Come i media inventarono un “biondino” che non c’era.
Le narrazioni costruiscono la realtà. Le storie forgiano il nostro modo di vedere il mondo. Le parole costruiscono mondi che non esistono.
Così è accaduto, in parte, anche per la vicenda del (presunto) sequestro e omicidio di Genova, nel maggio del 1971, ai danni di Milena Sutter.
Il caso di Milena Sutter, con il (presunto) sequestro e il (presunto) omicidio della ragazza, propone il tema del rapporto fra crimine, giustizia e media.
La ragazzina, 13 anni, scompare a Genova il 6 maggio 1971. Il suo corpo viene trovato in mare, senza vita, dopo due settimane. E’ giovedì 20 maggio.
L’unico indiziato, processato e condannato è lui: Lorenzo Bozano.
E’ soprannominato il “biondino della spider rossa”. E’ un giovane dell’alta borghesia genovese: non è biondo e neppure magrolino.
Già questo elemento – l’errore nell’immagine di Bozano – ci rivela come i giornali (e i media in genere) possano distorcere la realtà.
Il caso di Milena Sutter e i media
La conoscenza e la comprensione che il pubblico ha sul crimine e i criminali sono per gran parte basate su quanto ha visto o sentito attraverso i media.
Ce lo ricordano gli studiosi Marsh e Melville nel libro “Crime, justice and the media” (Routledge, New York, 2014).
Nel caso di Milena Sutter, oltre otto anni di studio e ricerca sulla vicenda ci ho dato modo di capire un dato fondamentale: molte narrazioni sulla vicenda non erano fondate su dati di fatto. Erano legate al racconto dei giornali.
Il racconto dei giornali – sul caso di Milena e di Lorenzo Bozano – si è poi mescolato con il deterioramento delle memorie causato dal passare del tempo.
Possiamo affermare che la narrazione del triste destino della studentessa di origini svizzere si è mescolata con la “costruzione fantastica” di chi la proponeva nelle interviste.
Una costruzione fantastica che ha mescolato frammenti delle notizie mutuate dai media e personali convinzioni.
La sovrapposizione tra fatti e finzione
La storia del giornalismo e della stampa, soprattutto popolare, ci rivela che sul tema del crimine e dei criminali vi è stata da sempre una sovrapposizione tra fatti realmente accaduti e loro rappresentazione a livello di fiction.
Ne è una dimostrazione, ci ricordano ancora Marsh e Melville, il fatto che sin dal Novecento abbiamo un collegamento fra la realtà degli investigatori di professione e i personaggi che interpretavano nei film e nei romanzi la parte dei detective.
Non solo. Gli stessi personaggi della finzione – come nel caso di Sherlock Holmes – hanno avuto un ruolo nello sviluppo dell’investigazione del crimine in ambito forense.
Possiamo così affermare che ci si deve arrendere alla contaminazione tra realtà sostanziale dei fatti e sua costruzione fantastica?
La vicenda di Milena Sutter e la storia della stampa sembra dare una risposta positiva a questo interrogativo.
Resta da vedere se quella è la risposta giusta per un giornalismo di qualità.
Crimine: giornalismo, storytelling e allarmismo
Occorre infatti distinguere tra gli elementi oggettivi (e i loro collegamenti logici) e quanto lo storytelling può insegnarci per presentare quegli elementi, dati e collegamenti nel modo più efficace.
Il contenuto della narrazione, insomma, non va confuso con la sua struttura.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è il riflesso che il crimine ha a livello di percezione sociale.
Come mostra Pearson, la preoccupazione sociale per il dilagare della violenza e l’assenza di legalità è parte di una lunga tradizione.
Non è insomma un fenomeno della contemporaneità; e neppure della modernità (G. Pearson G., Hooligan: A History of Respectable Fears, London, MacMillan, 1983).
I media, in questo senso, si sono comportati sempre allo stesso modo, nell’esagerare e nel trattare in maniera moralistica il tema della criminalità e della sicurezza.
Anziché tematizzare in modo logico e razionale, partendo da dati di fatto e analisi fondate, la questione “crimine e sicurezza”, la stampa e la televisione hanno fatto da cassa di risonanza dell’allarmismo.
Giornali e vicende criminali
Come rilevano Marsh e Melville, le caratteristiche chiave dei resoconti giornalistici sulle vicende criminali sono le seguenti:
- Sia le notizie che la fiction sul crimine hanno un ruolo preminente nei media;
- Queste storie si occupano in modo preponderante, a tratti esagerato, dei crimini violenti, soprattutto omicidi;
- Offender e vittime delle narrazioni dei media sono di uno status sociale superiore e di fascia d’età più elevata rispetto ai reali offender e vittime trattati dal sistema giudiziario;
- I rischi di essere vittime del crimine sono rappresentati in modo più grave rispetto ai dati reali di vittimizzazione a cui si può essere sottoposti;
- Il lavoro di polizia e sistema giudiziario tende a essere rappresentato in una luce positiva;
- Le storie raccontante sui media si concentrano su casi specifici ed eventi particolari, più che sulla tendenza generale e i temi politici del crimine e nella sicurezza;
Questi dati di fatto ci portano a una conclusione, utile sia per il pubblico che per i giornalisti e gli operatori dell’informazione.
