Conservato per 50 anni, il DNA potrebbe riaprire il caso dell’albergatrice milanese.
16 febbraio 1970. Due bicchieri di liquore aspettano sul tavolo accanto a un vassoio di caramelle Sperlari. Adele Margherita Dossena ha appena accolto il suo assassino in casa.
Poche ore dopo, in via Copernico 18 (Milano), una lunga scia di sangue si allunga tra i due divani del salotto. Il corpo della 54enne giace immobile, trafitto da coltellate spietate.
Sul comodino, intatti, brillano ancora due oggetti di valore: non è stata una rapina.
La scena racconta inoltre di un incontro che si è trasformato in tragedia. Un volto familiare che Adele conosceva: un uomo che l’ha colpita alle spalle con ferocia calcolata.
Senza testimoni né prove concrete, il caso finisce tuttavia archiviato dopo appena dodici mesi.
Eppure un dettaglio chiave è sempre rimasto lì, ignorato per mezzo secolo: i frammenti di un telefono nero.
Secondo le nuove indagini, uno di quei pezzi nasconde infatti il DNA dell’assassino.
Cinquant’anni dopo, le nuove tecnologie potrebbero quindi restituire un nome. E con esso, una verità sconvolgente: Adele Margherita Dossena è stata vittima del Mostro di Milano?
Seguiamo allora le tracce di questo caso di cronaca nera con il canale “Crimini Dimenticati”, per svelare non solo un omicidio irrisolto, ma anche i segreti di una Milano che non esiste più.
“CRIMINI DIMENTICATI” E IRRISOLTI
«C’è chi li chiama cold case. Per noi sono semplicemente crimini dimenticati».
Con queste parole, Simona Cascio e Marcello Randazzo aprono ogni episodio del loro canale YouTube “Crimini Dimenticati“.
Professionisti del mondo televisivo, Simona e Marcello danno voce a storie lasciate ai margini, spesso ignorate dai media mainstream.
La loro missione è infatti chiara: ricostruire frammenti di vite sospese e riportare al centro le vittime e le loro famiglie.
Con rigore e rispetto, il team ricostruisce ogni caso con documenti, testimonianze e analisi di esperti, dando prova di quanto sia importante rispolverare i fascicoli del passato.
Tra i tanti racconti affrontati, anche l’omicidio di Antonella di Veroli, riaperto a luglio 2025.
Adele Margherita Dossena: il cold case di via Copernico
Separata, madre di due figlie — Agostina e Armida — nel 1970 Adele Margherita Dossena gestisce otto appartamenti, spesso affittati a giovani studenti.
In via Copernico 18, dietro la Stazione Centrale di Milano, la donna dirige l’attività con fermezza e dedizione.
Allo stesso tempo, però, è anche una padrona di casa affettuosa.
La signora Dossena non perde infatti occasione di invitare ospiti, per passare una serata intorno a uno dei pochi televisori in bianco e nero dell’epoca.
Anche l’ultimo giorno della sua vita Adele organizza una serata insieme ad alcuni ragazzi della pensione. Un appuntamento a cui però non parteciperà.
Poco prima dell’orario stabilito, la vita della 54enne verrà infatti spezzata con estrema crudeltà.
IL GIORNO DELL’OMICIDIO DOSSENA
Il 16 febbraio 1970 è un freddo lunedì invernale a Milano.
Alla porta di Adele Margherita Dossena, qualcuno bussa. A entrare è il suo assassino.
Poco dopo, alcuni ospiti della pensione, tornando in via Copernico, trovano gli accessi di casa chiusi dall’interno: un cattivo presagio.
Due di loro riescono comunque a entrare e a infilarsi in punta di piedi nell’appartamento personale di Adele.
La scena che si presenta davanti ai loro occhi è da incubo.
Nella stanza il corpo della signora Dossena è riverso tra due poltrone in un lago di sangue. La donna è stata uccisa.
UN CASO IRRISOLTO
Gli inquirenti scandagliano la cerchia di conoscenti della vittima, cercando indizi tra le ultime persone che l’hanno vista in vita.
Le piste si esauriscono però in fretta.
Anche se l’appartamento è stato messo a soqquadro, infatti, non si tratta di una rapina: un anello e un orologio sono ancora lì, abbandonati sul comodino.
I due bicchieri da liquore suggeriscono inoltre un incontro amichevole, forse pianificato. L’assassino non era quindi uno sconosciuto.
Si pensa allora a un ospite con debiti. Tuttavia gli interrogatori chiudono in fretta anche questa pista.
Nessuno infine ha visto né sentito nulla. Nemmeno un urlo soffocato o un rumore sospetto.
Così, dopo un anno, le indagini vengono chiuse.
