Storia a senso unico e da unica fonte: la pubblica accusa. Ignorati i dubbi e la voce degli avvocati di Bossetti.
C’era da aspettarselo: la storia di Yara Gambirasio la può raccontare solo la pubblico ministero Letizia Ruggeri. Accade anche con il film Yara, diretto da Marco Tullio Giordana.
Tanto valeva intitolare il film LETIZIA, anziché YARA.
Dopo il docu-film della Bbc, ovvero un servizio in ginocchio del 2017 per la pubblica accusa senza voce per la difesa di Massimo Giuseppe Bossetti, abbiamo nel 2021 un altro redazionale pubblicitario a favore della verità giudiziaria.
Quella giudiziaria è tuttavia una verità che, seppur da rispettare, non va considerata né verità storica; e neppure verità scientifica.
REALTÀ E APPARENZA NELLE VICENDE GIUDIZIARIE
Il regista Marco Tullio Giordana dovrebbe sapere – essendosi occupato in un film della morte di Pier Paolo Pasolini – che spesso la realtà non è quello che sembra. E che non vi sono verità scientifiche assolute, specie là dove il contraddittorio non è ammesso.
Vediamo, allora, com’è stato fatto questo film e come racconta la vicenda della ragazzina, 13 anni, scomparsa il 26 novembre del 2010, a Brembate di Sopra (Bergamo). E poi trovata senza vita, lasciata morire dalle ferite e dal freddo, il 26 febbraio 2011.
Per il rapimento e l’omicidio è stato condannato all’ergastolo Massimo Giuseppe Bossetti. In primo grado, nel luglio 2016; ribadito in appello nel luglio 2017 e confermato in Cassazione nell’ottobre 2018. A indicarlo come l’assassino di Yara sarebbe la traccia di Dna sul corpo della ragazzina.
Non sono innocentista. E non sono colpevolista. Voglio chiarirlo subito, a te che leggi. Non ho studiato gli atti giudiziari, non ho ascoltato i testimoni e non ho analizzato i documenti originali per poter prendere una posizione netta e autorevole sugli aspetti giudiziari, come studioso della comunicazione o come giornalista.
Ho però studiato e conosco a fondo la vicenda – assai simile su molti aspetti – di Milena Sutter, a Genova, nel maggio del 1971; e di Lorenzo Bozano, allora 25enne, condannato all’ergastolo per rapimento e omicidio della ragazzina genovese. E morto il 30 giugno all’Isola d’Elba, dove viveva in libertà condizionale.
Ebbene, il Caso Sutter-Bozano mi ha insegnato che vi sono posizioni – nella polizia e nella magistratura – antiscientifiche. E che le narrazioni accattivanti, da storytelling giudiziario, non mostrano la verità sostanziale dei fatti.
Yara Gambirasio, 13 anni, era una sportiva: amava la ginnastica ritmica
Come studioso dei media posso rilevare che – alla pari del caso di Milena Sutter e Lorenzo Bozano (Genova, 1971) di cui ci occupiamo in questo magazine – anche nella vicenda di Yara Gambirasio e Massimo Giuseppe Bossetti alcuni conti non tornano.
Non è stata data, né viene ancora concessa, alla difesa dell’uomo condannato all’ergastolo di ripetere l’analisi del Dna. Ovvero, di verificare se la Verità Assoluta proclamata dalla pubblico ministero Letizia Ruggeri (e dai suoi consulenti) e approvata dalle due Corti d’Assise, abbia davvero un fondamento scientifico.
Eppure – ce lo insegna il filosofo Karl Popper – la ricerca non ha fine. Vi sono ancora, stando ai consulenti della difesa di Massimo Bossetti, tracce abbondanti di Dna da analizzare. E reperti su cui ripetere le investigazioni scientifiche.
La Scienza non è una Verità Divina annunciata una volta per sempre. Tanto meno lo è la verità giudiziaria. Eppure continuano a raccontarci la balla che con il Dna tutto si risolve e vediamo Dio.
