Il film di Elio Petri, Premio Oscar 1971, è un capolavoro universale.
Perché rivedere il film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto? Perché il lavoro di Elio Petri – come tutte le opere geniali – incarna il proprio tempo, anticipa ciò che di peggio accadrà e rimane attuale, nel 1970 come cinquant’anni dopo.
È la storia di un arrogante commissario di polizia che uccide l’amante, semina la scena del crimine di indizi. E lo fa sfidando il potere che anch’egli incarna e i colleghi che indagano, sicuro che l’interesse all’omertà in Questura lo porrà al riparo dall’arresto e dal giudizio penale.
Ecco come Il Morandini presenta la trama del film di Elio Petri: “Un commissario di polizia uccide l’amante che lo sta tradendo con uno studente contestatore, ma non si cura di nascondere le tracce del delitto. Anzi, lascia molti indizi in modo che i suoi colleghi siano obbligati a risalire a lui. Uomo di potere, vuol vedere fino a che punto il potere protegge i suoi rappresentanti”.
Gian Maria Volonté, protagonista del film “Indagine su un cittadino al sopra di ogni sospetto”
LA TRAMA DI “INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO”
Un dirigente della Questura – di cui non viene mai fatto il nome – uccide con una lametta Augusta Terzi, la propria amante, nell’appartamento di lei.
Il dirigente della Pubblica Sicurezza, com’era chiamata la Polizia di Stato negli Anni Settanta, è interpretato – in modo magistrale – dall’attore Gian Maria Volonté. La vittima, “donna dai facili costumi” come si diceva allora in ambito poliziesco, è interpreta da una convincente Florinda Bolkan.
L’omicidio da parte del dirigente della Polizia viene compiuto lo stesso giorno stesso della sua promozione al comando dell’ufficio politico della Questura.
Fino ad allora è stato lui, l’Assassino – come viene chiamato l’anonimo questurino nella sceneggiatura – ad occuparsi di delitti e killer: è stato, infatti, a capo della Squadra Omicidi.
Attraverso una serie di flashback, vediamo Augusta – l’amante uccisa – invitare il commissario ad abusare del proprio potere. Oppure raccontarle particolari scabrosi cui aveva assistito come investigatore.
Non solo. L’amante Augusta provoca il dirigente della Polizia parlandogli di una sua relazione con un giovane “rivoluzionario”, capellone e di Sinistra: lo studente anarchico Antonio Pace, che vive nel stesso palazzo della vittima.
Proprio l’anarchico Pace incrocia il commissario assassino, dopo che questi ha compiuto l’omicidio ed esce dalla casa dell’amante Augusta.
Il commissario ha ucciso l’amante e si è divertito a lasciare più tracce possibile sulla scena del crimine.
Sono indizi pesanti – a carico del commissario – di chi si diverte, durante le indagini, a ricattare, imbeccare e depistare i colleghi della squadra omicidi che si occupano del caso.
Il film ha un finale aperto. Non sappiamo se il commissario assassino sarà o meno riconosciuto tale – malgrado la sua confessione ai colleghi – da chi fa il suo stesso mestiere. E ha gli stessi suoi interessi a che “l’ordine costituito” non venga in alcun modo scalfito dallo scandalo.
Gian Maria Volonté in una scena del film di Petri, Premio Oscar nel 1971
Gli Anni Settanta e la profezia di Elio Petri
L’arroganza di chi si pone sopra la legge. La faccia di bronzo di chi afferma di incarnare la Legge e l’Ordine, di fatto violandola con il suo comportamento delittuoso. La realtà di un Assassino che guida l’allora squadra politica (oggi Digos) della Polizia. Il disprezzo per la democrazia, la verità e la trasparenza nel momento in cui si vuol legittimare il proprio potere con espressioni altisonanti (Legge, Ordine Costituito) e vacue.
Tutto questo lo ritroviamo in taluni ambienti (di polizia e non) degli Anni Settanta. Ma anche nei fatti criminali del G8 di Genova. E li troviamo nell’omicidio di Stefano Cucchi.
Il film ha una sua universalità non solo temporale, ma anche di luoghi. Il commissario assassino lo riconosciamo anche nei pestaggi e omicidi della polizia che ha suscitato la protesta di Black Lives Matter.
Il film di Petri, poi, ha interessanti coincidenze con la vicenda di Milena Sutter e di Lorenzo Bozano, di cui il magazine Il Biondino della Spider Rossa occupa nella sezione dedicata all’analisi del Caso Sutter-Bozano.