TERRORISMO ANNI ’70: SFONDO DEL COLD CASE
Prima ancora dell’archiviazione, le indagini si scontrano con molte difficoltà, insinuate tra i vicoli del capoluogo meneghino.
Quella del delitto è infatti la Milano di Piazza Fontana, delle tensioni politiche, delle proteste studentesche e dei sequestri di persona — tra il 1969 e il 1980 in Lombardia se ne contano 158.
In questo contesto, l’omicidio di una donna non fa notizia. E nemmeno quella di un esercito di donne reclutate una alla volta dalla notte, nell’indifferenza della città.
Inoltre, mentre negli Stati Uniti si parla già di Zodiac, in Italia non si conosce ancora la parola “serial killer“.
E così, i numerosi femminicidi vengono archiviati come “normale criminalità”.
Oggi, tuttavia, gli esperti hanno raccolto prove per un’altra raccapricciante ipotesi.
Indizi che svelano un’altra verità: in quegli anni qualcuno colpiva con un’arma e uno schema simile.
Un modus operandi passato inosservato per mezzo secolo.
Verso la riapertura: nuove prove e ipotesi sul cold case Dossena
Molti anni dopo l’omicidio, l’Istituto NeuroIntelligence — specializzato in patologia forense e criminologia clinica — svela alcuni segreti sull’omicidio Dossena.
Lo studio scientifico trova infatti un collegamento tra il delitto di Via Copernico e almeno sei omicidi irrisolti avvenuti a Milano tra il 1963 e il 1976.
Con queste prove in mano emerge quindi un’ipotesi che circolava da decenni: che i sette delitti siano stati commessi dalla stessa mano. Quella di un serial killer.
Ad affiancare queste nuove indagini ci sono anche Agostina Belli — figlia della vittima e nota attrice — e il suo avvocato Valter Biscotti — uno dei massimi esperti italiani in cold case.
E proprio quando tutto sembrava destinato a bloccarsi, è arrivata una svolta inattesa.
IL TELEFONO NERO: LA CHIAVE MANCANTE
A guidare la rilettura del cold case è il criminologo Franco Posa, direttore dell’Istituto NeuroIntelligence.
Per affrontare il caso, Posa ha applicato un protocollo di neuroscienza forense: l’autopsia psicologica, una tecnica investigativa che ricostruisce la scena del crimine attraverso il racconto delle persone coinvolte o vicine all’omicidio.
Rielaborando questa tecnica con il metodo PASIC e grazie alle informazioni di Agostina Belli, il criminologo individua così un dettaglio rimasto sepolto per decenni: un telefono nero.
Fino ad allora ignorato, l’apparecchio si trovava sul tappeto accanto al corpo della vittima, con il filo spezzato e un angolo frantumato.
È proprio da questo elemento trascurato, infine, che il team di NeuroIntelligence decide di ripensare la scena del crimine.
LA NUOVA SCENA DEL CRIMINE
Secondo la nuova ricostruzione, Adele Margherita Dossena avrebbe quindi tentato di chiedere aiuto con il telefono nero. Senza riuscirci.
L’assassino infatti glielo strappa dalle mani, trascinandolo via con forza e spezzandone il cavo.
Durante la colluttazione, inoltre, l’apparecchio cade a terra, frantumandosi in un angolo. Ed è qui che si verifica il vero colpo di scena.
Uno dei frammenti si stacca e finisce nella pozza di sangue accanto al corpo. All’epoca nessuno ci fa caso. Nessuno, tranne Agostina Belli.
Ignara dell’importanza di quel gesto, la figlia della vittima raccoglie e conserva il pezzo e, così facendo, salva una prova che oggi potrebbe riaprire il caso.
IL DNA: LA FIRMA DI UN ASSASSINO SERIALE?
Riscritta la scena del crimine, Posa recupera il materiale tenuto al sicuro da Agostina Belli.
Il criminologo invia quindi le prove ai laboratori dell’Università di Tor Vergata, diretti dal genetista Emiliano Giardina — uno degli autori della svolta sul caso Gambirasio.
Il risultato dell’analisi scientifica sul pezzo di telefono è alla fine sorprendente: per oltre cinquant’anni, si sono conservati sangue, capelli e altre sostanze biologiche.
Una traccia di DNA. Forse, la firma dell’assassino di Adele Margherita Dossena — e non solo.
CASO CATTOLICA: IL PRIMO COLLEGAMENTO
Diciassette mesi dopo il caso di via Copernico, Milano viene scossa da uno dei suoi delitti più crudeli. Un omicidio che potrebbe essere collegato a quello dell’albergatrice.
È il 26 luglio 1971, quando la ventiseienne Simonetta Ferrero entra nell’Università Cattolica per rinfrescarsi dalla calura estiva.
