L’analisi psicologica di un assassino dai tratti sconcertanti, tra menzogna e crudeltà.
Può un uomo vivere per diciotto anni nella totale menzogna? Jean-Claude Romand ci è riuscito, fino al giorno in cui la finzione è crollata nel sangue.
Se «di norma una bugia serve a nascondere una verità», la sua però non copriva nulla. Solo un vuoto incolmabile.
Per quasi due decenni, ha infatti costruito un castello di menzogne: fingeva di essere un medico affermato, un marito devoto, un padre premuroso.
Ma dietro quella facciata impeccabile, c’era solo il vuoto di un’esistenza fondata sull’inganno.
Finché, nel gennaio 1993, per non affrontare la verità, Romand ha ucciso moglie, figli e genitori, compiendo uno dei massacri familiari più sconvolgenti della cronaca nera francese.
Questa tragica vicenda è diventata oggetto dell’indagine di Emmanuel Carrère, culminata nel romanzo-verità L’Avversario (2020, Adelphi).
Il libro va oltre il classico true crime: è un’indagine sull’identità, sull’autoinganno e sulla capacità umana di convivere con la menzogna, fino alle estreme conseguenze.
Un’architettura della psiche costruita attraverso un’analisi minuziosa, interviste dirette e una corrispondenza intensa con l’assassino.
Con le parole Carrère ci porta infine dentro la mente dell’uomo: un bugiardo patologico capace di ingannare tutti, perfino se stesso.
Scopriamo insieme i fatti dietro il caso Romand e l’analisi psicologica di una storia che continua a turbare la nostra coscienza.
La vera storia di L’Avversario. Jean-Claude Romand: assassino e truffatore seriale
Nel 1993 Jean-Claude Romand uccide moglie, figli, genitori e perfino il cane di famiglia.
Tenta anche di uccidere l’amante e poi se stesso, prima di appiccare un incendio per cancellare ogni traccia della sua vita.
Le indagini riveleranno l’orrore del suo gesto estremo, un tentativo egoistico di celare la sua falsa identità: non era un medico, non lavorava per l’OMS e non aveva un soldo.
Prima però di calare la maschera, per anni la sua quotidianità è una recita perfetta: viaggi di lavoro, lezioni in università, denaro in abbondanza.
L’uomo studia tutto nei minimi dettagli: un’elegante messinscena fondata sul nulla.
LA FAMIGLIA: SCUOLA DI MENZOGNE
Jean-Claude Romand nasce l’11 febbraio 1954 a Lons-le-Saunier, Francia.
Cresce tra i paesaggi della Borgogna con il padre Aimé, guardaboschi, e la madre Anne-Marie, casalinga. Un ambiente protettivo, che finisce tuttavia per accentuare il suo carattere fragile e ansioso.
A scuola, intanto, si distingue per la sua intelligenza, che lascia almeno un indizio premonitore: un saggio di filosofia dal titolo “Esiste la verità?”.
Secondo Carrère, all’epoca Romand è già un bugiardo professionista: un’abilità assorbita dalla famiglia.
I frequenti ricoveri della madre — ufficialmente per problemi fisici, ma legati ad una forte depressione — gli insegnano infatti a dissimulare il disagio emotivo dietro un finto sorriso o a una malattia inventata.
Ormai alto e robusto, al momento di scegliere l’università, è un giovane adulto nell’aspetto, ma ancora un bambino impaurito nel profondo.
LA GENESI DEL GRANDE INGANNO
Il vero inganno ha inizio all’università.
Nel 1975 fallisce il secondo anno di medicina a Lione, mancando l’esame per pochi punti. Un incidente banale che diventa la base del suo castello di bugie.
Anziché ammettere la sconfitta, Romand finge infatti di proseguire gli studi, ri-iscrivendosi ogni anno senza mai sostenere nemmeno un esame.
Nessuno sospetta nulla. Perfino i compagni credono ai suoi presunti progressi accademici, ai tirocini inesistenti e alla futura carriera da medico.
Nel 1986, quando l’università gli impedisce di iscriversi nuovamente, Romand è ormai agli occhi di tutti un rinomato medico e ricercatore dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Nel frattempo ha anche costruito una vita privata perfetta: nel 1980 ha sposato Florence Crolet, una lontana cugina che ha conquistato con una corte insistente, fino a sfinirla.
E, a suggello del loro idillio, arrivano infine due figli: Caroline (1985) e Antoine (1987).
LA COREOGRAFIA DELLA NORMALITÀ
A Prévessin-Moëns, raffinato sobborgo ginevrino, i Romand incarnano l’ideale della famiglia borghese: una bella casa, due figli e una posizione sociale invidiabile.
L’immagine di perfezione domestica viene inoltre mantenuta attraverso i piccoli rituali quotidiani:
- ogni mattina l’uomo accompagna i figli a scuola, prima di dirigersi all’OMS;
- il giovedì, quando si reca in Borgogna per insegnare all’università, coglie sempre l’occasione per pranzare con i genitori;
- come funzionario internazionale, non si fa mancare nemmeno i viaggi all’estero, da cui ritorna con premurosi souvenir per i figli.
