Un femminicidio nel Natale del 1996 scuote una piccola comunità irlandese: recensione della serie Tv su Netflix.
Chi ucciso Sophie Toscan du Plantier, produttrice cinematografica francese dell’alta borghesia parigina? A distanza di 25 anni da quel caso di violenza di genere, la risposta è ancora sospesa.
La giustizia francese, qualche anno fa, ha emesso un verdetto di colpevolezza. E’ stato, tuttavia, un atto di pura formalità. La persona condannata, che vive in Irlanda, non è stata estradata e continua a professarsi innocente.
Su Netflix da giugno 2021 c’è il documentario Sophie: un omicidio nel West Cork, telefilm online diviso in tre parti di 50 minuti l’una e diretto da John Dower.
Il documentario passa sotto la lente di ingrandimento l’assassinio di Sophie Toscan de Plantier, avvenuto in un posto sperduto del sudovest dell’Irlanda, vicino al mare, la notte del 23 dicembre 1996.
Ecco come Netflix presenta la serie televisiva crime – tre documentari con testimoni, ambienti e storia delle indagini – dedicata alla violenza ai danni di Sophie, 39 anni.
- Trama: un omicidio scioccante nell’Irlanda rurale dà il via a una ricerca della giustizia che si complica sempre di più travalicando decenni e confini nazionali;
- Episodio 1: Il mondo sottosopra. 1996: poco prima di Natale, una donna francese viene barbaramente uccisa nei pressi della sua casa rurale in Irlanda. L’affiatata comunità resta sconvolta;
- Episodio 2: Sospetti. Mentre le indagini avanzano, la polizia concentra l’attenzione su un improbabile sospettato: il giornalista locale che per primo si era occupato dell’omicidio.
- Episodio 3: Giustizia. Con il passare degli anni il caso diventa sempre più enigmatico, tra arresti, testimonianze ritrattate e accuse di corruzione della polizia.
Sophie Toscan du Plantier e la casa isolata in Irlanda
Nella regione rurale del West Cork, in Irlanda, in una zona di colline e campagna che dà sull’Oceano Atlantico, Sophie Toscan du Plantier si ritira per trascorrere da sola le feste di Natale.
Stanca della mondanità parigina, vuole starsene in solitudine in quella parte d’Irlanda che aveva conosciuto anni prima e che amava. Un luogo dove amava ritirarsi, senza incontrare anima viva.
In Francia erano rimasti il secondo marito Daniel Toscan du Plantier e il figlio adolescente Pierre Louis Baudey-Vignaud, avuto da un precedente matrimonio.
Il marito Daniel, anche lui produttore cinematografico, era amico del presidente francese Jacques Chirac. Le giornate di Sophie e Daniel erano scandite da incontri sui set o con registi e produttori, lavoro di pubbliche relazioni e serate mondane nel jet-set parigino.
La profondità umana di Sophie
Sophie, da come viene raccontata nel documentario su Netflix, amava la vita solitaria, l’introspezione. Aveva una particolare curiosità per il tema della caducità del vivere e della morte.
Aveva arredato la sua camera da letto, nella grande casa isolata sull’Oceano Atlantico, a Toormore, località a nove km di strada tortuosa e scomoda dalla cittadina Schull, in un modo particolare.
Sophie si era fatta alzare il letto, come quelli di una volta a una settantina di centimetri dal pavimento, in modo da poter vedere il faro sull’oceano attraverso la finestra. La luce del faro le consentiva, così, di leggere.
La scelta di Sophie di passare da sola le feste di Natale del 1996 sembra strana agli abitanti della cittadina di Schull, 700 abitanti, nella Contea di Cork.
Siamo in una cittadina dove più di un artista e ama ritirarsi a vivere; oppure andare a isolarsi dal resto del mondo nei momenti di libertà.
Sophie Toscan du Plantier viene uccisa vicino a un cancello e ad alcuni rovi, a qualche decina di metri dall’abitazione. E’ in pigiama, in una serata gelida, ed è uscita lasciando il mazzo di chiavi sulla porta, nella parte di serratura che dà sull’interno.
Su un ripiano, in cucina, due bicchieri da vino, lavati e capovolti. Si pensa allora che Sophie debba aver incontrato qualcuno che conosceva. Deve averlo poi seguito all’esterno.
Sono solo supposizioni, perché gli investigatori non sono riusciti a ricostruire il femminicidio di Sophie.