Quanto viene rappresentato sui media, in tema di crimine e di sicurezza, non ha corrispondenza con la realtà.
Il caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano è emblematico. Bozano viene rappresentato come un “biondino” che biondo e magro non è.
Milena rimane sullo sfondo della vicenda. Una “bambina” che non ha alcuna attinenza con la ragazza piena di vita che era.
Ci troviamo di fronte, nelle news e nella fiction, a una distorsione dei fatti realmente accaduti.
Da un lato vi sono esagerazioni sui rischi di essere vittime della violenza e del crimine.
Dall’altro lato manca una tematizzazione generale della questione criminalità.
Poco spazio hanno inoltre sui media i temi politici della giustizia e del crimine; della situazione delle carceri e della condizione delle persone sottoposte al sistema giudiziario.
In questo modo, viene negata sin dal principio la premessa fondamentale per un dibattito pubblico consapevole sul tema del crimine e della giustizia: il ragionare sulla base di dati reali; e non di rappresentazioni che edulcorano o peggiorano la realtà, trasformandola.
Lorenzo Bozano e le narrazioni dei giornali
Ecco che non stupisce se le narrazioni su Lorenzo Bozano – fra i testimoni di quella vicenda piuttosto che fra i cittadini che ne ebbero notizia – sono lontane dai dati di realtà.
Un esempio su tutti: Bozano viene considerato, anche in alcune rappresentazioni sui media, come un “deviato sessuale”.
La criminologa Laura Baccaro, nel libro “Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media“, smentisce quella rappresentazione.
Vi è stato invece un giudice che, già pochi anni fa, ha dato credito alla tesi della “devianza sessuale”. E l’ha fatto senza alcun supporto scientifico.
Si pone allora la domanda: le decisioni di alcuni giudici si basano sulla Scienza o sulle suggestioni dei media?
Nessun magistrato ammetterà mai di essere influenzato dai giornali. Il quesito, tuttavia, rimane.
Il caso del (presunto) sequestro e del (presunto) omicidio di Milena Sutter è quindi un indice interessante.
E’ un indice del rapporto fra crimine, giustizia e media. Fra narrazioni mediatiche e dati di fatto.
I media e la vicenda di Genova del 1971?
Non vi è dubbio che un caso giudiziario si regge su una narrazione.
Senza la “storia”, senza una struttura narrativa, vi è solo un elenco di fatti. Più o meno connessi. Ma senza logica e senza “verità”.
Nella narrazione i giornali hanno un ruolo importante. Vediamo come, nel caso di Milena Sutter.
Il sequestro e omicidio di Milena Sutter nel 1971, giovedì 6 maggio, è avvenuto quando la ragazzina aveva 13 anni.
Era figlia di un ricco industriale della cera, titolare di un’importante azienda con sede a Genova.
La ragazzina non aveva grilli per la testa né motivi di fughe sentimentali, dicono i suoi genitori.
Scompare alle ore 17, all’uscita della Scuola Svizzera in via Peschiera, poco distante dalla stazione ferroviaria Brignole.
Non c’erano screzi fra la ragazzina e la famiglia, sottolineano le sentenze dei giudici genovesi.
Milena Sutter nel 1971 frequentava la terza media. La famiglia della giovane era formata da papà Arturo, da mamma Flora e dal fratello Aldo di 11 anni.
Nessun interesse amoroso poteva distrarre Milena dall’appuntamento con l’insegnante privata, a casa, alle 17.30 di quel 6 maggio 1971. Lo assicurano gli inquirenti che si occuparono del caso del “biondino della spider rossa”.
Milena Sutter nel 1971: l’ipotesi del sequestro e omicidio
Sono quindi quattro i punti cardine che stanno alla base dell’ipotesi di sequestro e omicidio di Milena Sutter nel 1971:
- famiglia ricca, ma che non ostentava un reddito frutto del lavoro nell’azienda paterna;
- ragazza tranquilla, che non aveva grilli per la testa;
- armonia familiare;
- nessun interesse amoroso di Milena per un qualche giovane.
Su questi quattro appoggi i giornali genovesi raccontano l’evento. Lo fanno ricalcando la posizione della questura genovese.
I media, ieri come oggi, scelgono di rappresentare la scomparsa della 13enne di origine svizzera con una sola cornice interpretativa: il rapimento per motivi di denaro.
Così la Milena Sutter del 1971 viene ancora oggi ricordata: una ragazzina sequestrata, e poi uccisa, per estorcere denaro al ricco padre.
Allo stesso modo, due settimane dopo la scomparsa di Milena, sui giornali genovesi troviamo la cornice interpretativa dell’omicidio della ragazzina.