Ma la realtà è un’altra.
Tutte le sue giornate si dissolvono infatti in vagabondaggi solitari nei boschi, in macchinose letture mediche o in ore passate «a guardare il soffitto (…), con la paura di non esistere più».
E appena qualcuno nutre qualche sospetto, lui tira fuori una delle sue più grandi finzioni: un linfoma di Hodgkin.
Un tumore che gli permette di essere triste senza provare vergogna, almeno per qualche giorno.
L’ECONOMIA DELL’ILLUSIONE
Le bugie sono molto costose. E con il passare degli anni, per Romand sostenere le finanze della famiglia diventa una sfida complicata.
Il loro tenore di vita supera i 60.000 franchi mensili (circa €9.150). Una cifra incompatibile con le modeste entrate dichiarate da Florence, che fa solo qualche sostituzione nella farmacia di paese.
Romand infatti non solo non è un medico, ma non ha mai fatto nessun altro lavoro, se non quello del truffatore, con cui guadagna circa 3 milioni di franchi (450.000 euro), tra il 1985 e il 1993.
L’uomo riesce nell’impresa sfruttando la fiducia riposta in lui, creando così una ricca rete di sostentamento:
- innanzitutto prosciuga i conti dei genitori, attraverso una procura finanziaria;
- poi, inganna amici e familiari con la sua posizione all’OMS, per sollecitare “investimenti” con rendimenti privilegiati, tramite canali bancari svizzeri.
L’AMANTE: IL CATALIZZATORE DELLA CATASTROFE
L’equilibrio precario delle sue menzogne inizia a incrinarsi con l’ingresso nella sua vita di un’amante: Chantal Delalande.
La relazione extraconiugale prosciuga infatti rapidamente le risorse finanziarie di Romand, in regali sontuosi e soggiorni di lusso.
Senza saperlo, la donna gli offre però ancora un po’ di tempo, affidandogli 900.000 franchi (€137.000), per farli fruttare nei suoi famosi investimenti.
Se inizialmente Romand riesce a prolungare la sua messinscena, la maschera comincia a creparsi quando l’amante gli chiede con insistenza la restituzione del denaro.
Non potendo più sfuggire alle sue responsabilità, l’uomo fissa una data per la restituzione: il 9 gennaio 1993. E con l’occasione le vuole presentare il celebre medico e politico Bernard Kouchner, suo amico e oncologo personale.
Nemmeno davanti al baratro riesce a smettere di mentire.
TRAGICO EPILOGO: IL MASSACRO FAMILIARE
Le prime ore del 9 gennaio 1993 segnano l’inizio di un massacro familiare.
Jean-Claude Romand uccide i figli Antoine e Caroline con un colpo d’arma da fuoco, mentre Florence giace con il cranio fratturato da un martello già da qualche ora, proprio nella stanza accanto.
Il percorso omicida prosegue verso la casa dei genitori a Clairvaux-les-Lacs. Dopo pranzo, Romand uccide prima il padre con due proiettili alla schiena e poi sua madre.
La sua furia omicida non risparmia nemmeno l’adorato cane di famiglia.
Al pensiero di questo sesto e ultimo delitto, durante il processo l’uomo avrà uno dei pochi cedimenti emotivi: un urlo straziante seguito da un collasso, che lascerà l’aula sbigottita.
LA SOPRAVVISSUTA
Come programmato, quella stessa sera, Romand incontra Chantal Delalande, per recarsi alla residenza di Bernard Kouchner, a Fontainebleau.
Dopo essersi volontariamente perso, si ferma con l’auto nella foresta di Tronces.
Quindi, con la scusa di farle indossare una collana, aggredisce la donna con un mix di gas lacrimogeno e scosse elettriche.
Delalande riesce però a divincolarsi e a frenare la sua violenza.
A quel punto, con una disinvoltura sconcertante, Romand si scusa, incolpa il solito tumore e riporta l’amante a casa.
L’ULTIMO ATTO
Domenica mattina quando rientra a casa, Romand trova tutto immobile come lo aveva lasciato.
Trascorre alcune ore guardando la televisione, mentre al piano di sopra la sua famiglia giace priva di vita.
L’atto finale si compie nelle prime ore del 10 gennaio: alle 4 di mattina, svuota due taniche di benzina «prima in soffitta, poi sui bambini, su Florence e sulle scale».
Infine, dopo aver ingerito dei barbiturici — scaduti da dieci anni — si stende affianco alla moglie e aspetta la sua morte.
Tuttavia, l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco, allertati dai netturbini di passaggio, lo salvano dalle fiamme.
LA CONFESSIONE E IL PIANO OMICIDA
Quando il colonnello Jean-François Impini arriva sulla scena del crimine, qualcosa non torna. Le incongruenze sono troppe perché si possa parlare di un incidente domestico.
Poche ore dopo, gli inquirenti trovano nell’auto di Romand una lettera che conferma i peggiori sospetti: le sue parole sembrano una confessione implicita di omicidio.