Neppure l’ora della morte può essere individuata con precisione: la si colloca fra le ore 22 del 22 dicembre 1996 e le ore 10 del mattino successivo, il 23 dicembre, antivigilia di Natale.
Gli investigatori: “Un delitto d’impeto”
L’arma del delitto è un manufatto in cemento, su cui è stato trovato il sangue della vittima.
Secondo gli investigatori, si è trattato di un delitto d’impeto: non è quindi un omicidio premeditato e neppure un’esecuzione per conto di qualcuno.
L’opinione degli inquirenti è che “l’assassino ha perso la testa”.
Alcuni dati di fatto:
- la scena del crimine è stata inquinata dalla presenza di poliziotti della Garda, la polizia statale irlandese;
- sono spariti reperti (come il cancello con il sangue della vittima);
- l’impreparazione degli investigatori è dimostrata da come hanno condotto le indagini e da un’inchiesta interna alla Garda
L’omicidio a pochi passi dall’Oceano Atlantico
Sophie Toscan du Plantier viene quindi rinvenuta, senza vita, alle 10 del mattino del 23 dicembre 1996, un lunedì, in un vicolo accanto a casa sua.
La donna è vestita con pigiama e stivali. Le sue mutandine vengono trovate impigliate in un recinto di filo spinato. In sostanza, è seminuda.
Vi sono macchie di sangue su un cancello, su un vicino pezzo di ardesia e su un blocco di cemento.
Il cadavere di Sophie viene lasciato all’aperto finché non arriva il medico legale, l’anatomo-patologo John Harbison, che si presenta sul luogo del delitto ben 28 ore dopo.
La distanza fra la località in cui viveva Sophie Toscan du Plantier e la città più vicina è tale che richiede un viaggio di quasi quattro ore,
I rilievi del medico legale
Il medico legale ha accertato la lacerazione e il gonfiore del cervello; la frattura del cranio; lesioni multiple alla testa procurate da un corpo contundente.
Le ferite al viso di Sophie sono così gravi da non poter essere identificata dalla persona che l’ha trovata senza vita.
Per farlo, vengono chiamati i famigliari, che sono in Francia. Sophie è identificata da un fratello; dato che il marito Daniel rimane a Parigi.
I poliziotti della Garda sono stati criticati per aver manomesso le prove.
Sono stati anche accusati di aver intimidito i testimoni, costringendoli a testimoniare e così influenzandoli.
La situazione è precipitata al punto che gli investigatori della Garda sono stati sottoposti a indagine interna.
Un rapporto della Garda Síochána Ombudsman Commission è tuttavia arrivata ad affermare che non vi erano prove di corruzione ad alti livelli.
In compenso sono state accertate carenze nella gestione e nella cura delle indagini sull’omicidio della donna francese.
La serie televisiva Sophie: un omicidio nel West Cork
La docuserie Sophie: un omicidio nel West Cork è divisa in tre episodi:
- Il mondo sottosopra,
- Sospetti,
- Giustizia
Nel primo episodio si racconta l’ambiente irlandese di Schull, piccola comunità irlandese che non sapeva cosa fosse un omicidio; e che è sconvolta dal femminicidio di Sophie, classe 1957, conosciuta in paese.
Fra investigatori, testimoni e cittadini che raccontano l’omicidio di Sophie c’è anche un giovane giornalista locale, originario dell’Inghilterra: Ian Bailey.
L’inglese Bailey si è trasferito nel West Cork, dalla britannica Manchester, nel 1991. Lavora come giornalista freelance, talvolta sotto lo pseudonimo di Eoin Bailey.
Per mantenersi, Ian Bailey ha anche un allevamento ittico e gestisce una bancarella del mercato a Schull, vendendo pizze e poesie.
Dal 1992 Ian Bailey convive a Schull con la compagna Jules Thomas, da cui si è peraltro separato nell’aprile del 2021, tornando così all’attenzione delle cronache.
Il secondo episodio è dedicato ai sospetti sul giornalista Ian Bailey, che viene arrestato due volte e due volte rilasciato.
L’accusa, basata su quanto dice una testimone che l’avrebbe visto su un ponte la notte dell’omicidio, è di avere ammazzato Sophie. Quel ponte è a qualche chilometro dall’abitazione della donna francese.
Processi indiziari e capri espiatori
Come sempre accade nei processi indiziari – lo vediamo anche con la vicenda di Milena Sutter e Lorenzo Bozano (Genova, 6 maggio 1971) – la persona sospettata viene presentata come “strana”. Una sorta di mostro, qualcosa di fuori dell’umano.
