», collega subito le nuove indagini al 31enne scomparso.
LA POSSIBILE MESSA IN SCENA DI UN ASSASSINO
Sulla scena del crimine, tra i ciuffi d’erba di Pontremoli, vengono trovati alcuni oggetti:
- un coltello da cucina conficcato nel terreno;
- due accendini;
- una custodia priva della patente;
- una candela bianca;
- una corda appesa ad un ramo;
- tre monete da 100, 200 e 500 lire, disposte una accanto all’altra.
Nella macabra scenografia, gli oggetti sembrano i reperti di un rituale, disposti da mani sapienti per sviare le indagini.
A conferma della messa in scena, due dettagli colpiscono subito il nucleo investigativo:
- la corda sul tronco presenta un nodo scorsoio, ma Fabio non era in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe. Inoltre, in un secondo momento, le analisi scientifiche non rilevano nessuna traccia ematica o lembi di pelle sulla corda.
- Gli accendini sono un ulteriore enigma: nonostante i quasi quattro mesi all’aperto, gli oggetti non hanno la minima traccia di ruggine.
Intrecciando gli elementi, quindi, gli inquirenti confermano l’ipotesi di un’intromissione di terzi.
Ogni oggetto sembra infatti contribuire a un disegno più grande: depistare le indagini, per far passare la morte di Fabio per un suicidio.
L’ENNESIMA INTROMISSIONE: LA MOTO RITROVATA
Nell’autunno 1996 ormai l’ombra di un burattinaio dietro la morte di Fabio è ben visibile. E un’ulteriore conferma non tarda ad arrivare.
Infatti il 2 novembre, i Carabinieri di Pontremoli effettuano un nuovo sopralluogo sulla scena del crimine che aggiunge un tassello al puzzle.
A circa 100 metri dal luogo del ritrovamento del cadavere, gli inquirenti scoprono la moto e il casco di Fabio, appoggiati sulla vecchia carcassa di un’auto.
Invece di rafforzare l’ipotesi del suicidio, questo ritrovamento alimenta i sospetti che Fabio sia stato ucciso. O, comunque, che qualcuno abbia inscenato il suo rinvenimento.
La zona era già stata infatti perlustrata dagli investigatori e dai familiari, ma i due oggetti non erano mai stati visti prima da nessuno. Mentre tutti ricordano ancora bene l’auto arrugginita.
Per i Carabinieri, quindi, anche la moto e il casco di Fabio sono stati collocati nel bosco in un secondo momento, per ostacolare la verità.
La seconda scia di indagini: da Roberto Bossi alle Bestie di Novara
Nonostante l’ipotesi di omicidio — confermata anche dal magistrato — le indagini sulla morte di Fabio Rapalli si affievoliscono in breve tempo, senza mai riuscire a fare dei nomi.
Tuttavia, alcuni elementi emersi nel corso dell’inchiesta hanno aperto una seconda pista investigativa, tuttora al centro dell’attenzione.
Infatti, grazie all’impegno di Claudio Ghini — che ha seguito il caso prima come Carabiniere e poi come investigatore privato per i Rapalli — la speranza di risolvere l’omicidio è ancora viva.
L’ALTRO CADAVERE: ROBERTO BOSSI
Due anni dopo il caso Rapalli, una scoperta scuote i boschi di Pontremoli per la seconda volta in poco tempo.
A soli 50 metri dal luogo del ritrovamento di Fabio, nel 1998 viene scoperto il cadavere di Roberto Bossi: un autotrasportatore celibe di 32 anni.
Anche questa seconda morte sembra avvolta nel mistero: secondo l’autopsia, infatti, l’uomo è morto ingerendo soda caustica.
Un suicidio, quindi, è la risposta più ovvia alla morte di Bossi.
Tuttavia i sospetti sul caso non mancano. E proprio a causa del legame tra Roberto e Fabio, che non può essere ignorato dagli inquirenti:
- infatti, i due ragazzi abitavano a pochi chilometri l’uno dall’altro,
- sono morti a due anni di distanza,
- e (soprattutto) si conoscevano.
Sono troppe le coincidenze per essere considerate solo una casualità.
