Un videoreporter assetato di immagini e di crimine e il rispetto di vittime e verità.
Crimini, incidenti e furti… ma col sangue. Il tutto accompagnato dall’eco mediatica che la cronaca nera provoca, a partire dalla televisione.
Crimini incidenti e furti, conditi con il sangue, sono le immagini catturate dal protagonista Louis Bloom (Jake Gyllenhaal) nel film thriller Lo sciacallo – Nightcrawler (2014) di Dan Gilroy.
Louis intraprende una carriera da videoreporter. Etica e moralità non sembrano però appartenergli. E nemmeno la legge sembra fermare la sua sete di gloria e successo nel circo mediatico.
Sono almeno due i temi che emergono dalla pellicola, tali da renderla interessante rispetto ai soliti film thriller americani:
- il filo sottile che divide il diritto di cronaca e il diritto alla privacy;
- l’ossessione per il sangue da parte della società dei media
Lo sciacallo – Nightcrawler (2014) è così una storia che richiama il tema del rapporto fra crimine, giustizia e media.
Il film è scritto da Dan Gilroy, che con questo lavoro fa il suo debutto alla regia. Per questa pellicola ha ricevuto una candidatura agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Il montaggio ritmato, a cui si deve gran parte della suspence del film, è di suo fratello gemello, John Gilroy.
Lo sciacallo – Nightcrawler è un film thriller distribuito in Italia da Notorious Pictures ed è disponibile su Sky Tv, Now e Prime Video.
Lo sciacallo – Nightcrawler. La trama
Los Angeles di notte. Louis Bloom è un giovane uomo, disoccupato, che vive di piccoli furti, come i materiali edili che poi rivende.
Una sera assiste a un incidente stradale: istintivamente accosta la macchina, esce dall’auto e si avvicina al disastro, catturato come molti da quelle immagini di sofferenza.
Dopo pochi secondi arriva una troupe di videoreporter, specializzata in riprese notturne. L’attenzione di Louis Bloom si sposta su di loro.
Louis, convinto delle proprie abilità, decide allora di entrare in quel campo. Il campo dei media, della televisione.
Il giorno dopo inizia la sua nuova impresa con l’obiettivo di diventare il più bravo di tutti.
Compra una videocamera, si adopera per riuscire ad ascoltare e comprendere le trasmissioni radio della polizia. E, infine, assume un aiutante (Rick).
Capisce presto che per sopravvivere deve diventare uno sciacallo. Come? Trovando le immagini più crude e vendendole a chi (come lui) non si fa alcuna domanda sulla loro provenienza: la producer di una televisione locale, Nina Romina.
“Il sangue porta soldi”, come dice un videoreporter nel film. Bloom inizia, così, a vivere per questo.
Recensione 1: la psicologia di Louis Bloom
Il film vive nella notte. La città degli Angeli viene dipinta come un incubo, attraverso immagini che però non fluiscono mai per rappresentare la violenza assoluta sullo schermo.
William Maga, sul magazine online Il Cineocchio, riflette su questo aspetto visivo: “il film è certamente grafico ma non è saturo di violenza, piuttosto si contrae a un ritmo lento e deliberato mentre cresce il sadismo di Louis.”
A fare la differenza è l’attore Jake Gyllenhaal (Louis Bloom). Lo studio del personaggio e la sua recitazione danno al film un certo spessore psicologico e drammatico.
Il suo personaggio parla come un manuale di self help. E si comporta in un modo garbato, così artificioso da provocare un senso di disagio nello spettatore.
Anche Antonella Murolo, sul magazine everyeye.it, si sofferma sulla caratterizzazione psicologica di Bloom.
“Il regista ha creato per il suo primo lungometraggio un protagonista assolutamente eccentrico, maniacale“, scrive Murolo, “fuori da ogni schema cinematografico: arrivista, inquietante e, nonostante tutto ciò, assolutamente umano e comprensibile.”
Louis agisce spostandosi da un capitolo all’altro di questo suo manuale per il successo.
Quando capisce le possibilità che il lavoro da videoreporter potrebbe dargli, si adopera per realizzarlo.
Quando comincia ad avere i primi risultati, passa al secondo capitolo del libro fino ad arrivare a quello finale: il successo da sciacallo.
Recensione 2: una società assetata di sangue
Francesca Lombardo definisce il film “(…) una satira nei confronti del giornalismo e dei mezzi di comunicazione, che vengono utilizzati per distorcere la realtà pur di accaparrarsi il maggior numero di share (…)” (L’ occhio Del Cineasta).
In questo spettacolo, la sofferenza e il sangue delle persone non valgono però la stessa moneta; e questo Bloom lo capisce in fretta. L’omicidio di una donna bianca, in un quartiere residenziale ricco della città, paga più di quello di un afroamericano in periferia.
“La logica espressiva sta nella quantità di dettagli di sangue mostrati; e nella localizzazione spaziale e metaforica della violenza che li ha prodotti”, come sottolinea la redazione di cinematographe.it.