Il sospettato, attraverso i media che rimbalzano e amplificano le opinioni degli inquirenti, assume le caratteristiche della figura opaca, ambivalente, indecifrabile, incline alla menzogna e di sicuro colpevole.
Come nel caso di Lorenzo Bozano, anche Ian Bailey assume la funzione del capro espiatorio di cui parla René Girard: quel soggetto che, in una fase di crisi e/o di paura e incertezza, assume su di sé tutte le colpe.
Il capro espiatorio viene reificato, negato come persona, ed espulso dalla comunità come estraneo. Un mostro che non ha sembianze né diritti umani.
Per fortuna di Ian Bailey, il sistema giudiziario irlandese è assai garantista. Il tentativo di incriminarlo non riesce.
Come afferma uno degli intervistati “senza dati e testimoni, ci sono solo indizi, non ci sono prove”.
Colpo di scena nell’accusa all’unico sospettato
Nel terzo episodio del docufilm Sophie: un omicidio nel West Cork arriva il colpo di scena.
La polizia irlandese insiste sulla colpevolezza del giornalista Ian Bailey.
Bailey non solo è stato visto da una testimone la sera in cui Sophie viene uccisa. Egli avrebbe anche reso noto dettagli e informazioni sul delitto prima ancora della polizia stessa.
Il colpo di scena decisivo – nel terzo e ultimo episodio del telefilm online – arriva quando la testimone Marie Farrel ritratta: dice di aver mentito quando ha dichiarato di aver visto Ian Bailey, sul ponte, la sera dell’omicidio.
LA TESTIMONE MARIE FARREL
Marie Farrell viveva a Schull con il marito e i figli. L’11 gennaio 1997 aveva chiamato la polizia Garda da un telefono pubblico per rivelare di aver visto un uomo su un ponte, a pochi km dalla casa di Sophie, nella notte del femminicidio. Non aveva però detto di che persona si trattasse.
Nel 2003. la Farrel indica in Ian Bailey l’uomo di quella notte. Nel 2004 viene minacciata di azione legale da Bailey; e l’anno dopo la donna denuncia di essere stata intimidita da Bailey.
Nel 2015, invece, Marie Farrell ritratta tutto: dichiara di aver mentito. Non era, quindi, Ian Bailey l’uomo che aveva visto sul ponte la notte dell’omicidio di Sophie Toscan du Plantier.
Polizia irlandese sotto accusa: indagini falsate
La polizia irlandese viene intanto accusata di aver falsato le indagini, fra carenze investigative, testimoni pilotati e indizi stressati per incastrare il giornalista Ian Bailey.
Assistiamo, insomma, al solito comportamento degli inquirenti nei processi indiziari: dal film Un’intima convinzione (in Francia) alle vicende raccontate nel libro Innocente (e nella serie tv The Innocent Man) dello scrittore John Grisham (Stati Uniti), al caso di Lorenzo Bozano (Genova, Italia, 1971) all’Irlanda con l’omicidio di Sophie.
Cambi paese, cambi delitti, cambi polizia, ma il modus operandi nei casi giudiziari basati su indizi sono gli stessi:
- indizi inventati per incastrare presunti colpevoli,
- prove che tali non sono se non attraverso la gran cassa dei media,
- testimoni di comodo (qualcuno in malafede, qualcuno spinto a dire il falso),
- situazioni manomesse,
- elementi taciuti perché non congruenti con l’accusa,
- il sospettato presentato come un “mostro”,
- i media che raccontano in modo asservito e con molta ignoranza ciò che interessa agli inquirenti
A perderci chi sono? Le vittime, che non ottengono giustizia; la comunità, ingannata in una rete di congetture o bugie spacciate per verità; i cittadini che rischiano di diventare mostri.
Il ruolo dei media nel rappresentare crimine e giustizia – come possiamo vedere dai casi citati – è fondamentale.
A complicare il quadro vi è il rimbalzo – in una sorta di seguitazione mediatica senza riflessione – che le notizie infondate e manipolate hanno sui diversi media.
Il sospettato dell’assassinio: Ian Bailey
Il giornalista Ian Bailey era noto alla polizia locale per precedenti episodi di violenza domestica nei confronti della compagna Jules Thomas.
Nel 2001, Bailey viene condannato per aggressione dal tribunale distrettuale di Skibbereen.