La recensione del film “Indagine”
“È difficile classificare il film di Petri in un singolo genere: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è, al tempo stesso, un poliziesco, un thriller psicanalitico, un giallo alla rovescia, una commedia nera ed un pamphlet satirico“, scrive Stefano Lo Verme sul magazine MyMovies.
“Il tono grottesco impiegato da Petri si rivela decisamente funzionale alla narrazione, sempre sospesa sul filo di una tagliente ironia e capace di dar vita ad alcune scene impagabili (come l’episodio delle cravatte)”, sottolinea ancora MyMovies.
IL CLIMA POLITICO DEL TEMPO
Il critico Antonio Pettierre, sul magazine Ondacinema, ricorda che “Il film fu scritto nel ’68 e girato nel ’69, in un momento storico-politico particolare per l’Italia, sullo sfondo della strage di Piazza Fontana, e all’inasprimento dello scontro sociale in atto, e dell’affaire del commissario Luigi Calabresi, ritenuto il responsabile da un parte della sinistra extraparlamentare della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli alla Questura di Milano, e oggetto di una campagna stampa che sfociò poi nel suo assassinio nel 1972″.
Poi prosegue: “In questo clima di tensione la pellicola fu messa sotto processo dalla censura per il soggetto narrato – per la rappresentazione che si faceva della Polizia (e molti videro nel personaggio del Commissario più di una somiglianza con Calabresi) – e rischiò di non uscire nelle sale cinematografiche”.
“Il film fu assolto dalla magistratura e riuscì a ottenere un grande successo di pubblico nelle sale italiane”, sottolinea Ondacinema. “Certo, molti eventi furono fortuiti in quanto il film fu concepito prima degli accadimenti reali, ma rimane un’opera politica nel senso di critica al governo e della classe dirigente dell’epoca“.
UN CAPOLAVORO DI CRITICA POLITICA
Come scrive il critico Fabio Fois sul magazine CineFacts, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un capolavoro del cinema italiano e mondiale. Un film che in periodi tesi come quelli degli anni di piombo ha avuto il coraggio di mettere in dubbio l’autorevolezza, l’imparzialità e la buona fede degli organi di giustizia, attirandosi dietro le ire di mezza classe dirigente italiana. Ma mettendo l’accento su un dilemma etico che interessa la vita del Paese anche ai giorni nostri”.
Prosegue poi l’articolo di CineFacts: “Perfetto nella forma e nel contenuto perfetto, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è una vetta ineguagliata del cinema politico, intelligente, lucido e tagliente nella sua opera di denuncia“.
L’analisi del film “Indagine”
La grandezza del film di Elio Petri – con una prova sublime di Gian Maria Volonté – è ben rappresentata dalla musica di Ennio Morricone. Un capolavoro artistico, quello del compianto compositore di musiche da film.
Morricone riesce a rendere in musica, e a procurarci l’inquietudine, delle tre componenti del protagonista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto:
- il senso di impunità e privilegio, che porta a sfidare i colleghi investigatori per vedere fino a che punto sono vigliacchi;
- l’ipocrisia delle narrazioni di comodo, fondate sulla menzogna utile a coprire il delitto;
- il comando inteso come controllo e determinazione di quanto accade (e di quanto viene detto)
Perché Elio Petri non dà un nome al commissario di Polizia che uccide e semina indizi per auto-accusarsi? La risposta, qui, è quasi scontata: l’Assassino, come lo chiama in sceneggiatura, rappresenta tutti gli uomini e le donne di Potere.
Ma la domanda più interessante è perché Petri chiami l’Assassino il commissario che uccide. Poteva chiamarlo “il Commissario”, dato che i commissari non sono presenti solo nella Polizia.
L’Assassino è tale non solo perché uccide una persona, in questo caso l’annoiata borghese interpretata da Florinda Bolkan.
L’Assassino è tale perché uccide la verità. Perché uccide i diritti civili. Perché umilia, batte e alla fine ammazza l’umanità che vi è in ogni persona; a cominciare da se stesso.
È questo che fa orrore – un orrore ben interpretato da Gian Maria Volonté – nel film di Elio Petri: la negazione dell’umanità, dei diritti, della verità. Insomma, la stessa negazione che sta alla base della Shoah e dei campi di sterminio.
A pagare il prezzo di quest’orrore da campo di sterminio non sono solo le vittime.
Pagano il prezzo dell’orrore tutti coloro che nella comunità, nella società potrebbero essere vittime di quella nevrosi del Potere. Una nevrosi che non contempla, essendone il contrario, il pensiero critico, il cambio degli schemi di visione del realtà, la relazione dialettica con il proprio ambiente.
