La tragica fine di una voce della canzone leggera: tra amori, mafia e verità mai svelate.

Pochi trafiletti tra le pagine dei rotocalchi, poi l’oblio.

L’omicidio di una nota cantante diventa presto un cold case: un delitto dimenticato, che lascia Graziella Franchini senza giustizia e i suoi fan senza risposte.

Veneta di nascita e milanese d’adozione, Lolita — questo il suo nome d’arte — viene uccisa il 27 aprile 1986 nel bagno di casa sua. Un villino a pochi passi dal mare di Lamezia Terme (Catanzaro).

Le indagini convergono subito su due donne: Caterina Pagliuso e la figlia Teresa Tropea.

Gli inquirenti vengono infatti colpiti da un dettaglio: Tropea è legata da sei anni al nuovo compagno della vittima.

L’omicidio svela così un intricato triangolo amoroso. Una storia di torbide passioni, gelosie corrosive e minacce, che preannuncia di pochi mesi la tragedia.

Nonostante le prove e un movente, il percorso giudiziario riserva però sorprese amare.

Madre e figlia vengono prosciolte in tutti i gradi di giudizio, trasformando la morte di Lolita in un enigma irrisolto.

Le ombre che avvolgono il caso di cronaca nera non si sono tuttavia fatte meno dense.

Dettagli, dubbi e incongruenze processuali continuano infatti a tormentare la memoria di Graziella.

A quasi quarant’anni di distanza, per chi studia questo caso la strada è quindi ancora la stessa: ripartire da quei due nomi, per rileggere la storia con occhi nuovi. 

Perché dietro ogni cold case non ci sono solo fascicoli polverosi, ma vite spezzate, che aspettano ancora giustizia. 

Marcello Randazzo e Simona Cascio, crimini dimenticati - anello di carta

CRIMINI DIMENTICATI: LA VOCE ETICA DEL TRUE CRIME

Esistono vicende di cronaca nera che restano sospese nel tempo, prigioniere di verità mai emerse.

Mentre alcune di queste storie scivolano nel dimenticatoio, altre trovano nuove possibilità grazie a progetti come il canale YouTube “Crimini Dimenticati” di Simona Cascio e Marcello Randazzo.

Con un approccio che bilancia rigore investigativo e sensibilità umana, i due autori restituiscono voce a famiglie rimaste sole con il loro dolore.

Questo lavoro ci ricorda così una verità importante: ogni prodotto true crime parla di persone reali, tragiche storie e interrogativi che meritano risposta. 

Seguendo le tracce dell’inchiesta di Cascio e Randazzo, torniamo quindi sull’omicidio irrisolto di Graziella Franchini.

Non per alimentare morbose curiosità, bensì per strappare dalle profondità del pozzo mediatico uno dei delitti più dolorosi della musica italiana: il giallo di Lamezia Terme.

L’omicidio di Lolita: la vera storia di Graziella Franchini

Graziella Franchini nasce a Castagnaro, in provincia di Verona, il 5 gennaio 1950. 

Il destino artistico bussa alla sua porta quando ha solo 15 anni: in una parrocchia di Bollate — hinterland milanese — viene notata dal compositore napoletano Franco Chiaravalle. 

Voce, fascino e carattere: alla ragazza non manca nulla per conquistare le scene musicali italiane.

Di lì a poco, l’incontro con la cantante e produttrice discografica Mara del Rio segna infatti la sua ascesa sui palchi del Paese.

Graziella diventa quindi Lolita, una promessa della musica italiana, destinata a cavalcare l’onda degli anni Sessanta e Settanta.

E sarà il 1969 a rappresentare l’apice della sua carriera, con l’uscita di L’ultimo ballo d’estate.

È infatti proprio questo brano che ancora oggi evoca nelle menti di molti la voce calda, gli occhi blu e i capelli biondi della cantante.

L’immagine di una donna che ha perso la vita troppo presto.

L’ADDIO AI PALCHI E LA FUGA IN CALABRIA

I primi anni Settanta segnano una svolta radicale. Lolita volta pagina, lasciando Mara Del Rio.

Graziella tenta quindi di rilanciare la sua carriera sul palco più prestigioso d’Italia: Sanremo.

Al Festival del 1973, la cantante porta in scena Innamorata io, un brano scritto da Alessandro Celentano — fratello di Adriano.

Tuttavia la fortuna non le sorride: eliminata alla prima serata, la cantante sprofonda presto in uno sconforto devastante.

La delusione sanremese diventa inoltre la molla per una decisione drastica: addio a contratti, case discografiche e aspettative.

Graziella impacchetta sogni e rimpianti e decide infatti di trasferirsi al sud d’Italia, in un villino vicino alla spiaggia calabrese di Lamezia Terme.

Omicidio Graziella Franchini, Lamezia Terme

L’ORRENDO OMICIDIO DI LOLITA

È lunedì 28 aprile 1986, quando il Giornale Radio interrompe le note musicali per dare una notizia agghiacciante: Graziella Franchini è stata uccisa.