La Scienza è dibattito, è contraddittorio, è confronto. Per questo sostengo che la posizione della magistratura – non solo inquirente ma anche giudicante – del caso di Yara Gambirasio e Massimo Bossetti ha una posizione anti-scientifica.
ARTICOLI SUL CASO DI YARA (2010) E DI MILENA (1971), DUE 13ENNI
Sulla vicenda di Yara Gambirasio e Massimo Bossetti, la criminologa Laura Baccaro, psicologa giuridica, e io, quale media analyst, abbiamo scritto alcuni articoli.
Eccoti qui un elenco degli articoli sul caso di Milena e Yara, prima di passare alla recensione e all’analisi del film Yara, uscito sulla piattaforma di streaming Netflix venerdì 5 novembre 2021:
- Yara Gambirasio: l’omicidio, l’assassino e il film su Netflix
- Bossetti, i dubbi sulla ricostruzione del caso, sul movente e sulla sua colpevolezza
- Yara Gambirasio e Milena Sutter: i punti di contatto fra le due vicende
- Milena e Yara: scomparsa e morte di due ragazze
- Milena e Yara: cosa accadde alle due ragazze?
- Milena Sutter e Yara Gambirasio
- Milena e Yara: i dubbi sul movente
- Come la BBC ha rappresentato il caso di Yara Gambirasio
Negli articoli trovi anche la comparazione con la vicenda di Milena Sutter, 13 anni, e Lorenzo Bozano, con un assai discutibile sequestro e omicidio, a Genova, nel maggio del 1971.
Anche nel Caso Sutter-Bozano sono state assunte – specie in ambito medico-legale oltre che in quello giudiziario – posizioni anti-scientifiche.
Su come vi sia l’abitudine di raccontare da un solo punto di vista – quello della pubblico ministero Letizia Ruggeri – lo puoi verificare nell’articolo di Nicoletta Apolito, storyteller specialist, su Ignoto 1, documentario a puntate della Bbc che è un prodotto mediale sbilanciato dalla parte degli inquirenti.
Gli inquirenti, sia nel film Yara che nel docu-film Ignoto1 sono coloro che vengono presentati come i Sacerdoti di una Verità Ufficiale mai criticabile e, quel che è peggio, mai verificabile.
Yara, recensione e analisi del film
Ecco come Netflix presenta il film Yara, pubblicato sulla piattaforma di streaming, diffusa in tutto il mondo, venerdì 5 novembre 2021.
“Una risoluta PM (pubblico ministero, ndr.) si dedica completamente al caso di una tredicenne scomparsa e fa di tutto per arrivare alla verità. Basato su una storia vera”.
A proposito di storie vere ci sono due non-verità in questa logline – LA breve descrizione del film – e due forzature.
Partiamo dalle forzature. Se uno fa il pubblico ministero e non è “risoluto” nel cercare l’assassino di una ragazzina è meglio che cambi mestiere. Un altro Pm avrebbe fatto le indagini senza risolutezza?
Se la risolutezza è fare l’esame del Dna a migliaia di persone perché non sai dove sbattere la testa, allora vuol dire che la risolutezza porta a spendere somme enormi a causa di qualcuno che non lavora con metodo.
PSICOLOGIA INVESTIGATIVA E CASO YARA GAMBIRASIO
Quando, nel dicembre 2011, ho raccontato delle migliaia di prelievi del Dna – prima ancora che individuassero Bossetti – al professor David Canter, padre della Psicologia Investigativa, uno dei più grandi criminal profiler al mondo, mi sono sentito rispondere: “Ma sono matti?”.
Il professor Canter, psicologo ambientale nei primi Anni Ottanta, deve la sua fama per aver aiutato Scotland Yard a catturare i due stupratori e serial killer dei treni, a Londra.
