La sparizione di una donna, nel 2018 in Norvegia, dà il via a un caso senza soluzione apparente.

La serie tv Scomparsa a Lørenskog tratta con sguardo originale una di quelle storie – un fatto di cronaca nera – che ci incollano alla poltrona. E che suscitano mille interrogativi, in una spirale senza fine.

Una donna di 69 anni, moglie di un ricco imprenditore norvegese, scompare. La sua sparizione lascia dietro di sé una lettera dei rapitori, con tanto di richiesta di riscatto.

Passano i giorni, le settimane e i mesi, ma della donna – e dei rapitori – non vi è più notizia. Tanto da portare gli investigatori a credere che sia tutta una messinscena; e che vi sia il marito dietro la scomparsa della moglie.

Il marito – per motivi di gelosia e anche per un interesse economico – avrebbe fatto sparire e uccidere la moglie.

Da dove nasce il sospetto? Dal fatto che lei era in procinto di chiedere il divorzio; scelta che l’agiato finanziere non avrebbe voluto accettare.

IL CASO DI ANNE ELISABETH HAGEN

La donna scomparsa è Anne Elisabeth Hagen, la moglie del finanziere Tom Hagen, una delle persone più ricche della Norvegia.

La sparizione avviene il 31 ottobre 2018. Cos’è successo? Il finanziere Hagen, persona dalla vita morigerata malgrado l’immensa fortuna, torna a casa dal lavoro nell’azienda di cui è proprietario.

Nella modesta villetta, dove abitano lui e la moglie, trova una lettera, lasciata su una sedia nel corridoio. Nella lettera vi è scritto che la moglie Anne Elisabeth è stata rapita; e che sarà rilasciata solo se la famiglia paga ai rapitori 9 milioni di euro di riscatto.

I 9 milioni devono essere trasferiti tramite Monero, una nuova criptovaluta. Il tutto, quindi, deve avvenire attraverso un canale non rintracciabile. Questo allo scopo di occultare gli affari sporchi.

I cinque episodi della serie tv crime Scomparsa a Lørenskog, su Netflix, si basano su un evento reale, del 2018, in Norvegia.

Gli episodi vengono messi in scena con una fiction che tratta l’evento da vari punti di vista.

Viene così ricostruito – ricorrendo a differenti angolazioni – l’operato di investigatori, giornalisti e avvocati coinvolti nel caso di Anne Elisabeth Hagen e del marito finanziere Tom Hagen.

Il caso di Anne Elisabeth tra cronaca e racconto

La serie tv di Netflix si rifà al caso di cronaca, accaduto in Norvegia nell’ottobre del 2018. Vediamo allora cos’è successo nella realtà, seguendo le narrazioni date dai giornali norvegesi.

Come scrive il magazine Leisure Byte, Anne-Elisabeth Falkevik Hagen è una donna di 69 anni e moglie del magnate dell’energia e del mondo immobiliare, Tom Hagen.

Il 31 ottobre 2018 è scomparsa dalla loro casa a Lorenskog, a est di Oslo (Norvegia), e da allora non è stata più ritrovata. Quando Tom Hagen torna a casa dal lavoro, trova una lettera minacciosa su una sedia nel corridoio.

Il mittente scrive che Anne Hagen è stata rapita e che sarà rilasciata solo se la famiglia paga ai rapitori 9 milioni di euro di riscatto, trasferiti tramite Monero (una criptovaluta).

Dopo aver trovato la lettera, il marito Tom chiama la polizia e spiega la sua situazione: ha provato a telefonare alla moglie numerose volte e quando lei non ha risposto, è tornato a casa senza trovarla.

Qui ha inizio un periodo cruciale per la vicenda. Volendo tenere nascosta la vicenda ai media – e quindi ai rapitori – la polizia agisce in incognito. Sotto copertura.

In questo modo, però, la polizia non può interrogare i vicini di casa, i conoscenti della coppia e tutti coloro che hanno informazioni preziose. Non volendo rivelare il motivo delle indagini, la polizia si trova a investigare con un occhio solo.

Solo dopo una decina di settimane la vicenda viene resa nota al pubblico. Il caso sconvolge la Norvegia. E tiene con il fiato sospeso milioni di cittadini.

INDAGINI FRA DETECTIVE DILETTANTI E PROFESSIONISTI

Come spiega il magazine Leisure Byte, quando il caso è stato reso pubblico, la maggior parte dei norvegesi sono diventati investigatori dilettanti.