Abbandonata in una pozza di sangue, la cantante è stata picchiata e straziata nelle parti intime con il collo di un bottiglione di vetro. 

Un omicidio efferato che — secondo le autorità — nasconde l’odio di un movente passionale.

Facciamo prima però un passo indietro, per infilarci tra le misteriose ore che precedono la scoperta del cadavere.

LA SCOMPARSA DELLA CANTANTE VERONESE

La sera di domenica 27 aprile, Graziella deve esibirsi nella piazzetta di San Leonardo di Cutro (Crotone).

La cantante però non si presenta al concerto.

Preoccupati, i manager cercano quindi la donna al residence “La Marinella”, dove si trova il suo villino. 

Nessuno tuttavia risponde al citofono di casa Franchini. E le finestre non tradiscono rumori.

Eppure un elemento fuori posto c’è: un fioco bagliore di luce filtra dalla stanza da bagno.

LA SCOPERTA DEL CADAVERE DI GRAZIELLA FRANCHINI

Il giorno seguente di Lolita non c’è ancora traccia.

Uno dei manager torna quindi a casa della cantante. Questa volta però si fa accompagnare da Italo Montesanti, ex fidanzato della donna. 

Non ricevendo ancora nessuna risposta, Montesanti entra in casa dalla portafinestra sul retro.

In salotto, il televisore accesso lascia emergere un dubbio sulla presenza della cantante in casa. Una fiammella di speranza, che si spegne in fretta.

Aprendo la porta socchiusa del bagno emerge infatti la terribile verità: Graziella è morta. 

LA PASTICCIATA SCENA DEL CRIMINE

Il sangue ricopre l’intera scena del crimine. 

Oggi una buona squadra della scientifica riuscirebbe a mettere ordine nel caos di quel bagno, ma siamo ancora nella preistoria della medicina legale.

Nel 1986, la tecnologia non può infatti supportare le indagini come oggi: l’analisi forense del DNA è un’utopia lontana.

I rilievi ematici si limitano quindi a identificare il gruppo sanguigno e a repertare le prove sulla scena:

  • ciocche di capelli tra le mani della vittima,
  • impronte sull’arma del delitto — il collo di una damigiana d’acqua,
  • e segni palmari sulla porta d’ingresso.

Tra errori investigativi, presenze non autorizzate e i limiti della scienza dell’epoca, anche questi indizi non portano a nulla di concreto.

L’AUTOPSIA E L’INFAMANTE FERITA MORTALE

L’autopsia del dottor Mancini evidenzia la brutalità dell’omicidio.

Graziella è stata picchiata, morendo dissanguata a causa di una lesione nella zona sovrapubica.

L’arma utilizzata è il collo di una damigiana d’acqua, che la cantante teneva proprio nel suo bagno.

Durante l’esame, il medico fissa inoltre l’orario di morte tra le 15 e le 18:30 del 27 aprile, basandosi:

  • sulla rigidità cadaverica,
  • e sulla quantità di urina presente nella vescica.

Infine, l’autopsia segnala un ultimo dettaglio cruciale: sul corpo della vittima non sono presenti segni di difesa.

Quest’ultimo elemento spinge quindi gli inquirenti verso un’ipotesi raggelante: i responsabili del delitto sono almeno due.

E due nomi presto verranno fatti.

IL TRIANGOLO AMOROSO: L’IPOTESI 

Seguendo un consolidato copione investigativo, le indagini iniziano dal compagno della vittima: Michele Roperto, ginecologo quarantunenne.

La relazione tra la cantante e il medico è in realtà recente: i due si conoscono solo dall’estate ’85.

Tuttavia la coppia non vive la serenità dei primi giorni d’amore. 

Il rapporto tra Graziella e Michele è infatti disturbato da una terza persona: Teresa Tropea, fidanzata ufficiale dell’uomo da sei anni. 

Le attenzioni degli inquirenti si spostano quindi presto sulla ragazza, vertice di un pericoloso triangolo amoroso.

Nei mesi precedenti, infatti, Teresa si era trasformata da spettatrice inerme a protagonista di un incubo, con Lolita come vittima sacrificale.

Omicidio Lolita, Graziella Franchini

Teresa Tropea, la sospettata numero uno

Scoperto il tradimento, in realtà Teresa all’inizio mostra una reazione composta.

Con il passare delle settimane, tuttavia, la ragazza si rende conto che non si tratta di una semplice avventura: il suo fidanzato si sta davvero innamorando di Lolita. 

Non è solo passione, quindi. Di mezzo ci sono sentimenti veri, che mettono in discussione il fidanzamento tra Teresa e Michele.

Presto, allora, la tensione esplode in insulti e minacce, culminando in un’aggressione fisica.

La sera del Venerdì Santo del 1986, infatti, Teresa e la madre Caterina Pagliuso piombano a casa di Graziella e la aggrediscono. 