Lì, però, Simonetta incontra un destino inaspettato: un assassino, che le sferra una quarantina di coltellate, uccidendola a sangue freddo.
Il cold case diventa così uno dei casi irrisolti più noti e chiacchierati degli anni Settanta.
Tra infinite ipotesi, una ha però tormentato per decenni i giornalisti della città.
Una voce inquietante che ha insinuato alla fine un dubbio assordante: l’omicidio Ferrero è opera del presunto Mostro di Milano?
LA NUOVA IPOTESI: IL SERIAL KILLER
Negli anni il Mostro di Milano entra quindi a pieno titolo nei fascicoli dell’omicidio della Cattolica e di via Copernico.
A dare ulteriore consistenza a questa ipotesi è ancora una volta il criminologo Franco Posa.
Utilizzando Dragnet — un software di geo-localizzazione della polizia newyorkese — Posa analizza una quantità enorme di dati: orari, luoghi, profili delle vittime, tipologie di aggressione, incidenti e linee dei mezzi pubblici.
Il risultato di questo lavoro informatico è rilevante.
Gli elementi raccolti delineano infatti un triangolo di sangue nel cuore della città. Il raggio d’azione del presunto Killer di Milano.
Via Filzi, piazza Cordusio e via Pace delimiterebbero quindi l’area operativa dell’assassino seriale, proprio nel cuore della città.
Un triangolo geografico in cui, tra il 1963 e il 1976, si registrano almeno sette omicidi molto simili:
- Olimpia Drusin, 45 anni, prostituta, uccisa nel 1963 nel quartiere Greco.
- Elisa Casarotto, 29 anni, assassinata con un pugnale nel 1964 a Lacchiarella.
- Salvina Rota, 22 anni, cassiera, seviziata e strangolata nel 1971 in via Tonale.
- Simonetta Ferrero, 26 anni, accoltellata nel bagno della Cattolica nel 1971.
- Valentina Masneri, 25 anni, stilista, colpita alle spalle nel 1975.
- Tiziana Moscadelli, 20 anni, prostituta, uccisa nel 1976 tra Cadorna e Parco Sempione.
Infine, Adele Margherita Dossena uccisa nel 1970, proprio a cavallo tra i due decenni di sangue.
LA FOTOGRAFIA CHE COLLEGA LE VITTIME
È infine anche il giornalismo investigativo a dare una mano alle indagini.
Andrea Galli — giornalista del Corriere della Sera — scova infatti una prova importante. Un indizio che rafforza la pista del serial killer.
Si tratta di una fotografia in bianco e nero che ritrae Adele Margarita Dossena con un’altra vittima della notte milanese: Elisa Casarotto, una prostituta uccisa nel ’64.
Non può essere solo una coincidenza.
Anche perché Adele e Elisa erano amiche, come ha confermato Agostina Belli.
Due esistenze contrapposte alla fine accumunate dallo stesso tragico destino.
A un passo dalla svolta: in attesa della riapertura
Il 12 dicembre 1969 una bomba esplode alla Banca dell’Agricoltura e da quel giorno l’Italia volta lo sguardo.
Così la morte di molte donne passa in secondo piano.
Per decenni, l’omicidio di Adele Margherita Dossena è infatti rimasto nell’ombra, come quello di altre vittime uccise in una Milano distratta e scossa da ben altri eventi.
Eppure oggi, mezzo secolo dopo, un cavo strappato e la determinazione incrollabile di una figlia potrebbero scrivere la pagina mancante di questa storia.
Tuttavia la parola “fine” non può arrivare finché la verità resta sepolta nel silenzio. E in quel silenzio, la vittima sta ancora aspettando giustizia.
Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 27.07.2025
Al canale Crimini Dimenticati abbiamo dedicato un articolo introduttivo, che celebra il loro ammirevole lavoro di giornalismo investigativo.
Ogni mese su questo blog pubblicheremo inoltre un nuovo articolo dedicato ai casi trattati da Simona Cascio e Marcello Randazzo, per continuare a tenere viva la memoria di chi non ha ancora trovato giustizia:
- Il femminicidio irrisolto di Laura Bigoni
- Antonietta Longo, la decapitata di Castel Gandolfo
- Duilio Saggia Civitelli: cold case al Binario 10
Crimini Dimenticati: Adele Margherita Dossena e il nuovo elemento nelle indagini
Crimine. Giustizia. Media. ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER MediaMentor™
Autrice e copywriter. Laureata magistrale cum laude in Editoria e Giornalismo, ama analizzare e divulgare crimini e ingiustizie di ogni tipo: dai misfatti di Hollywood ai reati ambientali.



