Secondo lo Stato, Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio oltre ogni ragionevole dubbio. Ma come si è arrivati alla sentenza?

È il 2011 quando il corpo senza vita di Yara Gambirasio viene ritrovato senza vita in un campo isolato di Chignolo d’Isola, in provincia di Bergamo.

La tredicenne di Brembate entra nei cuori di tutti gli italiani.

Il suo omicidio sconvolge il Paese e lascia tutti col fiato sospeso in attesa di dare un volto a chi si è macchiato l’anima con questo grave crimine.

Ci vorranno tre anni prima che le indagini diano i loro frutti.

Nel giugno 2014 viene arrestato un muratore di Mapello, incensurato, padre di tre figli piccoli.

Si chiama Massimo Giuseppe Bossetti. E il modo in cui si arriva ad identificarlo come assassino della piccola Yara ha dell’incredibile.

 

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Massimo Bossetti il giorno dell’arresto

Una prova, che pesa più delle altre, fornisce l’assoluta certezza che si tratti di lui ad aver rapito e poi ucciso la tredicenne.

Tale prova risiede nel suo Dna, firma unica e personale, che l’uomo ha lasciato sugli indumenti intimi della ragazzina.

La BBC produce una serie tv in quattro episodi sulla prova regina che da sola mantiene in piedi l’intero processo.

Ignoto 1 – Dna di un’indagine ripercorre le fasi di come si sia arrivati ad associare al profilo genetico rinvenuto sugli indumenti di Yara il viso del muratore di Mapello.

La ricostruzione sembra uscita dalla fantasia di uno scrittore di gialli.

Eppure, quella traccia genetica è la prova schiacciante che conduce alla reale, e per nulla fittizia, sentenza all’ergastolo di Bossetti.

COME SI ARRIVA A DARE UN NOME A IGNOTO 1

La traccia di Dna di cui ancora non si sa l’appartenenza viene chiamata Ignoto 1.

La sua identità rimane un mistero per ben tre anni.

Yara Gambirasio, la piccola ginnasta di Brembate, scompare nel tragitto tra la sua abitazione e la palestra, il 26 novembre 2010.

Tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011 viene ritrovato il suo cadavere in un campo isolato, nascosto alla vista, difficile da notare tra le sterpaglie.

Quando dai suoi slip e dai leggins viene trovato un Dna estraneo, inizia la risalita fino ad arrivare a un nome.

Inizia la raccolta del Dna di tutti i residenti in zona.

Si scopre la linea paterna del profilo genetico, appartiene a Giuseppe Guerinoni.

Il papà di Ignoto 1 è un ex autista di bus della Val Seriana.

Tra i diretti discendenti di Guerinoni però non c’è un riscontro preciso con la traccia genetica rinvenuta sugli indumenti di Yara.

L’assassino della ginnasta è di sicuro un figlio illegittimo dell’uomo.

 

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A questo punto il pettegolezzo di strada si va ad intrecciare con la realtà dei fatti.

Succede che un uomo, ex alpino di Clusone di nome Antonio Negroni, si reca in una caserma nel bergamasco per testimoniare che l’amante di Giuseppe Guerinoni è Ester Arzuffi.

Pettegolezzi e pubblica opinione

La testimonianza del signor Negroni arriva molto prima rispetto ai risultati delle indagini.

Si vocifera che l’ex austista abbia avuto una relazione extraconiugale con Ester Arzuffi, la mamma biologica di Bossetti.

I ricordi nitidi di quest’uomo, che sostiene di aver ricevuto questa confidenza dal diretto interessato, si intrecciano da un lato con la realtà oggettiva dei fatti – secondo cui l’Arzuffi si scoprirà essere davvero la madre biologica di Bossetti – e dall’altro lato con la realtà emotiva dell’opinione pubblica – secondo cui Bossetti è colpevole di reato a prescindere per una serie di motivazioni che vanno oltre il disagio di essere cresciuto in un contesto familiare fatto di bugie.

La scienza arriva a tracciare una linea netta e definitiva tra le due realtà: Bossetti è davvero il figlio biologico di Giuseppe Guerinoni e di Ester Arzuffi.

LO STORYTELLING CROSSMEDIALE INTORNO A IGNOTO 1

Nel libro Yara Autopsia di un’indagine, scritto a quattro mani dalla giornalista di cronaca nera Laura Marinaro e dalla criminologa Roberta Bruzzone, si mette in luce un aspetto importante sulla metodologia utilizzata per le indagini.

Proprio in relazione al connubio tra scienza e chiacchiere di paese, le due autrici precisano quanto sia stata pregnante la contaminazione tra questi due aspetti con la prova regina ai fini del processo.

Nel libro è sempre sottolineata la natura delle ricerche su due piani: da una parte quella dell’investigazione sul campo, dall’altra quella scientifica nei laboratori della Polizia e dell’Università di Tor Vergata di Roma.

Come a voler mettere in risalto la veridicità e la valenza del processo investigativo che si regge sulla sola traccia del Dna, Ignoto 1, unica prova regina.

E’ indubbio il dato oggettivo che si ricava dal confronto tra il libro fresco di stampa di Marinaro-Bruzzone e la serie della BBC.

Entrambi i mezzi informativi hanno posto al centro della narrazione il supporto alla prova regina.

Uno storytelling crossmediale che utilizza due canali mediatici diversi per raccontare la stessa storia.

Possiamo così cogliere il rapporto tra crimine, giustizia e media.

LE TESI SOSTENUTE DALLA DIFESA

La difesa in sede processuale cerca di introdurre nuove piste con scarsi risultati.