Capelli tirati, mani alzate e morsi: la violenza è interrotta solo dalla presenza di Michele Roperto. E, di risposta, Teresa annulla il fidanzamento.

Lolita verrà uccisa solo una ventina di giorni dopo. 

LA MEZZA CONFESSIONE DELLA ‘NDRANGHETA

Ad aggiungere ulteriori ombre alla vicenda è il contesto criminale di madre e figlia, ormai sospettate dell’omicidio.

Caterina Pagliuso è infatti sorella di Domenico, boss di spicco della ’Ndrangheta di Lamezia Terme.

A tal proposito, anni dopo, le rivelazioni di un mafioso — raccolte dal giornalista Ferdinando Gaetano — formulano una seconda ipotesi sul cold case.

L’omicidio di Graziella Franchini potrebbe essere stato un delitto passionale eseguito proprio dalla criminalità organizzata.

Il mafioso — pur senza ammettere nulla di diretto — lascia infatti intendere che la cosca Pagliuso sapesse molto di quella morte.

Una mezza confessione che apre scenari inquietanti e complica il quadro investigativo.

LA SVOLTA: LA LETTERA ANONIMA

Anche se le indagini convergono su Teresa Tropea e sua madre, l’inchiesta fatica a decollare. 

Il peso del cognome Pagliuso incute infatti troppo timore in città e il caso rischia ogni giorno di arenarsi.

Una svolta arriva tuttavia poco dopo, quando il 3 maggio 1986, una lettera anonima restituisce vigore alle indagini.

Un testimone scrive di aver visto madre e figlia bussare alla porta di Lolita la mattina del 27 aprile, tra le 13 e le 13:30.

Poco dopo, l’uomo racconta anche di avere visto le due donne uscire di casa, incrociando perfino i loro sguardi.

Infine, a chiusura della lettera, il testimone rivela un dettaglio inquietante: la sera dell’omicidio, gli sarebbe giunta una telefonata intimidatoria, con l’ordine di tacere.

La testimonianza è l’ultimo pezzo mancante: sulla base di queste rivelazioni, si può procedere in tribunale. 

I punti sembrano infatti collegarsi tutti tra loro, formando un cerchio che incastra le due sospettate. 

TERESA E CATERINA: IL PROCESSO A MADRE E FIGLIA

Nel dibattimento in Corte d’Assise, il punto cruciale è l’orario del delitto.

Come visto, secondo il dottor Mancini, Lolita sarebbe morta tra le 15 e le 18:30, ipotesi sostenuta anche dal perito della Difesa. 

Tuttavia, considerando questo orario, Teresa Tropea ha un alibi di ferro.

Quel pomeriggio, la ragazza viene infatti accompagnata alla stazione di Sambiase (Lamezia Terme), per raggiungere l’università di Messina. Lo testimonia anche un biglietto ferroviario.

Non tutti, però, concordano su questi tempi.

Altri esperti, come il professor Grandi, sostengono infatti che la morte sia avvenuta prima.

Questa seconda ricostruzione temporale è supportata dalla colazione trovata nello stomaco della cantante: tè e biscotti consumati solo poche decine di minuti prima del decesso.

A complicare la questione c’è infine un dettaglio clamoroso.

Nel 1986 i medici legali non hanno misurato la temperatura corporea alla vittima. Un dato invece essenziale per stabilire l’orario di morte con rigore scientifico.

L’ennesima mancanza delle indagini, che lascia in sospeso un dubbio sul caso.

Il giallo di Lolita rimane un “cold case”

A carico di Caterina e Teresa emergono ulteriori elementi sospetti.

In particolare, una consulenza di parte civile segnala un dato riscontrato al momento dell’arresto: madre e figlia riportavano contusioni e ecchimosi sugli arti. 

Secondo l’accusa, queste ferite — unite all’assenza di segni di difesa sul corpo di Lolita — rappresenterebbero quindi un indizio di colpevolezza. 

Con queste prove in mano, in primo grado, il pm chiede quindi 18 anni di carcere per entrambe.

Tuttavia, nel 1988, le due donne vengono assolte per insufficienza di prove. Sentenza confermata anche in Appello e in Cassazione. 

Alla fine la giustizia parla chiaro: Teresa Tropea e Caterina Pagliuso non hanno ucciso Graziella Franchini.

L’omicidio viene così archiviato, diventando un cold case.

Un crimine senza colpevoli, che continua a interrogare chiunque si avvicini a questa storia di musica, passione e morte.

Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 29.06.2025

Al canale Crimini Dimenticati abbiamo dedicato un articolo introduttivo, che celebra il loro ammirevole lavoro di giornalismo investigativo.

Ogni mese su questo blog pubblicheremo inoltre un nuovo articolo dedicato ai casi trattati da Simona Cascio e Marcello Randazzo, per continuare a tenere viva la memoria di chi non ha ancora trovato giustizia:

Crimini Dimenticati. Il cold case di Graziella Franchini

“L’ultimo ballo d’estate”, il cavallo di battaglia di Lolita

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