Due settimane dopo, scampato alla morte, l’uomo confessa finalmente i cinque delitti.
Ma la sua ammissione di colpa non è il punto d’arrivo: il processo svela una verità ancora più inquietante.
Quella strage non è stata un raptus disperato, ma un piano calcolato nei minimi dettagli.
Già alla fine del 1992, Florence potrebbe infatti aver intuito l’inganno: forse una conversazione con la moglie di un dipendente dell’OMS le aveva aperto gli occhi. O forse, semplicemente, aveva iniziato a farsi troppe domande.
Ma, soprattutto, nei giorni precedenti al massacro, Romand si era preparato con meticolosa freddezza, acquistando: un dispositivo elettrico paralizzante, due candelotti lacrimogeni, una scatola di cartucce, un silenziatore per un fucile calibro 22 e due taniche di benzina.
Condannato all’ergastolo nel 1996, ottiene la semilibertà nel 2019 presso l’Abbazia di Fontgombault. Dal 2022 è di nuovo un uomo libero.
Oggi Jean-Claude Romand vive in un paese dell’Indre, senza aver mai chiesto scusa alle famiglie distrutte dalle sue menzogne.
Anatomia di un narcisista: la lettura psicologica di Jean-Claude Romand
Il caso Romand è uno degli esempi più estremi di costruzione di un’identità fittizia nella psicologia criminale.
Per diciotto anni, l’uomo ha vissuto in una realtà parallela, fingendosi un medico, marito e padre modello.
La sua storia è quindi un perfetto laboratorio del crimine psicologico: menzogna, autoinganno, dissociazione dalla realtà. Analizziamo insieme alcune di queste dinamiche.
IL PARADOSSO COMUNICATIVO: LA TEORIA DEL DOPPIO LEGAME
Nella famiglia d’origine di Jean-Claude, l’onestà è un valore assoluto: «un Romand è limpido e cristallino come acqua di fonte». Mentire non è contemplato.
Allo stesso tempo, però, fragilità, fallimenti e disagi psichici sono argomenti tabù. Bisogna essere all’altezza, sempre.
Il risultato? Un paradosso psicologico. Per non deludere le aspettative e proteggere i propri cari, mentire diventa necessario.
La teoria del doppio legame — formulata da Gregory Bateson, della Scuola di Palo Alto — aiuta a spiegare questa dinamica.
Secondo questa teoria, infatti, quando una persona è esposta a messaggi contraddittori all’interno di un rapporto affettivo, può sviluppare una frattura identitaria. Proprio come accaduto a Romand.
LA CREAZIONE DELL’AVVERSARIO
La scissione dal piano della realtà è un paradosso esistenziale. E Romand lo ha portato all’estremo.
Questo meccanismo è di solito uno dei tratti tipici della schizofrenia: un «disturbo mentale che si contraddistingue proprio per l’incapacità della persona di distinguere tra realtà e immaginazione».
Pur non configurandosi all’interno del quadro schizofrenico, il doppio legame ha generato in Romand «un vero e proprio cortocircuito», provocando una dissociazione dalla realtà.
Nel suo libro L’Avversario, Emmanuel Carrère descrive alla perfezione questa frattura interiore: Romand è infatti sia il protagonista che il nemico della sua stessa storia.
IL QUADRO PSICHICO UFFICIALE: NARCISISTA E MITOMANE
Gli psichiatri forensi che hanno analizzato Romand, lo hanno descritto come un uomo affetto da un grave disturbo narcisistico della personalità, con tratti mitomaniaci, freddezza affettiva e una totale incapacità di gestire il fallimento.
Per l’uomo, mentire non è stato quindi solo un mezzo per evitare guai, ma un modo per proteggere la propria immagine. E non solo davanti agli altri, ma soprattutto davanti a se stesso.
Incapace di affrontare le proprie fragilità, ha quindi costruito un’identità fittizia. E più mentiva, più diventava impossibile smettere.
L’OMBRA NEGATA: LA SPIEGAZIONE DEL TITOLO DI CARRÈRE
Il titolo L’Avversario scelto da Carrère non è casuale.
Da un lato, richiama il Diavolo, simbolo biblico del male.
Dall’altro, in chiave psicologica, può essere interpretato attraverso la teoria junghiana dell’Ombra: quella parte oscura della personalità che, se repressa troppo a lungo, può esplodere in modo distruttivo.
Romand ha negato per anni i suoi fallimenti, la sua inadeguatezza, la sua paura.
Alla fine, tutta quella tensione è esplosa nella forma più tragica possibile: un massacro familiare.
Tuttavia, se oggi è un uomo libero, è impossibile non porsi una domanda: quando il suo castello di bugie è crollato, lui è davvero uscito dalla prigione della sua stessa finzione?
Anna Ceroni
Agenzia Corte&Media
Data di pubblicazione: 02.03.2025
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Autrice e copywriter. Laureata magistrale cum laude in Editoria e Giornalismo, ama analizzare e divulgare crimini e ingiustizie di ogni tipo: dai misfatti di Hollywood ai reati ambientali.