Secondo la relazione di uno psichiatra, Bailey ha una personalità centrata sul narcisismo, la psico-rigidità, la violenza, l’impulsività, l’egocentrismo.
Bailey, scrive lo psichiatra, non tollera la frustrazione. E ha un grande bisogno di riconoscimento. Sotto gli effetti dell’alcol, ha la tendenza a diventare violento.
Da parte sua un giudice dichiara che “Bailey è un uomo a cui piace una certa quantità di notorietà, che gli piace forse essere sotto i riflettori, che gli piace un po’ di auto-pubblicità”.
Il giornalista accusato: “Non ho mai conosciuto Sophie”
Una domanda è cruciale in questo caso: Sophie e Ian Bailey si conoscevano?
Il tipo di delitto e la situazione fanno pensare a un rapporto di confidenza fra vittima e assassino. Vi doveva essere una relazione fra offender e Sophie.
Ancora oggi, come nel 1996, Bailey nega di aver mai conosciuto e frequentato la vittima. Sapeva chi era Sophie Toscan du Plantier, ma non ci aveva mai parlato assieme.
Alcuni testimoni hanno contraddetto Bailey. Una conoscente di Sophie, che lavora nello stesso ambiente, ha sostenuto di aver parlato con la vittima – alla vigilia del viaggio solitario in Irlanda.
Secondo la donna, Sophie le aveva detto di voler incontrare in Irlanda un giornalista strano, che scriveva poesie.
Il profilo richiama Ian Bailey. Risulta però strano che Sophie non ne abbia parlato con il marito Daniel, morto nel 2003; o con altre persone del mondo cinematografico.
Un testimone, Martin Graham, ha sostenuto che gli investigatori della polizia irlandese lo hanno corrotto usando la cannabis. Obiettivo? Fargli dire che Bailey conosceva in precedenza Sophie.
Sull’altro verso, mentre era sotto inchiesta, Ian Biley ha continuato a scrivere articoli sostenendo che Sophie Toscan du Plantier aveva “più compagni maschi”. E aveva cercato di allontanare i sospetti dal West Cork verso la Francia.
Altro elemento, su cui molto si è insistito. Nei giorni successivi all’omicidio, Bailey è stato notato per avere più graffi agli avambracci e una ferita alla fronte.
Quanto all’alibi, Ian Bailey e la sua partner Jules Thomas hanno fornito resoconti contrastanti su dove il giornalista si trovasse la notte dell’omicidio.
In due occasioni, poi, Ian Bailey avrebbe confessato a conoscenti il delitto. Lui, però, smentisce, quelle dichiarazioni.
Le iniziative per la verità sul caso di Sophie
Secondo la legislazione penale della Francia, la magistratura può indagare e processare una persona anche per un delitto avvenuto all’estero ai danni di un cittadino francese.
Nel 2007, la famiglia di Sophie ha così fondato l’Associazione per la verità sull’omicidio di Sophie Toscan du Plantier per proseguire le indagini sul femminicidio. Questo come reazione all’inerzia della magistratura irlandese, che non ha ritenuto di dover processare Ian Bailey.
L’ex giornalista vive infatti ancora a Schull e scrive poesie, che vende al mercato assieme alle marmellate e ai prodotti della sua terra.
Nessuno della piccola comunità irlandese, tuttavia, lo vuole frequentare; anche se nessuno ne ha chiesto l’allontanamento.
Video sul caso di Sophie Toscan du Plantier
Schull, la cittadina nel West Cork sull’Oceano Atlantico
Il femminicidio di Sophie in serie tv, libri e podcast
L’assassinio di Sophie Toscan du Plantier ha ispirato una serie di produzioni multimediali:
- una miniserie podcast sul crimine, pubblicata nel 2018, intitolata West Cork, prodotta da Audible e ospitata dalla documentarista Jennifer Forde e dal giornalista investigativo Sam Bungey;
- un documentario televisivo di un’ora, intitolato The du Plantier Case, prodotto da RTÉ, con la presentazione di Philip Boucher-Hayes, in onda nell’estate del 2017;
- la serie televisiva in cinque episodi Murder at the Cottage, prodotta da Jim Sheridan, che ha avuto inizio a giugno 2021 su Sky Crime;
- la serie televisiva docu-film in tre episodi Sophie: un omicidio a West Cork su Netflix a giugno 2021;
- il libro inchiesta Murder at Roaringwater di Nick Foster, uscito nel maggio 2021;
- il podcast Unsolved Murders: True Crime Stories prodotto da Parcast Network, con gli episodi 137 e 138 (intitolati Film Fatale) dedicati all’omicidio di Sophie Toscan du Plantier;
- il podcast Mens Rea: A True Crime Podcast, con l’episodio numero 3 che porta il titolo The murder of Sophie Toscan du Plantier & trial by press
Un femminicidio con molti misteri
La violenza di genere subita da Sophie è così al centro di una serie di produzioni video, audio ed editoriali.