Tutti hanno una teoria su cosa sia realmente accaduto quando Anne Elisabeth Hagen è scomparsa dalla sua casa.

Presto il caso è diventato argomento per i veri appassionati di crimine che dibattono all’infinito sui forum online.

Quanto agli esperti, alcuni credono che Anne Elisabeth sia scappata, mentre altri hanno già concluso che Tom è colpevole dell’omicidio della moglie.

Tuttavia, il caso è ancora sotto inchiesta e rimane irrisolto fino ad oggi.

Lo scopo della serie tv di Netflix – fa notare il magazine Leisure Byte – è mostrare come noi come società reagiamo quando un caso, come la scomparsa di Lørenskog, rimane irrisolto.

Non dice cosa potrebbe essere davvero successo. Oppure chi sia il colpevole, ma si concentra sui diversi personaggi: ciascuno ha un proprio approccio al caso.

La serie di Netflix copre il periodo da ottobre 2018, ovvero il momento della sparizione, all’ottobre del 2020. Tant’è che ci si chiede se vi sarà una seconda stagione.

Come per un altro caso di cronaca – quello che ha ispirato la docuserie Making a Murderer – è possibile fare una seconda, oppure un terza serie, a una sola condizione: che vi siano fatti nuovi.

Tuttavia, fino a oggi il destino di Anne Elisabeth resta ancora sconosciuto: è stata uccisa? oppure è scappata?

Anne Elisabeth Hagen - Norvegia---
Anne Elisabeth Hagen, assieme al suo cane, in una foto privata

LA VICENDA DOPO QUATTRO ANNI

Il quotidiano norvegese, Aftenposten, come si usa fare nei giornali, un anno fa – in occasione dell’anniversario della scomparsa di Anne Elisabeth Hagen – ha pubblicato un articolo che riassume la vicenda. E che ancora oggi rappresenta il punto di vista della testata.

Ne riassumo di seguito i contenuti, trattandosi del più importante quotidiano norvegese.

Nell’ottobre del 2018 fa Anne-Elisabeth Hagen è scomparsa dalla sua casa a Lørenskog. La polizia sta ancora cercando risposte su quello che le è successo.

La polizia sta ancora indagando attivamente sull’ipotesi del rapimento, con l’obiettivo di scoprire cosa è successo ad Anne-Elisabeth Hagen il 31 ottobre 2018.

Il marito di Anne-Elisabeth Hagen, Tom Hagen, è ancora accusato di omicidio o complicità nell’omicidio.

Hagen è stato arrestato nell’aprile del 2020, ma è stato rilasciato dopo alcuni giorni di custodia. Da quando è stato arrestato, Tom Hagen ha negato ogni forma di colpevolezza.

Inoltre, un uomo sulla trentina è stato accusato di concorso in rapimento.
La polizia norvegese non dirà se i sospetti contro gli accusati si siano indeboliti o rafforzati negli ultimi tempi.

“Ogni persona accusata in un procedimento penale ha il diritto fondamentale di essere considerata innocente fino a quando non sia provato il contrario davanti a un tribunale”, commenta un esponente della polizia norvegese.

“Pertanto non desideriamo fornire commenti continui su come valutiamo i motivi di sospetto”, sottolinea l’investigatore.

Il miliardario Tom Hagen continua a negare qualsiasi coinvolgimento nella scomparsa della moglie.

L’analisi della serie televisiva

La serie tv Scomparsa a Lørenskog ha un approccio interessante, là dove ci presenta l’evoluzione del caso – e il ripensarlo nei suoi momenti importanti – da diversi punti di vista.

Il raccontare un fatto complesso, intrigante e dai tanti lati oscuri è di per sé carico di fascino. Assumere differenti angolazioni nel racconto, lo arricchisce sia sul piano narrativo; che su quello del pensiero critico.

La polizia vede la vicenda in un modo: dapprima un rapimento, e poi il sospetto che si tratti di una messinscena del marito della donna scomparsa. Alla fine ricorre a tutti gli strumenti a disposizione per capire cosa può essere accaduto.

La polizia esprime sia le sue capacità investigative; sia i suoi limiti di strategia e operatività; e sia il suo lato arrogante che arriva a privare il sospettato della propria libertà.

