Milena Sutter era una ragazza che dimostrava 16 anni. Non era la figura che vogliono farci credere.

Ci sono parole che ci costruiscono un mondo dattorno. Quelle parole inventano oggetti che non esistono. Ne trasformano altri. 

Le parole, poi, veicolando significati forniscono interpretazioni al mondo.

E costruiscono storie.

Nei testi giornalistici sul caso di Milena Sutter, scomparsa a Genova il 6 maggio 1971 e trovata morta in mare due settimane dopo, a volte si usa l’espressione “bambina”.

Milena viene rappresentata come la “bambina rapita” dal mostro sconosciuto.

Si dà così al lettore l’idea che Milena, 13 anni, fisico sviluppato, sia un piccolo essere incapace di difesa e di pronto discernimento dei pericoli.

Si propone, con l’immagine della bambina rapita, una cornice interpretativa che condiziona tutta la lettura del caso.

I dizionari della lingua italiana sono concordi nel definire “bambino” l’essere umano dalla nascita all’inizio della fanciullezza.

La fanciullezza, termine peraltro desueto, va dai 6-7 agli 11-12 anni. Precede insomma l’adolescenza.

E’ giusto parlare di “bambina rapita” di fronte a un’adolescente che scompare?

Nel caso che stiamo esaminando, il Secolo XIX, giornale genovese, apre la pagina 3 dell’edizione dell’8 maggio 1971, due giorni dopo la scomparsa di Milena, con questo titolo: “Per la mia bambina pagherò qualsiasi cifra”. L’occhiello recita: “Parla l’industriale Arturo S. padre della ragazza rapita a Genova”.

La scelta narrativa del giornale è chiara: “A Genova è stata rapita una bambina”. Con tutto quello che significa questa scelta: sia nella rappresentazione della vittima; che in quella dell’offender.

Ora, se è comprensibile che un genitore chiami “bambina” la propria figlia, a prescindere dall’età, è meno corretto definire (sui giornali o nei testi giudiziari) la vittima di questo caso doloroso una “bambina”.

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Milena Sutter, 13 anni. Chi la conosceva concorda: dimostrava almeno tre anni in più. E aveva un fisico forte e sportivo

“Bambina rapita”: la narrazione del sequestro di Milena Sutter

Il rischio, come per il “biondino della spider rossa” che biondo non era, è di non cogliere l’evento nel suo significato. Il rischio è di indurre il lettore a credere a una storia che non aderisce in modo completo all’evento accaduto.

Cosa fanno i giornali? Registrano la narrazione degli investigatori e la sposano in modo acritico.

Genova, e l’Italia intera, per anni si sono scontrati (e ancora adesso accade) sulla contrapposizione fra “colpevolisti” e “innocentisti”.

Bozano ha mantenuto il centro della scena, il ruolo di protagonista principale della vicenda. Non a caso, Angelo Costa, l’allora capo della Squadra Mobile di Genova, titola il suo libro “Il caso Bozano” (1976).

Dall’altro verso, la ragazzina scomparsa ha assunto più volte l’immagine dell’essere indifeso sequestrato con la forza o con l’inganno. Si caratterizza, così, per la figura di “bambina rapita”, di bambina sequestrata.

La protagonista principale è invece Milena, la vittima. E’ lei che va compresa, per cogliere la verità su questa vicenda.

I giornali, in questo, hanno una grande responsabilità. Hanno accettato, specie dopo il ritrovamento del corpo di Milena Sutter, la narrazione degli inquirenti: tant’è che la “bambina rapita” la ritroviamo anche nei processi a Lorenzo Bozano.

I giornali non tentano una propria e autonoma lettura del caso. In questo modo, l’azione degli investigatori condiziona l’agire giornalistico e gli esiti sui media.

Lo possiamo constatare leggendo alcuni dei capitoli del libro “Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media”: quelli dedicati ai nodi del caso, agli indizi, alla perizia medico-legale sulle cause della morte della ragazzina, alla figura di Lorenzo Bozano.

Il sequestro e l’omicidio di Milena Sutter – rivisti al fuori dell’idea di “bambina rapita”, assumono allora una diversa dimensione. E tutta la vicenda si carica di nuovi significati.

Possiamo affermare che la costruzione della “bambina Milena” è funzionale alla storia che si è voluto mettere in piedi su questa vicenda.

Anche lo stesso pubblico ministero, Nicola Marvulli, in un’intervista che mi ha concesso nel 2010, ha esordito parlando di “bambina”.

Eppure è il Grande Narratore di questa vicenda, il giudice istruttore Bruno Noli, che parla dell’adolescente Milena. E ne traccia un profilo di grande interesse.

C’è da chiedersi se, quando si parla di “bambina” a proposito di Milena Sutter, si sia miopi. Oppure si voglia portare chi legge (o ascolta) su tesi e terreni senza fondamento razionale.

Maurizio Corte
www.corte.media

Sulla vicenda Sutter-Bozano, leggi gli articoli:

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