Il motivo di tanto interesse? Di sicuro, oltre al mistero di un femminicidio ancora non risolto, vi è la figura della vittima Sophie. Vi è poi il contesto ambientale, con la piccola comunità rurale.
Da tenere in conto anche il contorno di errori, pressioni, azioni interessate, indagini mal condotte della polizia irlandese.
Infine, c’è la figura del sospettato Ian Bailey. Sull’ex-+giornalista da 25 anni grava il sospetto di essere un brutale assassino. Da parte sua, Bailey anziché cercare l’anonimato si mostra e si fa intervistare.
Bailey provoca così altra antipatia, altro sospetto, altro fastidio nella pubblica opinione; mentre i media lo assecondano e ne cavalcano la voglia di apparire.
In tutto questo a perderci sono la verità sostanziale dei fatti e la vittima Sophie, che in quella notte prima di Natale è stata uccisa in quanto donna.
La serie televisiva Sophie: un omicidio nel West Cork ci propone tre episodi che fluiscono rapidi, fra testimonianze, ricostruzioni di fatti e situazioni; e ascolto delle parti coinvolte.
Toccante la figura di Pierre Luis, figlio di Sophie, il quale afferma che in una sola notte – alla notizia dell’uccisione della madre in Irlanda – è passato dall’essere bambino al diventare un uomo.
La fotografia, i filmati del tempo – con le immagini di Sophie nella casa solitaria a Schull – e le voci delle persone che amavano quella donna, danno uno spaccato di vita e di società.
Come ha notato, tuttavia, qualche critico, la figura del sospettato Ian Bailey è sovra-rappresentata. Copre, così, l’immagine della vittima.
Si ha la sgradevole impressione che si voglia assecondare la voglia di protagonismo e visibilità dell’ex giornalista.
Il silenzio delle vittime dei delitti
Ancora una volta, nel racconto del caso di Sophie Toscan du Plantier, abbiamo una sottostima e un silenzio delle vittime. L’attenzione e la curiosità si concentrano, invece, sul presunto colpevole. O sull’assassino dichiarato.
Viene da pensare che il telefilm documentario su Netflix sia più funzionale all’associazione che vuole giustizia per Sophie, rispetto al diritto di conoscere la vittima a fondo.
Di positivo c’è l’umanità che trasuda da ogni scena, da ogni inquadratura. Un po’ come accade nella serie tv danese The investigation, altro caso di femminicidio.
L’umanità della serie tv su Netflix porta a non presentare alcuna immagine sconveniente; a non indugiare sugli aspetti macabri della vicenda.
La visione del telefilm online documentario Sophie: un omicidio nel West Cork è così consigliata: a tutti gli spettatori, non soltanto a chi ama i documentari d’inchiesta, le true crime stories e tutto il mondo raccontato (bene) del crimine e della giustizia.
Serie tv Sophie: un delitto nel West Cork. Perché è importante
Serie televisive come Sophie: un omicidio nel West Cork sono importanti per tutti noi, come cittadini, come soggetti sociali e come osservatori critici della società e di quanto ci sta intorno.
Tutti noi possiamo diventare sospettati e condannati dai media e da una polizia che non sa fare il proprio mestiere. O che cerca di alterare le prove per dimostrare che un sospettato è colpevole.
Tutti noi possiamo avere una persona cara che subisce un danno, senza avere giustizia a causa della carenza di professionalità delle forze dell’ordine.
Tutti noi possiamo essere vittime di sospetti, angherie, malintesi e macchinazioni.
Infine, la vicenda irlandese – un femminicidio in piena regola – di Sophie Toscan du Plantier, e la sua rappresentazione nella serie tv Sophie: un omicidio nel West Cork, ci insegnano a non arrenderci davanti alle verità ufficiali.
Ci insegnano – anche nel telefilm online su Netflix – ad usare il senso critico e l’onestà intellettuale che ciascuno di noi, in fondo all’anima, possiede.
Maurizio Corte
corte.media
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org