I giornalisti sono coinvolti dalla notorietà della famiglia – il ricco finanziere Hagen – e sanno che la scomparsa di una donna è di per sé una notizia.

CASO GIUDIZIARIO DAGLI ESITI IMPREVEDIBILI

Se poi la famiglia coinvolta è ricca, la notiziabilità del fatto aumenta. Se poi vi sono sospetti sul marito, fino all’arresto, allora l’evento esplode in un caso giudiziario dagli esiti imprevedibili.

Uno dei più potenti fattori di notiziabilità di un caso di cronaca, infatti, è dato dal fatto che si presti a un’evoluzione.

Quanto agli avvocati, è un mondo che già di per sé alimenta – da sempre – la curiosità e l’interesse del pubblico.

Da un lato, ci sollecitano con la loro posizione di contrasto alle tesi della polizia e della magistratura inquirente; dall’altro ci si mostrano nel loro lusso (quando sono ricchi); o nella loro disperazione e capacità di battaglia all’ultimo round (quando sono dei disgraziati).

Polizia, media e giurisprudenza: tre punti di vista; tre mondi; tre modi diversi di leggere la realtà.

COSA CI DÀ IL PUNTO DI VISTA CRITICO

Grazie a questa visione polifonica possiamo adottare un punto di vista critico. Possiamo immergerci prima nel mondo della polizia, poi in quello dei giornali e infine in quello degli avvocati.

Come spettatori, ci troviamo in una sorta di dialettica delle appartenenze che ci arricchisce:

  • ci forma a una mente critica, pronta ad avere riserve sulla verità annunciata da una parte soltanto;
  • ci forma a un sano scetticismo di fronte alle verità date come di per sé evidenti;
  • ci rende coscienti della complessità del reale e delle relazioni che costituiscono una comunità

L’insegnamento che possiamo trarne è che la verità sostanziale dei fatti non è sempre attingibile. Tuttavia è alla verità che dobbiamo mirare.

In alcune situazioni, raggiungere la metà della verità è impossibile; tuttavia possiamo incamminarci nella giusta direzione.

Come spettatori, a nostra volta, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità. Non siamo poliziotti; non siamo giornalisti; non siamo avvocati.

Siamo cittadini: e questa è la posizione privilegiata – forse anche la più nobile – da cui possiamo guardare la cronaca nera e giudiziaria.

Dalla nostra posizione nobile possiamo analizzare quanto è accaduto, perché come cittadini – attraverso i nostri rappresentanti nel sistema giudiziario – siamo chiamati a giudicare. Lo facciamo in modo indiretto, ma non per questo meno importante.

Il nostro è il giudizio della pubblica opinione. Più il giudizio è informato, meditato e critico, migliore è la sua formulazione. E migliore è la comunità in cui vive la pubblica opinione.

Scomparsa a Lørenskog e Caso Sutter-Bozano

Già il titolo della serie tv mi ha indotto a guardarla su Netflix ,per capire quali analogie vi fossero con la vicenda giudiziaria di Milena Sutter e Lorenzo Bozano.

A Genova, il 6 maggio 1971, spariva una ragazzina di 13 anni, Milena Sutter, all’uscita della Scuola Svizzera, dove frequentava la scuola media. Una studentessa figlia di uno dei più ricchi industriali di Genova, Arturo Sutter.

Da subito l’ipotesi del rapimento è stata la prima – e unica – ad essere abbracciata.

Poi è venuto il doppio sospetto verso Lorenzo Bozano, 25 anni, che è stato condannato nel 1975 all’ergastolo per aver rapito e ucciso per denaro Milena. Ma che ha portato con sé il pregiudizio di essere stato un molestatore della ragazzina; e di aver approfittato di lei.

Quali punti in comune fra la vicenda norvegese raccontata nella serie tv di Netflix e il Caso Sutter Bozano? Vediamoli. Sono parecchi.

È incredibile come si assomiglino due eventi accaduti a quasi cinquant’anni e a oltre 2 mila km di distanza. Due mondi culturali, giudiziari e mediatici assai diversi eppure con molti punti di contatto.

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CASO NORVEGESE E VICENDA SUTTER-BOZANO

Sono questi i punti di contatto che ritengo più significativi tra le due vicende:

  • il finto rapimento;
  • la figura della vittima;
  • la polizia spiazzata (e incapace)

E poi, ancora:

  • il ruolo dei giornali;
  • il ragionevole dubbio;
  • il piano machiavellico

Il finto rapimento è evidente nel caso di Anne Elisabeth Hagen. Com’è evidente, a mente fredda, il fatto che Milena Sutter non è stata rapita da Lorenzo Bozano.

