Ti piacciono le storie ufficiali? O anche tu ami il dissenso?
Notizie e fiction condizionano le nostre idee sul crimine, sulla giustizia e sul carcere.
Come gli autori di reato sono rappresentati da tv e giornali – sia con il giornalismo che con la fiction – ha un effetto importante su spettatori e lettori.
La programmazione delle narrazioni svolge un ruolo nel plasmare la comprensione del crimine da parte del pubblico. E nel sostenere anche l’azione di polizia e giudiziaria contro il crimine.
Ad affermarlo è un articolo scientifico pubblicato sulla rivista Criminology (anno 2018, volume 56), scritto da Andrew J. Baranauskas e Kevin M. Drakulich, della School of Criminology and Criminal Justice della Northearstern University di Boston
Possiamo vederlo con l’evasione fiscale. Anche là dov’è un reato con rilevanza penale, non registriamo – al contrario di altri reati – una rappresentazione mediatica allarmistica.
Questo si accompagna a un dato di fatto: l’evasione fiscale, dalla più lieve alla più pesante, non è in alcun modo considerata un fatto di criminalità.
Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti, chi evade il fisco, anche quando va in carcere, in Italia è visto più come un disonesto (quando gli va male) piuttosto che come un delinquente.
Mass media, nuovi media e criminalità
Quando parliamo di media, ci riferiamo – stando agli studi svolti – soprattutto ai mass media tradizionali.
C’è invece ancora molto da esplorare sul ruolo di Internet e di altre forme di “nuovi media” — come i social media (Facebook, Twitter, ecc.), i videoclip e i podcast — nel dare forma alla comprensione della criminalità e della politica giudiziaria.
Come sottolinea l’articolo di Andrew J. Baranauskas e Kevin M. Drakulich, non vi è dubbio, sul fronte delle narrazioni di fantasia, che la visione di fiction televisive sul crimine ha un effetto sulle percezioni delle tendenze del crimine.
Le persone non mettono in discussione le informazioni sulla criminalità che sanno non essere affidabili. E tendono a interpretarle come reali quando valutano le tendenze della criminalità.
Questo è importante da considerare data l’ascesa di siti di “notizie false” su Internet che affermano di essere fattuali, ma riportano eventi che non si sono verificati.
La natura fittizia delle informazioni presentate nei media non è potenzialmente una barriera per influenzare le percezioni del crimine.
Questo vuol dire che le fake news hanno comunque facile presa sul pubblico.
La rappresentazione del carcere e dei detenuti
Il tema di come i media influenzino la percezione dei crimine e delle politiche criminali viene trattato anche in un articolo scientifico di Paul Mason.
L’articolo si intitola: Misinformation, myth and distortion. How the press construct imprisonment in Britain. È pubblicato dalla rivista Journalism Studies (2007, volume 8).
Quattro storie, rappresentate dai media e studiate nella ricerca, “rendono i prigionieri ad alto rischio e un pericolo per la società mentre rappresentano la prigione come una facile forma di punizione“.
La dipendenza dei giornalisti da fonti d’élite – osserva lo studioso Mason – accresce la funzione legittimante dei giornali nel sostenere l’uso del carcere.
Vi è un rapporto tra carta stampata, opinione pubblica e politica del governo. Di modo che le narrazioni dei media, dipendenti dalle fonti ufficiali, giustificano le scelte del governo in tema di carcere e di punizione.
IL CASO DELL’ANARCHICO COSPITO
Lo possiamo vedere, anche in Italia, nel caso dell’anarchico Alfredo Cospito, condannato al carcere duro (il famigerato “41 bis”).
Al di là delle responsabilità penali di Cospito, che qui non voglio in alcun modo mettere in discussione, vi è un dato di fatto: i giornali non tematizzano in alcun modo, né considerano un problema, il fatto che l’ergastolo e il 42bis sono due istituti contrari alla Costituzione italiana.
Non vi è infatti rieducazione e reinserimento nella società, né con l’ergastolo e tanto meno con il carcere duro.
Come recita l’articolo 27 della Costituzione, “la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.
ERGASTOLO COME MORTE CIVILE
L’ergastolo è nella stessa sua essenza una forma di morte civile. Al condannato viene detto: “Tu non esci più di galera”.
Diverso sarebbe se un imputato fosse condannato a 80 anni di carcere. È chiaro che è impossibile passare 80 anni in prigione e non morire. Tuttavia non si tratterebbe di una pena senza fine (il “fine pena mai”).
La Corte Costituzionale, di fronte all’eccezione di costituzionalità dell’ergastolo, si è salvata dicendo che grazie ai premi per buona condotta, l’ergastolo di fatto può essere ridotto a una pena con un certo termine.
Questa considerazione non cambia, comunque, i termini del problema: sempre di “fine pena mai”, di condanna alla galera a vita si tratta.
I MEDIA E L’IDEA DI PENA SENZA RIEDUCAZIONE
Qui si innesta il ruolo dei media. Sono i miei colleghi e colleghe giornalisti ad accettare, senza sollevare il problema, l’idea giudiziaria che si possa condannare una persona al carcere a vita senza prevedere, invece, un termine entro il quale farlo reinserire nella società.