E’ il 20 maggio 1971, un altro giovedì, quando il corpo di Milena viene rinvenuto in mare. Si trova a circa 300 metri al largo della spiaggia genovese di Priaruggia.
E’ una scelta aderente alla realtà quella dei giornali e della questura?
Il movente di Lorenzo Bozano? Il denaro (dicono i media)
Stando ai processi in Corte d’Assise contro Lorenzo Bozano la risposta è positiva. Egli è accusato di rapimento a scopo di estorsione, omicidio e soppressione di cadavere.
Come nel caso più recente di Yara Gambirasio – per il quale è stato condannato Massimo Bossetti – la ragazzina è stata preda di un “mostro” che l’ha portata con sé. E l’ha uccisa.
Nel caso di Yara Gambirasio non abbiamo il movente del denaro. A Massimo Bossetti, inoltre, non è stato imputato il sequestro di persona.
Il movente, nella vicenda di Yara a Brembate di Sopra (Bergamo, 2010), è quello sessuale, sostengono i giudici.
Nel caso di Milena Sutter, il movente sessuale resta invece sullo sfondo. Dietro le quinte del racconto ufficiale.
I giornali di Genova e il frame del sequestro e omicidio di Milena
A distanza di mezzo secolo dalla vicenda di Milena Sutter nel 1971, nell’analizzare il ruolo dei media nel delitto che sconvolse l’Italia, possiamo porci due domande:
- i giornali genovesi hanno scelto una cornice interpretativa con cui comprendere i fatti?
- i giornali di Genova hanno scelto un certo approccio con cui rappresentare come colpevole Lorenzo Bozano, detto “il biondino della spider rossa”?
Il giovane Bozano, 25 anni, figlio di buona famiglia, sfaccendato, perdigiorno, con piccoli precedenti è stato l’unico imputato ed è l’unico condannato.
Lorenzo Bozano oggi sta contando l’ergastolo nel carcere di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba. Finora ha trascorso oltre 41 anni di carcere, per avere sequestrato e ucciso la 13enne.
Una risposta alla domanda sulla cornice interpretativa con cui i giornali – sia quelli genovesi che i media nazionali – hanno rappresentato la vicenda di Milena Sutter la diamo nel libro “Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media”.
Nello stesso libro – grazie all’analisi dei media condotta da ProsMedia – abbiamo tracciato anche il percorso dei giornali genovesi nel rappresentare Lorenzo Bozano.
La rappresentazione di Bozano viene condotta nel 1971 (e negli anni dei processi) modulata sull’immagine del “biondino della spider rossa”.
Bozano è raffigurato come enigmatico, impassibile, sfaccendato, con precedenti penali. Subisce poi l’accusa (sottotraccia) di essere un “deviato sessuale”.
Nel libro “Il Biondino della Spider Rossa”, la criminologa e psicologa giuridica Laura Baccaro, smentisce che Lorenzo Bozano sia (stato) affetto da qualche forma di parafilia. Si intende per “parafilia” quella che, nel linguaggio comune, è chiamata “devianza o perversione sessuale”. Termine, quest’ultimo, che non è riconosciuto dalla comunità scientifica.
Il caso di Milena Sutter: l’immagine di Bozano congelata al 1971
Negli ultimi anni i media hanno riproposto, nel parlare di Lorenzo Bozano oggi, la stessa immagine di mezzo secolo fa.
I media hanno “congelato” l’immagine dell’uomo che ha trascorso 43 anni in carcere, di cui oltre 40 anni a Porto Azzurro. Egli è visto come se fosse sempre e comunque il “biondino della spider rossa”.
Ribadire che Lorenzo Bozano, a distanza di tanti anni, è sempre quel “biondino della spider rossa” appare come un tentativo di congelare la stessa storia di Milena al racconto del 1971. Non la si vuole in alcun modo rileggere. Resta fissata in quel modo. E là rimane.
Quanto al sequestro e omicidio della ragazzina, ancora oggi i media lo raccontano come un dato di fatto. Il caso di Milena Sutter nel 1971 non viene interpretato in alcun altro modo.
Altre ipotesi, su cosa possa essere successo alla giovane studentessa della Scuola Svizzera, non vengono infatti mai prese in considerazione.
Eppure vi sono motivi per studiare quella vicenda da altre angolazioni, come emerge dal libro “Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media”.
Il triste destino di Milena Sutter nel 1971 per la giustizia italiana e per i giornali è insomma fissato per sempre. Il movente dell’offender? Estorcere denaro alla ricca famiglia della ragazzina. Un movente che nel libro suscita più di qualche dubbio.
Maurizio Corte
www.corte.media
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Giornalista professionista, scrittore e media analyst. Insegna Giornalismo Interculturale e Multimedialità all’Università degli Studi di Verona. Dirige l’agenzia d’informazioni e consulenza Corte&Media. Contatto Linkedin. Sito web Corte&Media. Email: direttore@ilbiondino.org