Un rapitore è quello che David Canter – padre della Psicologia Investigativa, il più grande criminal profiler al mondo – chiama il professional.

Al professionista interessa un solo obiettivo: il vantaggio materiale. Della vittima non gli importa nulla; tanto meno ucciderla. La vittima è lo strumento, il mezzo attraverso cui arriva a ottenere un guadagno.

Nel caso di un rapimento, il guadagno è dato dai soldi: che siano le vecchie lire del caso di Milena Sutter; piuttosto che i bitcoin di Anne Elisabeth Hagen.

Né in Norvegia, né a Genova assistiamo a un comportamento da professional: il rapimento non viene gestito in modo da portare al guadagno. Non si lavora per ottenere il riscatto.

A cosa serve allora il rapimento? A depistare dal crimine principale. È una messinscena, un’azione di staging: sul palcoscenico ti allestisco un dramma che ti distoglie dal fare attenzione a ciò che è davvero accaduto.

Nel caso di Milena Sutter, la polizia è stata indotta a concentrarsi su Lorenzo Bozano – un rapitore peraltro anomalo, dato che non si è mai nascosto nei suoi spostamenti – anziché indagare sull’ambiente della vittima.

Nel caso di Anne Elisabeth Hagen, la polizia ha perso settimane preziose senza poter interrogare eventuali testimoni. Il tutto per rispettare il diktat dei presunti rapitori al marito della vittima: nessun contatto con la polizia.

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LA FIGURA DELLA VITTIMA

La polizia ha approfondito, seppure in ritardo, la figura di Anne Elisabeth Hagen. Ha scoperto così che non era una moglie felice. E che il miliardario marito, Tom Hagen, non era quel compagno di vita che sembrava.

Lei voleva divorziare. O comunque ci aveva pensato. Si era forse innamorata, tempo prima di un altro uomo.

Insomma, sono usciti – con grave ritardo, peraltro – aspetti della vittima che contraddicono il quadretto familiare idilliaco che il miliardario Tom Hagen ha voluto accreditare.

Conoscere la vittima – ci insegna il Criminal Profiling, nel capitolo della vittimologia – è fondamentale per capire chi è l’offender. Eppure in molti casi non si va a fondo.

Per sbarcare su Marte – come fece con la Luna – la Nasa ha studiato il pianeta, le sue caratteristiche, la destinazione del viaggio. Altrimenti, come potrebbe mai mettere a punto i mezzi per arrivarci?

Lo stesso vale per l’offender. Studia la vittima – in ore e giorni di analisi oppure in pochi secondi di azione – e agisce di conseguenza. Ecco che per capire l’offender, come si muove e quali azioni compie, dobbiamo capire la vittima.

Prima delle solite monate (vocabolo veneto che sta per idiozie) sul movente, sarebbe meglio spendersi nello studiare la vittima, la scena del crimine e i dettagli di tutto quanto è successo.

Nel caso di Milena Sutter non si è approfondita né la vittima, né il suo ambiente. O, almeno, nulla traspare di una seria azione investigativa in questo senso dalle carte processuali; e dai resoconti dei giornali.

Crimine, giustizia, panico morale e media - blog Biondino della Spider Rossa - ProsMedia - Agenzia Corte&Media - foto 8-min

LA POLIZIA SPIAZZATA

Qui occorre fare una precisazione importante. Nella vicenda di Anne Elisabeth Hagen non abbiamo alcuna compromissione degli inquirenti con strani giri di potere, associazioni segrete e frequentazioni della massoneria deviata.

Nel Caso Sutter-Bozano abbiamo un vicecapo della Squadra Mobile, Arrigo Molionari, massone piduista e associato a Gladio, organizzazione fuori della Costituzione.

È lo stesso Molinari che inquina la scena del crimine nella morte (che non è suicidio) del cantautore Luigi Tenco.

Chiarisco subito che Arrigo Molinari non va confuso con la Questura di Genova. Tant’è che nel 1971, a seguire il Caso Sutter, c’è un valente e onesto investigatore come Angelo Costa, un cattolico che aveva fatto la Resistenza al nazifascismo.