IL COLLEGAMENTO CON LA SETTA DELLE BESTIE
Con i due morti di Pontremoli, le indagini sul caso Rapalli imboccano una strada sempre più oscura, orientandosi verso una presunta setta satanica attiva tra il 1996 e il 1998: le Bestie di Novara.
La pista si impone con forza nel 2010, quando un uomo uscito dalla setta rivela alcune attività rituali nei boschi della Lunigiana, proprio a fine anni ’90.
Grazie alle indagini di Claudio Ghini, inoltre, le dichiarazione dell’incriminato sono in parte state confermate.
L’ex Carabiniere ha infatti scoperto che nel 1996 le Bestie di Novara avevano accesso a un immobile in una frazione di Costa Montefedele — il paese natale di Fabio.
Le nuove scoperte dipingono quindi due scenari sul destino del 31enne. Rapalli potrebbe essere morto:
- per un rituale d’iniziazione finito male, partecipando per sua volontà;
- a seguito di alcune oscure dinamiche settarie, in cui si è trovato invischiato suo malgrado.
CROCI ROVESCIATE E DIAVOLI: GLI INDIZI SULLA SETTA
A conferma della pista settaria, emergono altri indizi.
In realtà, alcune tracce erano già venute a galla nelle prime indagini, ma erano state sottovalutate o mal interpretate, come:
- la presenza di alcune croci rovesciate nei libri di Fabio;
- la strana domanda fatta dalla vittima al parrocco sull’esistenza del diavolo;
- un messaggio sulla lapide del 31enne contenente una inquietante scritta traslucida — “siamo noi” — e un misterioso tridente rovesciato.
La chiusura del caso: un “cold case” dimenticato
Nonostante l’ipotesi di un omicidio legato a una setta satanica rimanga una delle teorie più accreditate, ad oggi è solo una scia priva di riscontri concreti.
Dopo due riaperture nel 2008 e nel 2010, gli sforzi investigativi non sono infatti riusciti ad impedire la chiusura delle indagini: l’omicidio di Fabio Rapalli è oggi un caso archiviato.
C’è però chi non si arrende.
L’APPELLO PER NON DIMENTICARE
Nell’aprile 2023, Claudio Ghini ha depositato presso la Procura della Repubblica di Massa un rapporto dettagliato che raccoglie quindici anni di attività investigativa sul caso Rapalli.
L’ex Maresciallo chiede ancora oggi a gran voce la riapertura del caso, sottolineando l’importanza dei numerosi indizi e collegamenti con la Setta delle Bestie. Indizi che, a suo dire, non possono essere ignorati.
«Il richiamo della vicenda Rapalli» — spiega l’ex Carabiniere a Fanpage — «dà lo spunto per invitare chi sa, a collaborare con la Procura della Repubblica di Massa, senza timori di subire provvedimenti giudiziari a proprio carico perché il reato di favoreggiamento personale si è prescritto».
L’IMPORTANZA DEL RICORDO NELLA CRONACA NERA
Come le monete disposte accanto al corpo di Fabio, ogni dettaglio in questo caso è un tassello di un puzzle che attende di essere ricomposto.
Ma per risolvere l’omicidio servono voci, non ombre.
Il silenzio resta infatti il più grande alleato dell’ingiustizia: solo spezzandolo, possiamo sperare di trovare la verità per Fabio e per le altre vittime dimenticate.
Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 02.01.2025
Al canale Crimini Dimenticati abbiamo dedicato un articolo introduttivo, che celebra il loro ammirevole lavoro di giornalismo investigativo.
Ogni mese su questo blog pubblicheremo inoltre un nuovo articolo dedicato ai casi trattati da Simona Cascio e Marcello Randazzo, per continuare a tenere viva la memoria di chi non ha ancora trovato giustizia:
- Il giallo dell’armadio. Il crimine dimenticato di Antonella Di Veroli
Il giallo di Manuela Murgia: la ragazza della Necropoli di Tuvixeddu
Crimini dimenticati | Anello di carta: il giallo sul ritrovamento del corpo di Fabio Rapalli
Autrice e copywriter. Laureata magistrale cum laude in Editoria e Giornalismo, ama analizzare e divulgare crimini e ingiustizie di ogni tipo: dai misfatti di Hollywood ai reati ambientali.