Ci è riuscito applicando il Geographical Profiling: usando una profilazione su base geografica, analizzando gli stupri e omicidi commessi dal killer, ha individuato la zona dove intervenire.
Le indagini, insomma, sono state condotte con metodo. Non alla cieca. La Psicologia Investigativa di David Canter ha consentito di ottimizzare gli sforzi; e arrivare a un risultato senza fare il Dna a tutta Londra.
La seconda forzatura sta nel “completamente”. Un magistrato inquirente che voglia risolvere un caso complesso non ci lavora part-time.
DUE COSE NON VERE NELLA LOGLINE DEL FILM “YARA”
Veniamo alle due “cose non vere” nella descrizione del film su Netflix:
- Fa di tutto per arrivare alla verità
- Basato su una storia vera
Non è vero che la pubblico ministero ha fatto di tutto per arrivare alla verità. Ha fatto un’indagine per arrivare a una verità giudiziaria che di per sé non è giocoforza la “Verità”.
Quanto all’essere basato il film su una storia vera, neppure questo corrisponde alla verità sostanziale dei fatti.
È basato su una parte della storia vera, tant’è che non si va a fondo e non si tematizzano le ragioni della difesa di Massimo Giuseppe Bossetti.
Si badi bene, non si tratta di essere colpevolisti o innocentisti. Si tratta di agire con metodo scientifico
Perché non si parla di cosa è accaduto e sta accadendo dopo la condanna di Massimo Bossetti all’ergastolo? Perché non si approfondiscono i dubbi scientifici, di esperti che ci mettono la faccia, su quell’esame del Dna e sull’esito giudiziario conseguente.
Nei titoli di coda, il regista del film thriller Yara se la cava scrivendo che Massimo Bossetti si proclama, nonostante la sentenza, ancora innocente. E dà notizia degli impedimenti che la difesa del condannato all’ergastolo trova nell’accesso ai reperti, per riesaminarli, come si fa nel mondo scientifico.
Peccato che le scritte a fine film sono illeggibili. Pur leggendo veloce, non riesco ad arrivare a leggerle. Non oso immaginare cosa ne capisca uno spettatore che non ha seguito gli sviluppi del caso; oppure uno spettatore straniero.
Va poi ricordato che il cinema ha il compito di far vedere, di mostrare, non di scrivere a fine narrazione quattro righe in croce e per giunta inguardabili.
Non ci resta, quindi, che aspettare uno scrittore come John Grisham che racconti la vicenda di Massimo Bossetti da un altro punto di vista.
La recensione del film Yara
Per la recensione, voglio citare il parere di due magazine online e dei loro critici cinematografici.
Scrive Simone Emiliani, su MyMovies: “Il film di Giordana è l’esempio di un cinema civile esemplare, che si basa sull’oggettività dei fatti e sottolinea comunque come Bossetti, malgrado le condanne, continui a proclamarsi innocente. Però è anche stanco, scarico, che si affida in gran parte agli attori”.
Cosa ci sia di “cinema civile” nel film Yara deve averlo colto solo il critico di MyMovies. Se questo è “cinema civile”, non oso immaginare il “cinema militante” prono al Potere.
Quanto all’obiettività dei fatti, già è difficile per noi giornalisti. Qui il regista di obiettivo ha solo il raccontare le magnifiche sorti e progressive della magistrata Letizia Ruggeri.
Concordo con MyMovies nel definire “esemplare” il film di Marco Tullio Giordana. È l’esempio, infatti, di un cinema asservito alle narrazioni ufficiali. Un cinema di regime, insomma.
Torno a ripeterlo anche qui: non si tratta di essere innocentisti o colpevolisti. Si tratta di essere giornalisti, oppure di fare cinema come va fatto. Insomma, si tratta di raccontare le storie in modo serio.
Non ci si può riferire a una storia vera – come anche raccontare una storia inventata – senza dare voce ai dubbi, alle posizioni contrarie. Non si può sfangarla scansando la responsabilità di mettere in luce le contraddizioni di un’indagine che di scientifico ha ben poco.