Il film di Elio Petri e il Caso Sutter
Nell’arroganza del Potere, incarnata dal commissario di Pubblica Sicurezza, rappresentata in Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto vi troviamo l’arroganza degli inquirenti del caso di Milena Sutter.
La ragazzina genovese, 13 anni, di origini svizzere, scompare a Genova giovedì 6 maggio del 1971. Il suo corpo senza vita viene trovato da due pescatori dilettanti due settimane dopo: giovedì 20 maggio.
L’arroganza dell’Assassino, portata in scena da Gian Maria Volonté nel film di Elio Petri, a dire il vero non è espressa in questo modo da tutti gli investigatori del caso genovese.
Il capo della Squadra Mobile di Genova, Angelo Costa, era un apprezzato investigatore e – come traspare anche dal libro scritto con il giornalista Roberto Tafani – dotato di umanità. Costa è uno dei pochissimi dirigenti di Polizia di quegli anni che vengono dalla Resistenza al nazifascismo.
L’arroganza la troviamo nel vicecapo della Squadra Mobile, il massone piduista e affiliato dell’organizzazione paramilitare Gladio, Arrigo Molinari. Una persona che si qualifica già nel comportamento che ha tenuto a Sanremo, nel 1967, con la morte sospetta di Luigi Tenco.
L’arroganza la troviamo nel questore di Genova di allora, Giuseppe Ribizzi, che condanna prima dei processi. Tanto da venir ripreso e corretto dal capo della Procura della Repubblica, Francesco Coco.
L’arroganza la troviamo nel sostituto procuratore, Nicola Marvulli, eccellente magistrato ma poco fedele alla Costituzione: non solo chiede una pena incostituzionale – l’ergastolo – per Lorenzo Bozano; ma addirittura gli augura “una vita di sofferenze”.
Comprensibile la rabbia del dottor Marvulli. Peccato che la sua “certezza” sulla colpevolezza di Bozano gli venga dalla confidenza di una persona, a suo tempo vicina al cosiddetto biondino della spider rossa, di nessuna attendibilità.
Elio Petri, con il suo film sulla nevrosi del Potere, sembra puntare il dito contro la Polizia di Stato – allora Pubblica Sicurezza – ma egli, a mio parere, va ben oltre.
Nella Polizia di Stato vi sono stati e vi sono uomini onesti, di alto profilo. Il problema del Potere, della vertigine che procura, della sua arroganza vale per tutte le organizzazioni: anche per i giornalisti, categoria a cui appartengo, e per i docenti universitari, dove mi trovo a insegnare, per portare due altri esempi.
Il j’accuse di Elio Petri, con il suo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, tocca tutti noi. A qualsiasi livello, insomma.
Il film di Elio Petri e il Caso Bozano
L’arroganza data dall’impunità. Il voler imporre la propria visione del mondo. La pretesa di asservire la persona sospettata ai propri voleri e desideri. Il seminare il panico e insicurezza per far scendere la nebbia sulle verità scomode. Il ridicolo del predicare valori e un senso dello Stato da chi, per primo, quei valori e quel senso dello Stato lo sputtana.
Questo è uno dei volti inquietanti del Potere, rappresentato da Gian Maria Volonté nel film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Elio Petri rende il commissario di Pubblica Sicurezza, il dirigente questurino, un personaggio universale – valido in tutti i tempi e in tutti i luoghi – perché sa rappresentare comportamenti, narrazioni e atteggiamenti che si ripetono.
Lo hanno fatto anche con Lorenzo Bozano, sospettato appena dopo la sparizione di Milena Sutter.
Bozano non è stato umiliato e costretto a inginocchiarsi, negli interrogatori, grazie a una norma di legge fresca di approvazione che prevedeva la presenza e l’assistenza di un legale in caso di interrogatorio.
Su Lorenzo Bozano è partita – probabilmente dal piduista Arrigo Molinari, su imbeccata di una figura che ha gestito molte narrazioni di questo caso – una storia costruita ad arte per dare una precisa direzione alla vicenda di Milena e di Bozano.
Si badi bene: non si tratta di giudicare qui l’innocenza o la colpevolezza di Lorenzo Bozano.
Si tratta di riflettere sul fatto che nella vicenda genovese è passata una sola storia; una sola direzione di indagine. E sono balle quelle di chi dice che hanno indagato in tutte le direzioni.
Non è vero. A dimostrarlo c’è la perizia medico-legale sul corpo della ragazzina: neppure su quella sono riusciti ad essere intellettualmente onesti, veritieri, fondati scientificamente.
Tant’è che l’esito dell’autopsia lo sappiamo già poche ore dopo il ritrovamento del corpo: il copione, di quell’orrendo film che si chiama Il Biondino della Spider Rossa, prevedeva un certo esito. A quanto pare.