Però non possiamo ignorare che Molinari può aver combinato – come fece a Sanremo con Tenco – qualcosa che non andava fatto nel caso genovese di Milena Sutter e Lorenzo Bozano.

Detto questo, la polizia norvegese resta immobile – non per colpa sua – di fronte al sequestro di Anne Elisabeth Hagen.

Le condizioni dettate dai rapitori al marito Tom, sul non parlare con la polizia, vengono rispettate. E settimane se ne vanno sprecate senza ascoltare testimoni e svolgere indagini adeguate.

Nel caso di Milena Sutter, l’aver sposato la tesi del rapimento per motivi di denaro – che a mio parere non ha fondamento alcuno – e l‘aver puntato su Lorenzo Bozano… hanno fatto perdere le altre piste.

Gli inquirenti, mentendo, hanno dichiarato – anche al processo a Bozano, nel 1973 – che “sono state battute tutte le piste”. Ne hanno pure indicato il numero 16.

Non è vero: le piste importanti, quelle vere, sono state ignorate oppure, se battute, sono state poi tralasciate in sede giudiziaria.

Nel libro Il Biondino della Spider Rossa, che ho scritto con Laura Baccaro, indico la pista di “Claudio My Love”, di cui parla Milena nel suo diario. È solo una delle piste: ve ne erano altre – e assai più interessanti – da considerare.

Erano piste inconcludenti e l’unico colpevole doveva essere Lorenzo Bozano? Può essere.

Tuttavia, come cittadino, oltre che come studioso, non mi lascia tranquillo una polizia e una magistratura che non indaga nelle direzioni scomode. Quelle dei potenti, quelle della gente perbene, quella delle ipotesi scomode.

Solo nelle dittature – comunista, islamista e nazifascista – si percorre una pista investigativa soltanto, di comodo.

Wanna Marchi - Telecamere di una televisione riprendono un evento - Photo 136156412 © Roman Rvachov Dreamstime

IL RUOLO DEI GIORNALI

La serie televisiva Scomparsa a Lørenskog tratta in ben due episodi – il secondo e il quarto – il tema del ruolo dei media nel rappresentare il crimine.

I nodi fondamentali su questo punto sono tre:

  • il modo di interpretare il mestiere di giornalista di cronaca nera;
  • il rapporto fra giornalisti e polizia;
  • il ruolo del giornalismo e dei media nei rapporti con il pubblico

La serie su Netflix non fa sconto alcuno ai giornalisti di nera che sono appiattiti sulle versioni ufficiali date dalla polizia.

Quanto al rapporto con la polizia, come evidenzia serie tv Scomparsa a Lørenskog sono molti i giornalisti asserviti alle versioni ufficiali di polizia e magistratura. 

La serie tv sulla vicenda di Anne Elisabeth e del marito Tom sembra ricalcata – nella parte che riguarda i giornalisti e il loro ruolo – su quella di Milena Sutter e Lorenzo Bozano.

Tranne qualche eccezione, rimasta in silenzio, tutti i cronisti genovesi e quasi tutti i grandi giornalisti italiani – con l’eccezione di Giorgio Bocca e di Enzo Biagi – si sono schierati per la colpevolezza di Lorenzo Bozano.

Tutti i giornalisti genovesi che hanno scritto sui quotidiani dove Milena Sutter è sparita si sono appiattiti – e ancora oggi si appiattiscono – sulla versione di polizia e magistratura.

Tant’è che un cialtrone di giornalista ha definito “killer” Lorenzo Bozano, il 30 giugno 2021, nel dare la notizia della sua morte. Il problema è che c’è un killer quando c’è un omicidio oltre ogni ragionevole dubbio.

Il ragionevole dubbio i cronisti genovesi – di ieri e molti di oggi – non sanno neppure dove stia di casa. E questo vuol dire abdicare al ruolo di indipendenza e di mediazione tra fonti e pubblico che spetta a noi giornalisti.

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IL RAGIONEVOLE DUBBIO

In uno degli episodi sui giornalisti – il quarto – si solleva il problema dell’indipendenza dei media dalle fonti di polizia e magistratura.

E si sottolinea, da parte di una cronista donna che scrive di nera, il diritto a pensarla diversamente rispetto agli investigatori.

Questo è il ruolo del giornalista di giudiziaria: coltivare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di un sospettato o di un imputato. L’evitare di appiattirsi sulle accuse, senza formulare un proprio giudizio.