Sul magazine Cinematografo, Lorenzo Ciofani scrive che il film sceglie “di mettere in scena l’indagine di una madre alla ricerca della verità, desiderosa di ottenere giustizia per una ragazzina come tante che poteva essere sua figlia”.
La madre sarebbe la pubblico ministero Letizia Ruggeri, a cui – a dirla tutta – si dovrebbe chiedere di essere una pubblica accusa autorevole e obiettiva, più che una madre.
UN MODELLO LOGORO DI FICTION DIDATTICA
Quella della magistrata madre “è l’unica caratteristica che fa uscire (di poco) Yara da uno schema elementare, dalla ricostruzione paratattica e didascalica e senza guizzi”, continua il critico di Cinematografo.
Il film, osserva il critico, “segue un modello ormai logoro di fiction didattica incardinata sulla ‘cronaca nera romanzata’ e sul legal drama civile”.
Evito qui di citare le dichiarazioni del regista Marco Tullio Giordana. Un regista parla con i suoi film. Non è il caso di riportare gli (inutili) “spiegoni” su come ha fatto il film.
Di seguito, poi, una recensione su YouTube. A recensire il film è Andrea Lombardi, nel suo canale C’è di Peggio.
Si tratta di un’analisi lucida, di quelle che piacciono a me: siamo stanchi delle narrazioni di regime, da Istituto Luce come le chiama, azzeccando la similitudine, Andrea Lombardi.
Lombardi sulla vicenda ha realizzato tre video che ti consiglio:
- Qui puoi vedere il video (che dura 90 minuti) con la recensione del film
- Qui puoi vedere la ricostruzione del caso di Yara Gambirasio (parte 1)
- Qui puoi vedere la ricostruzione del caso di Yara Gambirasio (parte 2)
Sono video per riflettere. Si possono condividere alcune osservazioni; da altre si può dissentire. Ma, vivaddio, c’è bisogno del dibattito per fare opinione pubblica (oltre che fare Scienza, con gli esperti).
Yara, analisi di un film costruito a senso unico
Cosa c’è dietro il docu-film della Bbc (anno 2017) e il film di Netflix (anno 2021) che esaltano a senso unico la figura della pubblico ministero Letizia Ruggeri?
Perché si fa una serie docu-film imbarazzante nella sua parzialità come quella della Bbc?
Perché si fa un film come Yara che nulla dice in più sul caso? Un film che non mostra e tematizza i dubbi, le contraddizioni, gli argomenti contrari alla verità della Procura.
Perché non si è rappresentata la battaglia della difesa di Bossetti, facendola collidere con quella degli inquirenti?
Come mai non si è rappresentata nel racconto la posizione di genetisti e studiosi del Dna che sono critici verso la verità giudiziaria su Yara e Bossetti?
La regola d’oro di una storia di qualità è il conflitto. La caratteristica principe di una sceneggiatura efficace è la serie di colpi di scena. Se il cinema è una storia di conflitti, qui abbiamo la noia delle veline da tribunale.
Non perderei molto tempo sulle caratteristiche artistiche e cinematografiche del film thriller Yara. È un prodotto modesto, un compitino scontato che qualsiasi videomaker potrebbe scrivere e realizzare con il piede sinistro.
La caratterizzazione dei personaggi – ovvero persone reali trasposte nel cinema – è più da fotoromanzo e da sobria telenovela che da film a diffusione internazionale.
Interessante il doppiaggio in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Tanto interessante che la versione in inglese – che ho voluto ascoltare in più punti – è più efficace nella recitazione e nel tono di voce di quella italiana.
Lo stesso personaggio della pubblico ministero – l’Eroina del racconto – è alquanto scarico. Non per colpa dell’attrice, ma perché non ha un Antagonista degno di questo nome.