Di “verità” costruite a tavolino, del resto, ne abbiamo viste tante, negli Anni Settanta. E non solo.
Elio Petri parla del film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”
Elio Petri, il regista geniale
Elio Petri, pseudonimo di Eraclio Petri nasce a Roma il 29 gennaio del 1929 e lì muore il 10 novembre del 1982.
Nato da una famiglia di artigiani, Petri è stato un regista, sceneggiatore e critico cinematografico italiano. Una figura di narratore e di uomo di cinema contro corrente, che non piaceva – per la sua indipendenza – né ai poteri democristiani del tempo, né a quelli di stampo comunista.
È a 15 anni, ancora adolescente, che ha inizio cominciò passione per il giornalismo e per il cinema. Frequenta così i circoli del cinema e scrive sui bollettini delle associazioni cinematografiche.
Nel 1949, a vent’anni, ha inizio la sua collaborazione con l’Unità, come critico cinematografico.
Elio Petri conosce allora il regista Giuseppe De Santis che gli chiede una mano a condurre un’inchiesta. Si tratta di fare un’indagine, sotto forma di dossier di interviste, per un film che De Santis sta realizzando: Roma ore 11 (del 1951).
La storia si rifà a un fatto di cronaca, con la morte di alcune giovani donne che erano in un edificio per un colloquio di lavoro. Donne delle classi meno abbienti di Roma; quel tipo di persone che – senza fatti drammatici – non fa notizia.
Tra il 1953 e il 1960, Petri collabora al soggetto e alla sceneggiatura di film di diversi registi: oltre a Giuseppe De Santis, Enzo Provenzale, Carlo Lizzani, Gianni Puccini e Leopoldo Savona.
Si sperimenta anche con laregia, realizzando due cortometraggi: Nasce un campione (1954) e I sette contadini (1957).
Elio Petri, l’esordio con il film giallo “L’assassino” (1961)
Elio Petri esordisce con il primo lungometraggio, L’assassino, un film del 1961, da cui emerge la genialità narrativa di un regista disallineato.
Il film è a tema poliziesco, di analisi psicologica che nonostante alcuni problemi con la censura viene accolto sotto buoni auspici.
Il protagonista del film è Marcello Mastroianni, attore di cui Elio Petri diventa amico.
Nella sua prima opera sono già presenti i temi fondamentali del suo cinema: la nevrosi e il potere.
Nel 1962, dopo aver sposato a Roma Paola Pegoraro, Petri dirige I giorni contati, film che narra la crisi esistenziale di uno stagnaro romano. Vi recita uno degli attori amati da Petri, con una grande prova: è Salvo Randone, nel suo unico ruolo da protagonista al cinema.
Nel terzo film di Elio Petri vi è Alberto Sordi, come protagonista, che recita in Il maestro di Vigevano (del 1963), tratto dall’omonimo libro di Lucio Mastronardi.
I temi delle disuguaglianze sociali, dell’immigrazione riflessa sul mondo scolastico sono presenti in quest’altro film in bianco e nero che conserva, ancor oggi, intatta la sua valenza. E la sua attualità.
Nel 1965, Elio Petri porta in scena ancora Marcello Mastroianni, nel film fantascientifico La decima vittima, ispirato a un racconto di Robert Sheckley, autore statunitense di qualità appartenente al genere fantastico.
Le difficoltà di Elio Petri – autore e uomo indipendente, insofferente alle costrizioni esterne – con i grandi produttori del cinema, lo portano lavorare con produttori esordienti.
Di qui il film A ciascuno il suo (1967), tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia e interpretato da Gian Maria Volonté, Irene Papas e Gabriele Ferzetti.
Nel film emerge la scelta di Elio Petri per un cinema d’impegno civile (o cinema politico) che ritroviamo nella cosiddetta “trilogia sulla nevrosi”, ovvero tre film degli Anni Settanta che hanno fatto la Storia del Cinema internazionale.
Elio Petri nel 1968 gira il film Un tranquillo posto di campagna, allegoria sul ruolo dell’artista nella società contemporanea. E si misura poi con un episodio del film militante Documenti su Giuseppe Pinelli (1970), alto esempio di cinema di impegno civile.
Premio Oscar nel 1971 con “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”
Nello stesso anno (1970) Petri realizza il suo film più noto, il primo capitolo della cosiddetta trilogia della nevrosi: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con Gian Maria Volonté.
Il film rappresenta il senso di onnipotenza dato dal potere: nevrosi del potere.