Il ragionevole dubbio sulle responsabilità del miliardiario Tom Hagen, nella sparizione della moglie Anne Elisabeth, è quanto di più saggio possa esservi.

Di qui le sacrosante critiche – che non troviamo nelle serie tv poliziesche italiane – a chi vuole sposare a tutti i costi la posizione della polizia. E a chi sui media, attraverso foto video e titoli, presenta il sospettato come se fosse colpevole.

Un magistrale caso di criminalizzazione del sospettato – prima che sia ancora processato – lo abbiamo con Lorenzo Bozano, nel 1971, nella vicenda di Milena Sutter di cui tratto in una sezione di questo blog.

IL PIANO MACHIAVELLICO

Ci sono due piani machiavellici, nel caso di Anne Elisabeth Hagen: quello dei rapitori e quello della polizia.

Ci sono due piani machiavellici anche nel caso di Milena Sutter e di Lorenzo Bozano: quello di polizia, magistratura e avvocati di Parte Civile e il piano machiavellico di alcuni giornalisti genovesi.

Per “piano machiavellico” intendo il disegno che mira a incastrare un certo sospettato: a farlo condannare senza mirare alla verità sostanziale dei fatti, a ciò che è accaduto, alle sue comprovate responsabilità.

Per piano machiavellico intendo anche la rinuncia alla comunicazione autentica. Ovvero quella comunicazione che ha a cuore la verità, il rispetto delle persone e l’osservanza delle regole.

Nel caso di Tom Hagen, marito sospettato, anziché approfondire piste complesse – come il giro di denaro con le criptovalute – la polizia norvegese mira a far passare per colpevole un uomo su cui non ha prove. Ma solo indizi costruiti a tavolino sulla base di supposizioni.

Di machiavellico c’è anche l’azione e il disegno dei rapitori: il fatto che chiedano un riscatto e poi spariscano, uccidendo di sicuro la donna sequestrata, significa che tutta la loro comunicazione aveva il solo intento di confondere le acque.

Perché, allora, hanno agito in quel modo? Le motivazioni possono essere molte. Ma, come accade con il movente, noi potremmo solo baloccarci con la supposizioni; perdendo di vista i fatti.

Quanto a Lorenzo Bozano, il piano di polizia magistratura e avvocati era quello di puntare su di lui per risolvere il caso. Ed evitare di impegnarsi su diversi fronti, altrimenti avremmo riscontro di altre indagini su piste differenti.

Non si è studiata la vittima. Si è ignorato l’ambiente di Milena Sutter. Ci si è concentrati su una sola persona – il “biondino della spider rossa” che biondo non era – stressando indizi, forzando testimonianze e costruendo qualche “prova” a tavolino.

Da parte loro, il piano machiavellico dei giornalisti – mi riferisco a chi aveva ruoli di responsabilità – era quello di assecondare e servire polizia, magistratura e avvocati. Con uno scopo: trarne profitto personale; e farsi funzionali all’élite del potere genovese.

Sono temi forti, quelli legati al Potere e al ruolo dei giornali suoi servi. Se vi faccio cenno, per la vicenda di Lorenzo Bozano e Milena Sutter, è perché ho buoni riscontri per farlo.

Anna Politkovskaja - giornalista - Russia - Photo 31850414 Bewuel Dreamstime

Nonostante qualche storcere di naso dei critici televisivi, trovo che Scomparsa a Lørenskog sia una serie televisiva, disponibile su Netflix, che merita di essere vista.

Una serie televisiva è certo intrattenimento. È di sicuro, se ben fatta, un affresco di una certa epoca, un certo caso e un certo ambiente. 

Una serie televisiva – come un film, un romanzo, un libro – è, però, anche l’occasione per riflettere sui problemi e i nodi di una comunità.

In questo senso il mondo crime ci interessa: come espressione dei drammi della nostra vita di cittadini. E da cittadini ci deve interessare come vengono amministrate le indagini e i processi; come agiscono gli avvocati; e come i media rappresentano il crimine e la giustizia.

In questo senso, la serie tv Scomparsa a Lørenskog è l’invito a guardare il crimine, la giustizia e i media da più angolazioni. E di farlo con occhio critico; non da sudditi.

Maurizio Corte
corte.media

Trailer della serie tv Scomparsa a Lørenskog

Scomparsa a Lørenskog. La spiegazione del caso (in inglese)

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