Viene però da chiedersi se non sia anche la stessa società un animale assetato di sangue. Bloom, e ciò che lui rappresenta nel film, è uno sciacallo che viene lasciato libero di agire da una società che si nutre delle sue immagini.
Si tratta di un sistema mediale che sfrutta la cronaca nera per fare spettacolo; non per fare informazione. Tuttavia, questo meccanismo mediatico non potrebbe esistere, senza una società voyeuristica che cerca le scene colorate di nero e violenza.
L’analisi del film. Diritto di cronaca e spettacolo
Il film Lo Sciacallo porta, poi, a un’altra riflessione. Ovvero, lo sfruttamento del diritto di cronaca da parte dei media.
In nome del diritto a scrivere di cronaca – anche nei suoi aspetti più feroci – il rispetto della privacy viene spesso meno. La possibilità di imbastire un vero e proprio spettacolo del crimine vince sul diritto a fermarsi davanti al dolore intimo delle persone.
In Italia, l’articolo 21 della Costituzione è la base fondante del diritto di cronaca, insieme con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Ci sono, però, tre limiti che il diritto di cronaca deve rispettare, per non incorrere in sanzioni:
- l’utilità sociale di una notizia;
- la verità sostanziale dei fatti;
- la continenza espositiva
Non è però sempre possibile individuare, in modo fondato, se e come questi limiti siano rispettati.
I professionisti della comunicazione si muovono – si badi bene – proprio all’interno di questo triangolo: utilità sociale, verità e continenza espositiva. Vi si muovono e, appena si allenta la presa, li scavalcano.
Lo stesso fa il video reporter Louis Bloom nel film: che interesse sociale, del resto, può esserci nella visione di corpi sanguinanti?
Nella storia dell’informazione italiana si possono trovare molti esempi di sfruttamento mediale di fatti di cronaca nera. Si tratta di episodi di spettacolarizzazione del crimine.
Non vengono colpite solo le vittime, si badi bene. Sotto attacco, nel prevalere dello spettacolo sulla narrazione veritiera e rispettosa, è anche l’autore di reato (o presunto tale).
Vittorio Manes, nel testo La “vittima” del “processo mediatico”: misure di carattere rimediale, sottolinea questo aspetto.
“Si pone il conflitto, difficilmente superabile, tra diritti contrapposti“, scrive Manes. Vi è “il diritto di cronaca giudiziaria, da un lato; e dall’altro i diversi diritti che fanno capo a chi lo subisce (vita privata, riservatezza, presunzione di innocenza), oltre a più generali istanze di imparzialità del giudizio.”
Nella trasformazione di Louis Bloom in sciacallo, rimane in lui ben poco senso di umanità: etica e morale svaniscono.
Questo lo porta a ricostruire la scena di un crimine o a riprendere i corpi delle vittime senza pudore, andando oltre quel diritto.
STORYTELLING DEI MEDIA E SPETTACOLO DEL CRIMINE
Un altro aspetto da considerare – quando si parla di cronaca nera – riguarda le conseguenze delle azioni dei media sui procedimenti investigativi e giudiziari: i media, ricostruendo i fatti, possono rendere più problematici sia le inchieste di polizia che i processi.
Il caso di Milena Sutter (Genova, 1971) può essere un esempio. La costruzione mediatica del biondino della spider rossa è un personaggio inventato dai giornalisti ha portato le indagini a indirizzarsi in un certo modo.
I media, in quel caso, hanno narrato la vicenda a proprio piacimento, presentando Milena come una bambina nonostante avesse 13 anni.
Nel film Lo sciacallo, la produttrice televisiva Nina Romina crea la notizia a suo piacimento, a partire dalle varie tessere del suo puzzle. Non importa quale sia la verità, basta narrare la giusta storia.
E qual è la “giusta storia”? Quella che fa salire l’interesse del pubblico. Quella che stimola e soddisfa il voyeurismo degli spettatori.
Si può parlare di storytelling finalizzato a fare audience: narrazioni di storie che possano colpire, affascinare e, così, far vendere di più.
Non basta il fatto in sé, a questo tipo di storytelling giornalistico. La notizia si deve inserire – secondo la logica di certi media – all’interno di un quadro interpretativo funzionale agli interessi economici di tv e giornali e siti web.
“Questa è la storia”, dice Nina nel film. Definisce così un tipico esempio di narrazione da società della post-verità: quella in cui “informazioni false, volutamente e coscientemente tali” sostituiscono la verità dei fatti (Lorusso, Postverità).
Lo sciacallo – Nightcrawler è, così, un film thriller sul ruolo dei media, tra diritto di cronaca e spettacolarizzazione.
La riflessione dello spettatore, sul proprio ruolo in questo spettacolo mediatico, viene sollecitata sin da subito, nel film.
Ha inizio dal senso di disagio che le gesta di Louis Bloom producono in noi quando ci troviamo di fronte uno spettacolo del crimine. Ovvero, un qualcosa che non dovrebbe essere sempre guardato. Perché anche lo spettacolo si deve fermare, di fronte al dolore delle persone.
Anna Ceroni
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Il trailer del film Lo sciacallo – Nightcrawler
La video recensione del film
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org