Un Gian Maria Volontè in stato di grazia interpreta il ruolo di un commissario di polizia che uccide la propria amante, interpretata da un’affascinante Florinda Bolkan.
Nonostante la sua confessione, il commissario di polizia non viene di fatto punito dai colleghi, preoccupati di difendere la reputazione dell’apparato.
Il film ottiene un vasto consenso da parte del pubblico. Tant’è che nel 1971, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si aggiudica l’Oscar al miglior film straniero.
Il film “La classe operaia va in paradiso”
Il secondo atto della trilogia della nevrosi è La classe operaia va in paradiso (1971), satira sulla vita in fabbrica (nevrosi del lavoro).
Grazie a questo film, nel 1972 – ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi, sempre con Volonté protagonista – Elio Petri ottiene la Palma d’oro a Cannes.
Vi è poi il terzo capitolo della trilogia della nevrosi: La proprietà non è più un furto (1973), con Ugo Tognazzi e Flavio Bucci come protagonisti. Il film mette in scena un’analisi a sfondo grottesco sulla proprietà e sul denaro (nevrosi del denaro).
Elio Petri appare in due suoi film, come due camei da consegnarci per ricordarlo e averlo nel cuore.
In Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto s’intravede Petri brevemente, mentre è seduto tra coloro che assistono al discorso di insediamento del commissario alla direzione dell’ufficio politico.
Nel film Le mani sporche s’intravede Petri nella prima parte film. Interpreta il ruolo di uno dei partecipanti a una riunione di partito: Petri, insieme con altri, è intento a scendere le scale e a congedarsi da un altro membro del partito.
Il film Todo Modo
Nel 1976 Petri realizza un altro film su un romanzo di Sciascia, Todo modo, tratto dal romanzo omonimo.
Il film racconta il grottesco decadimento di una classe dirigente politica nella descrizione di un’assise dei vertici della Democrazia Cristiana, in un albergo-eremo, allo scopo di praticare degli esercizi spirituali.
Nel film recitano Gian Maria Volontè, Marcello Mastroianni e Mariangela Melato e vi sono le musiche di Ennio Morricone, che già aveva composto quelle del film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Due anni dopo (1978) Elio Petri lavora per la Rai. Dirige l’adattamento televisivo (in tre parti) del capolavoro teatrale di Jean-Paul Sartre, Le mani sporche, con Marcello Mastroianni e Giovanni Visentin protagonisti.
Il film successivo, Buone notizie (1979), con Giancarlo Giannini e Ángela Molina protagonisti, si caratterizza per un pessimismo ormai inguaribile e intessuto di propensioni metafisiche.
ELIO PETRI E L’ESORDIO NEL TEATRO
Nel 1980, Elio Petri esordisce nel mondo del teatro. Cura la regia de L’orologio americano, opera del drammaturgo statunitense Arthur Miller.
La prima della rappresenta ha luogo a Sanremo. E ha tra gli interpreti l’attore Lino Capolicchio.
Nel 1982 Petri è pronto per girare con Marcello Mastroianni il film Chi illumina la grande notte.
Ammalato di cancro, Elio Petri muore il 10 novembre 1982, all’età di 53 anni, senza poter dare inizio alle riprese del film. È sepolto a nord di Roma, al cimitero di Prima Porta, accanto alla tomba dove riposa il padre.
Elio Petri spiegato dal critico Federico Frusciante
I libri su Elio Petri
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La grandezza di Elio Petri sta nella sua indipendenza di giudizio, nell’intelligenza critica con cui analizza il Potere e le condizioni di disuguaglianza fra le persone.
In questo senso, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con un grande attore come Gian Maria Volonté, ne è una dimostrazione.
Non è un caso se Elio Petri, ancora oggi, è scomodo. Non è mai piaciuto né al potere democristiano e cattolico; né ai poteri legati al Partito Comunista.
Uomo di Sinistra, Elio Petri ha interpretato i valori di libertà, di indipendenza di giudizio, di critica graffiante al Potere e contro le ingiustizie.
La sua filmografia è ancora tanto scomoda che trova scarso spazio nelle televisioni mainstream e nelle grandi kermesse pubbliche.
Eppure, chi ama il cinema, chi studia la Storia del cinema, sa che Elio Petri è uno dei più grandi e geniali registi italiani. Un regista amato all’estero e riconosciuto in terra straniera più che in Italia.
Il suo film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con un Gian Maria Volonté, Premio Oscar nel 1971, lo ritroviamo ancor oggi nei grandi fatti di cronaca, sia in Italia che all’estero. E nella vita civile: là dove il manganello, l’impunità e la menzogna prevalgono sui valori di libertà, giustizia e verità.
Maurizio Corte
corte.media
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