Ciò che traspare anche dalle pagine del libro è una volontà di definire carente la linea difensiva di Bossetti.

È riportato un aspetto interessante che sfocia per certi aspetti nello storytelling giudiziario.

E riguarda il modo in cui viene definita la linea difensiva di Bossetti dai giudici in aula: “fantasiosa, irrazionale, irrealistica”.

Gli aggettivi utilizzati mettono in risalto un modo non scientifico di fare le cose. E per questo non credibile.

Tra le piste introdotte dalla difesa risaltano:

  • l’ipotesi che Yara sia stata vittima di bullismo femminile in palestra e sia stata uccisa in quel contesto;
  • l’ipotesi che la ragazza sia stata rapita per motivi ricollegabili alla vendetta contro il padre, Fulvio Gambirasio, geometra responsabile di vari cantieri della zona;
  • l’ipotesi che il corpo della vittima sia stato avvolto in una coperta e trasferito nel campo di Chignolo d’Isola in seguito all’uccisione, e che quindi non sia rimasto lì per tre mesi.

Riporto e faccio mia una domanda estrapolata dal libro: se la difesa di Bossetti avesse adottato altre strategie comunicative e difensive si sarebbe comunque arrivati all’ergastolo?

CHI E’ MASSIMO GIUSEPPE BOSSETTI?

Comprendere chi si nasconda dietro lo sguardo enigmatico color ghiaccio di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello, è un lavoro che ha richiesto anni di indagini.

Dal punto di vista criminologico, la criminologa Roberta Bruzzone, afferma che il profilo di Massimo Giuseppe Bossetti rientra nei parametri del child molester regressivo situazionale.

Cosa significa? E quali sono le sue caratteristiche?

Secondo il profilo delineato dalla Bruzzone, Bossetti avrebbe scelto un minore come sostituto di un partner sessuale adulto.

Il motivo risiede nella paura di intrecciare una relazione con un partner adulto a causa di una forte ansia da stress.

Bossetti avrebbe agito con coercizione e avrebbe ucciso la vittima per impedirle di parlare.

Eppure l’uomo è sposato, ha una moglie che ha anche cercato di difenderlo in aula.

Secondo la Bruzzone, uno dei motivi che porta un sex offender a scatenare un’azione violenta e aggressiva all’improvviso, può essere legato ad eventi stressanti subiti nella sfera familiare.

Da questo dato oggettivo si genera un’ulteriore ipotesi che traccia il confine tra ciò che viene detto in aula con ciò che viene raccolto dai giornali tra le voci di strada.

Si tratta delle testimonianze dei colleghi di lavoro di Bossetti che dichiarano in aula di aver sentito l’uomo lamentarsi dei problemi con la moglie.

La sfera familiare pesa sullo stato psicologico di Bossetti?

Secondo la Bruzzone sì.

Anche la componente umana ha il suo peso specifico all’interno del processo a carico di Bossetti.

In questo caso l’opinione pubblica, pudica e riservata, pesa il suo giudizio all’interno di parametri strettamente legati alle abitudini private dell’imputato.

L’influenza che hanno avuto sull’opinione pubblica le notizie sulle ricerche pedopornografiche di Bossetti hanno facilitato la costruzione della sua etichetta da depravato.

Caso giudiziario Yara Gambirasion e Massimo Bossetti - magazine ilbiondino.org - ProsMedia - Agenzia Corte&Media photo Emily Morter - Unsplash---

BOSSETTI MENTITORE INCALLITO

C’è un altro punto interessante che evidenzia come il caso si vada ad intrecciare tra verità scientifica/criminologica e pettegolezzo di strada.

Nel tracciare la personalità dell’imputato si fa riferimento spesso a ricostruzioni del sentito dire.

Bossetti è bugiardo. I suoi colleghi di lavoro lo chiamano “il favola” per via delle numerose bugie che racconta.

Le dichiarazioni dei colleghi delineano un profilo da mentitore incallito.

Anche quest’aspetto contribuisce a renderlo ancora più colpevole agli occhi della Corte.

I “BOSSETTIANI” E LA LORO TESI INNOCENTISTA

Bossetti è vittima di un sistema che voleva a tutti i costi trovare un colpevole per chiudere in via definitiva un caso difficile e dai risvolti imprevedibili?

Non era solo l’Italia a chiedere giustizia, ma il caso era arrivato anche fuori dai confini nazionali, pertanto era il mondo intero a chiedere che si facesse chiarezza sulla vicenda.

Indagini affrettate per arrivare a un colpevole e non al colpevole? Questo si chiedono i “Bossettiani”, sostenitori della linea innocentista.

Curiosa è l’analisi che ne fa la criminologa.

Secondo la Bruzzone chi difende Bossetti fa parte di una categoria sociale con scarso livello di scolarizzazione.

Si tratta di soggetti facilmente manipolabili.

E a manipolarli ci pensa anche la difesa di Bossetti, che attraverso una campagna mediatica urlata in piazza cerca consenso in strada.

Si ritorna al dubbio iniziale. Una difesa più sobria avrebbe giovato sulle sorti finali dell’imputato?

Quello che di sicuro rimane impresso di tutta quest’atroce storia è la mano stretta a un ciuffo d’erba della vittima.

Ad aggrapparsi in un ultimo disperato tentativo alla vita, mentre lentamente scivolava via verso un mondo, che si spera, sia stato più clemente dell’inferno vissuto in terra.

Nicoletta Apolito

Bossetti, l’avvocato della difesa contro l’esame del Dna

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