È responsabilità dei mezzi di comunicazione di massa – con i social media a fare da rinforzo – se molti cittadini invocano l’ergastolo come pena che non ammette reinserimento. In questo, violando la Costituzione.
Per non parlare di figure di pubblici ministeri per i quali l’ergastolo è addirittura una pena troppo lieve. Figure che, violando la Costituzione, meriterebbero una severa sanzione.
MAGISTRATI E COSTITUZIONE
Il pubblico ministero, al primo processo a Lorenzo Bozano per la sparizione e morte di Milena Sutter – evento giudiziario a cui è dedicata una sezione di questo blog – arrivò a dire, durante la requisitoria nel 1973 davanti alla Corte d’Assise di Genova, che Bozano “meritava una vita di sofferenze”, avendo egli causato sofferenza con l’omicidio della ragazzina.
Oggi sappiamo che la requisitoria del pubblico ministero non aveva fondamento scientifico. E che la richiesta di ergastolo era infondata.
Il tema della rappresentazione del crimine e della giustizia nei media ci tocca da vicino. E condiziona, nell’interesse delle élite di potere, il nostro modo di vedere gli autori di reato, il carcere e la politica dello Stato in ambito giudiziario.
Domanda: come mai le élite – ladre, sfruttatrici, criminali – sono sempre intoccabili, mentre i ladri, sfruttatori e criminali di livello più basso sono messi alla gogna mediatica?
La costruzione del “nemico”
Sia l’informazione giornalistica che la narrazione di finzione mettono in scena il conflitto tra il protagonista e l’antagonista.
Nelle notizie abbiamo, nel caso di un crimine, un certo evento criminoso, un’azione illegale e un sospettato. A combattere dalla parte della legge troviamo invece la polizia, i magistrati inquirenti e i giudici delle Corti d’Assise.
Nella scrittura creativa il racconto viene reso accattivante e in movimento grazie al viaggio di un protagonista – colui o colei che è portato ad agire – che si misura con gli ostacoli; e che si trova contrastato su tutti i fronti da un antagonista.
La rappresentazione e la costruzione dell’antagonista, visto come un “nemico”, sono quindi costitutive di tutti i racconti. Siano essi racconti giornalistici piuttosto che narrazioni di finzione.
Il conflitto, quindi, è il fondamento di ogni racconto avvincente. È un ingrediente indispensabile per mettere in scena le relazioni fra le persone.
Il rischio, però, è che vi sia in ogni occasione un’esasperazione dei conflitti. Giusto per fare audience, per acquisire consenso oppure per imporre le proprie idee.
INFLUENZA SULL’AUDIENCE E INTERESSI DELLE ÉLITE
La “costruzione del nemico”, la criminalizzazione del “diverso” e l’esasperazione delle differenze sono gli esiti inevitabili quando il conflitto viene strumentalizzato per tentare di influenzare l’audience.
L’insistere dei media sul conflitto rende ancor più efficace il condizionamento delle idee che ci forniamo sul crimine, sulla giustizia e mondo del carcere.
Ne è una dimostrazione il caso di Lorenzo Bozano, fatto passare da certe carte giudiziarie e dai media come un “deviato sessuale”. Niente di più infondato, come dimostra il lavoro di ricerca su Bozano e di perizia psico-criminologica svolto dalla criminologa Laura Baccaro.
Di qui l’importanza – quando parliamo e ci occupiamo di crimine, giustizia e mondo del carcere – di avere consapevolezza del ruolo dei media.
Di qui anche l’importanza di decifrare in anticipo i tentativi dei media di influenzarci, andando alla ricerca della verità sostanziale dei fatti, in modo da non farci sopraffare dalle costruzioni mediatiche senza fondamento.
Il tutto con un occhio di riguardo a un passaggio, importantissimo, della rappresentazione del “nemico” nei media: il fatto che gli interessi, i valori e le posizioni di forza delle élite economiche, politiche e culturali non sono mai criminalizzati, mai messi in discussione, mai criticati. Né a livello individuale e neppure a livello di gruppo.
Di qui il dato di fatto che – per dirla con lo studioso Denis McQuail – il sistema dei media tende a legittimare e sostenere il sistema economico, politico e culturale dominante.
Ecco, allora, che la “costruzione del nemico”, la rappresentazione della persona “imputata” in un processo, il modo di raccontare il carcere da parte dei media sono funzionali agli interessi dei potenti. Mentre a godere di cattiva stampa sono soprattutto, se non in esclusiva, le persone che contano meno nella scala sociale.
Maurizio Corte
corte.media
Ti piacciono le storie ufficiali? O anche tu ami il dissenso?
Sono un giornalista, scrittore e media analyst irriverente. Insegno Comunicazione Interculturale, Giornalismo e Multimedialità all’Università di Verona. Ti aiuto a capire i media e la comunicazione per poterli usare con efficacia e profitto. Come? Con il pensiero critico, la comunicazione autentica e l’approccio umanistico applicati al mondo del crimine e della giustizia. Iscriviti alla newsletter Crime Window & Media. Per contattarmi: direttore@ilbiondino.org