Non ha neppure un mentore autorevole. Ha alcuni alleati e ha qualche finto nemico:
- il parlamentare di turno che la vuol far dimettere;
- qualche rompiscatole in Procura;
- un Massimo Giuseppe Bossetti che non è credibile neppure come muratore
L’EROINA LETIZIA RUGGERI SOLA SULLA SCENA
Sceneggiatura e regia non hanno fatto scontrare l’Eroina Letizia Ruggeri con l’Eroe di una causa (all’apparenza) persa qual è l’avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni.
Sia Salvagni che i genitori di Yara – sia detto con rispetto – sono poco più che figure di contorno; quasi finti nella loro superficialità.
Quanto al dibattimento in aula, suona di recita provinciale e non affascina. Anche qui, manca il contraddittorio. Non c’è il conflitto. C’è solo la vincente pubblico ministero.
La storia tocca e commuove, specie un padre come me (o una madre). Ma oltre alla commozione, dovuta alla vicenda triste assai della ragazzina Yara, occorreva il ritmo del conflitto, la credibilità dei personaggi in scena e l’umanità delle persone coinvolte.
Non ho colto passione umana per i genitori di Yara; per la vedova di Giuseppe Guerinoni, per tutta la famiglia di Guerinoni; per lo stesso Bossetti che si è trovato un treno di fronte a travolgerlo.
La passione umana non è giustificazione. È la volontà di raccontare, e prima ancora di capire, l’anima di chi ci sta di fronte, agisce, soffre, ama, vince e perde nel mare dell’esistenza.
Nel film abbiamo solo Lei, la PM. Neppure tanto credibile nei suoi tormenti; e ancor meno credibile in una battaglia dove l’Antagonista vero – la Scienza scomoda – non va in scena.
Non abbiamo l’affresco di un caso umano e giudiziario drammatico.
Non vi sono i dubbi, ma neppure i media nel raccontare crimine e giustizia (e il loro circo). Non c’è la agguerrita contesta sui social, a proposito dell’esame del Dna e della colpevolezza di Bossetti.
Nel film Yara, su Netflix, non abbiamo il mondo. Non abbiamo il contesto. Non abbiamo l’umanità; neppure quella della giovanissima vittima. E questo sconcerta.
STORIE A FONTE UNICA E RUOLO DI CINEMA E GIORNALI
Non so tu, ma io non ne posso più di film e serie tv, di storie e articoli di giornale a senso unico. Di narrazioni a fonte unica: quella ufficiale; oppure quella che grida di più.
Il ruolo dei media – dai giornalisti ai cineasti – è di rendere, con il linguaggio dei rispettivi mezzi, la complessità del reale.
Hanno la funzione di raccontarci la vita in modo efficace, sfrondando il racconto degli elementi inutili; di portare in primo piano ciò che ci aiuta a capire questo mondo così complesso.
Noi giornalisti abbiamo la notizia, come punto di riferimento. Così come abbiamo l’inchiesta e l’investigazione; e certo la tecnica del racconto coinvolgente e veritiero.
Uno sceneggiatore e un regista hanno l’umanità dei personaggi, espressa in azioni e dialoghi. Hanno il conflitto come motore del racconto.
I cineasti hanno un Eroe – il Protagonista – che compie un viaggio; e il viaggio ha senso se viene messo nell’angolo da un Nemico, da ostacoli credibili, da trappole vere e micidiali.
FILM YARA: UN MANCATO AFFRESCO DEL NOSTRO MONDO
Il cinema, poi, come il giornalismo ha il compito di darci un affresco dell’umanità. Di farsi cartografia dell’esistente e sguardo su angoli bui, celati, occultati a bella posta da un qualche Potere (umano, divino o naturale).
Questo mi sarei aspettato dal film thriller Yara, tratto da una storia vera e messo su Netflix in italiano e nelle più diffuse altre quattro lingue straniere. Questo nel film Yara non l’ho proprio trovato.
Maurizio Corte
corte.media
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